Il sogno
Nell’ormai lontano novembre 1985, Don Felice Rizzini, Ispettore salesiano dell’Ispettoria Centrale, convocò nel suo ufficio una riunione di laici della Famiglia salesiana. Erano presenti don Emilio Zeni, salesiano, delegato dei Cooperatori e degli Ex-allievi, e, con lui, alcuni rappresentanti dei Consigli ispettoriali dei Cooperatori e degli Ex-allievi.
Senza tanti giri di parole, Don Rizzini, nel suo stile franco e diretto, informò i presenti che l’Ispettoria Centrale aveva ricevuto in dono da una famiglia di San Giovanni di Riva presso Chieri la cascina attigua alla casa natia di San Domenico Savio.
Egli riteneva che la Famiglia Salesiana poteva ricevere in comodato gratuito dall’Ispettoria gli immobili, ristrutturarli per trasformarli in centro di spiritualità, rivolto soprattutto ai giovani. La proposta, del tutto inattesa, suscitò perplessità in molti dei presenti, ma si decise di avviare un sopralluogo prima di rispondere all’Ispettore.
In una fredda e nebbiosa mattinata tardo autunnale, una delegazione di ex-allievi e cooperatori si trovò a Valdocco per raggiugere in auto lo sconosciuto borgo di San Giovanni di Riva presso Chieri. Raggiunta la borgata di Sassi, si salì verso Pino torinese, attraverso il traforo, si superò Chieri e si prese per Riva presso Chieri. Appena prima del paese, una svolta a sinistra permetteva di imboccare la strada per San Giovanni, raggiunta dopo qualche chilometro in aperta e nebbiosa campagna.
Una borgata, quella di San Giovanni di Riva presso Chieri, che appariva all’improvviso dopo un lungo rettilineo che avrebbe condotto ad Andezeno. Una piccola chiesa sulla strada e intorno alcune fattorie e qualche casa. A destra della chiesa una stretta via conduceva verso la casa natia del giovane Santo. Dopo i rumori della città, il silenzio era incredibile, interrotto solo da qualche muggito delle mucche chiuse nelle stalle.
La prima vista della casa natia di San Domenico Savio colpì tutti i presenti: una struttura antica e abbastanza ben tenuta. Ma, accanto, sorgeva una cascina diroccata, con il tetto in parte sfondato, in evidente stato di abbandono.
Tra lo scoramento generale, solo don Emilio rimase convinto di poter fare qualcosa di buono, dicendo che certamente c’era molto da lavorare!
Vennero convocati alcuni professionisti, guidati dall’architetto astigiano Ferrante Marengo, ex-allievo salesiano legato all’Unione di Penango e si predispose un progetto per la ristrutturazione della cascina e la salvaguardia della casa natia: 100 milioni di lire!
I Consiglio ispettoriale degli ex-allievi, in una tempestosa riunione, si stava orientando a rispondere negativamente all’Ispettore, quando don Emilio disegnò uno scenario tutto nuovo: i soldi erano un problema, ma come Don Bosco confidava nella Provvidenza. Però delineò il futuro di quell’opera, l’accoglienza di tanti giovani, il punto di riferimento del territorio, un luogo di preghiera e di raccoglimento.
Il Consiglio votò unanime a favore del progetto! Nel Consiglio Ispettoriale dei Cooperatori, il progetto di don Emilio trovò un fiero alleato in Maurizio Chiabotto e le perplessità furono dissipate.
Tutto è cominciato così, con una visione o un sogno di un figlio di Don Bosco che ha saputo guardare lontano, oltre i costi, i sacrifici, le difficoltà…