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La storia della nostra lingua – Adriana Perillo

Per chi volesse dare una spolverata ai ricordi della propria formazione scolastica, ho pensato di fare un breve excursus nella storia della nostra lingua, sperando di fare cosa gradita.

Il latino era la lingua che si parlava a Roma a partire dall’VIII secolo a.C.

Era una lingua povera di vocaboli perchè limitata all’ambito della famiglia, del lavoro nei campi e ai riti religiosi. Quando i Romani per le guerre di conquista vennero a contatto con altri popoli come gli Etruschi, i Liguri, i Veneti, i Greci, i Galli, la loro lingua si arricchì notevolmente.

Nel II secolo a.C. l’impero romano si era esteso ad altri stati che oggi si chiamano Francia, Spagna, Portogallo, Romania e alle regioni dell’Africa mediterranea: queste popolazioni accettarono le leggi, la giustizia, la protezione dei Romani ed anche la loro lingua che, tuttavia, a sua volta, risentì dell’influsso delle parlate locali, acquistando caratteristiche diverse da territorio a territorio, condizionata dai tempi di conquista, dall’assimilazione della lingua e dagli idiomi preesistenti alla diffusione del latino.

Naturalmente il latino scritto aveva regole precise, rispettate da tutti, usato dagli scrittori e poeti, dagli uomini di cultura, insegnato, anche dopo la sua scomparsa nelle forme lessicali eleganti e corrette.

Il latino parlato, invece, era la lingua viva di ogni giorno, usata da tutti, in famiglia, per il lavoro, quindi diversa e malleabile, subiva continui cambiamenti e senza rispettare le regole.

Dopo la caduta dell’impero romano nel 476 anche la lingua si sgretolò, non il latino scritto classico usato dai sovrani per emanare le leggi o dagli scrittori e dalla Chiesa, ma quello parlato dal volgo che si modificò da zona a zona per diverse ragioni.

Così su una base latina, si formarono tante lingue diverse tra loro, chiamate neolatine o romanze, cioè parlate nei territori un tempo dominati da Roma.

Esse sono: l’italiano, il sardo, il francese, il ladino, lo spagnolo, il franco-provenzale il portoghese, il rumeno, il catalano.

Il passaggio dal latino volgare all’italiano è stato un processo lungo e complesso e ha riguardato tutti gli aspetti della lingua, la fonologia, la morfologia, la sintassi.

La maggior parte delle parole italiane deriva dal latino non quello colto ma da quello parlato che non ha mai smesso di vivere, mentre le parole dotte sono state reintrodotte dagli studiosi (latinismi).

L’italiano attraverso i secoli.

Il volgare non fu una lingua unitaria. Con l’invasione dei barbari si accentuarono le differenze tra regioni e regioni, così tra il V e l’VIII sec. d.C. dal latino parlato presero vita i volgari italiani locali. Nel Duecento poeti e scrittori cominciarono a scrivere in volgare; san Francesco compose in volgare umbro il Cantico delle Creature, in Sicilia, alla corte di Federico II fiorirono poesie inneggianti all’amore in volgare siciliano. Nel Trecento si distinse il volgare fiorentino, lingua usata da tre autori grandissimi, Dante, Petrarca, Boccaccio che lo resero nobile con i loro capolavori, famosi anche fuori dalla Toscana.

Il fiorentino sostituì il latino come lingua della cultura mentre il dialetto si usava nel parlato quotidiano.

Nel Quattrocento l’Umanesimo con lo studio dei classici greci e latini arrestò un poco la diffusione del volgare.

Nacque la questione della lingua per stabilire un modello di lingua letteraria e colta. Pietro Bembo nel 1500 indicò la lingua degli scrittori del Trecento. In questo periodo si diffusero le grammatiche e nel Seicento fu pubblicato il vocabolario degli accademici della Crusca che contribuì alla unificazione della lingua.

Nel Settecento si verificò la presenza di francesismi grazie all’Illuminismo, corrente filosofica che si proponeva di liberare la coscienza da tutti i pregiudizi medievali e modificò anche la struttura latineggiante del periodo con una forma più breve e diretta.

Così si raggiunse l’unificazione della lingua scritta ma non ancora quella parlata.

Nella seconda metà dell’Ottocento (1861) con l’unità politica si incrementò l’unificazione linguistica. Il fiorentino si era evoluto avendo acquisito parole di origine straniera per adeguarsi alla nuove conoscenze di idee e di oggetti, perciò era necessario che la lingua fosse capita da tutti e non solo dai dotti.

Manzoni già prima aveva affermato che il fiorentino doveva essere la lingua di tutti perchè era una lingua viva e moderna. Completa.

Non fu un percorso facile. Si partì dall’analfabetismo imponendo l’obbligo dell’istruzione elementare, si adottò l’italiano come lingua ufficiale dello Stato e allo scopo furono trasferiti pubblici ufficiali e militari da Nord a Sud e viceversa.

Così a poco a poco la lingua italiana si impose sui dialetti, favorita dalle migrazioni interne, dall’urbanesimo, dalla diffusione dei mass media e dalla TV (1954), mezzi che organizzarono gli usi linguistici.

Il viaggio nella storia della nostra lingua è lungo ed interessante ma qui condensato per solleticare la curiosità di approfondire l’argomento a chi è appassionato della nostra storia.

Adriana Perillo