Se ci credessimo davvero…

Ogni tempo, anche la Quaresima che stiamo vivendo nuovamente in un periodo di pandemia che non accenna a finire, trova il suo senso più profondo in Lui, Cristo Risorto!

“Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede…”
(San Paolo)

Se ci credessimo davvero che Cristo è risorto, il senso stesso dell’esistenza e dell’operare assumerebbe ben altre prospettive.

Cristo è risorto! L’abbiamo imparato al catechismo, lo celebriamo a Pasqua, lo scriviamo sulle “memorie” dei nostri morti, lo proclamiamo coralmente nella Messa.

Ma “credere” non è solo “conoscere”: è “vivere”. E questo non è scontato, purtroppo.

Gli stessi apostoli faticarono a “credere davvero”, pur essendo stati ampiamente “catechizzati” da Gesù.

A Tommaso, che pretende di toccare con mano i segni delle ferite, il Signore affidò l’ultima beatitudine evangelica: “Tu hai creduto perché hai visto, Tommaso! Beati coloro che pur non vedendo, crederanno”.
Una beatitudine per noi, uomini del terzo millennio, dispersi tra le rovine dell’ateismo, erranti sui sentieri anonimi dell’indifferenza, affondati nelle paludi di un’arroganza intellettuale che presume di riscrivere le leggi della vita e della felicità, disorientati dal cumulo di illusioni che ne scaturiscono, incapaci e pigri a percorrere le strade di una speranza fondata sulla “novità” perenne di Cristo Risorto: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Cristo è risorto, non è qui”.

Se credessimo davvero, quanta più “beatitudine” nella nostra esistenza, liberi dal fascino dell’effimero che ci intrappola tra le maglie di un’avvilente schiavitù, quanto più vero sarebbe l’amore, più generosa la tolleranza, più serena la pazienza, più fecondo il reciproco perdono, quanto più vivo e atteso l’incontro con il Signore, quanto più possibile la pace.

Se ci credessimo davvero non esiteremmo a confidare a tutti, e nei modi più diversi, la ragione della nostra speranza, delle nostre certezze.

entre camminiamo, sovente a piedi nudi, sulle macerie della violenza, o tra le dune aride del deserto nel buio della solitudine, o anche sui prati fioriti della primavera, sappiamo dove stiamo andando e con Chi saremo, secondo la promessa del Risorto: “Vado a prepararvi un posto”.

È Pasqua! Ritorna con rinnovata urgenza l’invito a gridare, con umile commozione, come l’incredulo Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”.

Beati noi se, pur non vedendo, crederemo! Un po’ della nostra beatitudine ricadrà anche su questo mondo tanto lacerato…

È il sincero augurio che insieme vogliamo scambiarci nella gioia di Cristo Risorto.

don Emilio Zeni