Pensieri e Parole | Quaresima – Silvia Falcione

Quaresima.

Quaranta giorni in cui i catecumeni si preparavano al Battesimo. Nella notte di Pasqua.

Un tempo per rinnovare in profondità la nostra fede.

Un tempo per mettere in discussione la nostra fede e verificare in profondità come la viviamo.

Un tempo per mettere in crisi i nostri programmi e rinnovarli e per fede, accettare i programmi di Dio. Anche se non ci sono chiari.

Un tempo per ripercorrere le strade della preghiera che ricarica lo Spirito.

Un tempo per riflettere sul peccato.

Il peccato è il buio della vita, è notte, è morte.

Il perdono è la luce che illumina questa notte.

Il perdono per noi stessi e per gli altri.

Il perdono è il sacramento della fede.

È il sacramento della verità su noi stessi.

È il sacramento della maturità della nostra fede, della libertà, dell’amore, della gioia, dello Spirito Santo, della Resurrezione.

La Quaresima è un tempo per perdonare.

Per riscoprire l’incontro con Dio nel perdono.

Pensieri e Parole | La Famiglia Salesiana – Silvia Falcione

Le giornate di spiritualità della Famiglia Salesiana 2024

Da giovedì 18 gennaio a domenica 21 si sono tenute a Valdocco le Giornate di Spiritualità per tutti i gruppi della Famiglia Salesiana, che sono davvero molti e sparsi per il mondo. Era la 42^ edizione, ma solo la quinta a Valdocco.

“Questo evento celebra la profonda comunione che esiste tra tutti i gruppi e con tutti i continenti. Il motivo centrale che ci riunisce è quello di vivere una profonda esperienza salesiana come famiglia, intorno alla Strenna che il Rettor Maggiore propone a tutta la Famiglia Salesiana e che per quest’anno è “Il sogno che fa sognare. Un cuore che trasforma i lupi in agnelli.

Così ha detto don Joan Lluis Playa delegato RM per la F.S.

Giovedì il Rettor Maggiore don Ángel Fernández Ártime ha presentato a tutti la Strenna dicendo che il tema era stato ispirato dal fatto che il sogno dei nove anni che guidò tutta l’opera di Don Bosco, avvenne esattamente 200 anni fa nel 1824.

“Ritengo che la ricorrenza bicentenaria del sogno (…) meriti di essere messo al centro della Strenna, che guiderà tutto l’anno educativo pastorale di tutta la famiglia Salesiana. Esso potrà essere ripreso e approfondito nella missione evangelizzatrice, negli interventi educativi e nelle azioni di promozione sociale che in ogni parte del mondo fanno capo ai gruppi della nostra Famiglia, che trova in Don Bosco il Padre Ispiratore.”

Così scrive nell’introduzione Don Angel che è al termine del suo mandato e ha salutato tutti con commozione domenica in teatro. Tutti, davvero tutti, perché erano presenti quasi 400 persone provenienti da tutto il mondo in particolare quello di lingua spagnola, ma anche dal Libano, dall’Ucraina, dall’Ungheria…un popolo multicolor che ha vissuto i momenti di spiritualità e di festa con grande partecipazione ed allegria salesiana.

Non sono riuscita a partecipare a tutte le giornate, ma queste esperienze di mondialità trovo che siano sempre incredibilmente arricchenti per l’anima.

Alcuni temi mi sono rimasti impressi ascoltando: aprirsi a tutti, non restare chiusi nelle nostre piccole realtà, essere operatori di pace, educare alla pace, rinnovare ogni giorno la nostra vocazione, dedicarsi ai giovani più poveri come ha fatto Don Bosco, essi non sono oggi molto diversi da quelli che lui ha incontrato, cercato e amato.

 

Pensieri e Parole | Pace – Silvia Falcione

Proviamo a dare un senso alle parole.

Quelle che a volte diamo per scontate e che sono entrate nel vocabolario quotidiano non si sa bene come.

Integrazione. Certamente il senso e il significato delle parole non è solo quello letterale ma ha un aspetto di percezione personale e sociale.

Inclusione. Il termine integrazione ha preceduto per esempio nella riflessione sociologica e pedagogica il termine Inclusione. Entrambi dovrebbero essere sempre accompagnati da un aggettivo es. Sociale o scolastica che serve per esplicitare gli ambiti di applicazione. Da soli si espongono a equivoci.

Tolleranza. Spesso a me non basta. Non mi basta essere tollerata. Voglio di più. Vorrei essere capita. Tuttavia la tolleranza è il primo passo verso il percepire le differenze come ricchezza culturale. Sta anche alla base delle democrazie moderne. Certo è un termine limitato, un primo
passo verso un obiettivo più alto ovvero la convivenza civile e la cittadinanza. Ma senza il primo passo non si scala la montagna. Non si percorre nessuna strada.

Gennaio è il mese della pace. Senza tolleranza e senza inclusione sociale la pace non è di fatto possibile.

L’oratorio di Valdocco era ed è ancora spero, fondato su questi valori.

Pensieri e Parole | La confidenza – Silvia Falcione

Non a tutti si fanno confidenze. Ma quante confidenze ricevute negli anni da allieve e allievi.

L’ultima poco prima di Natale per telefono, anche se non sono più a scuola.

Prof. mi sono ritirata. Ora lavoro, non ce la facevo più, il clima era insopportabile. Penso che farò il serale“.

Me ne ricordo una avuta da tre bambini di 10 anni quando ero maestra. Tre bambini che per quattro anni di scuola non avevano mai dato problemi, vivaci, curiosi, educati.

Da due mesi sembrava che si fossero coalizzati in una banda di monelli disturbatori delle lezioni.

Non capivamo. Poi la confidenza.

Sai maestra i nostri genitori litigano sempre, forse si separano, non sappiamo cosa fare“.

Quei tre si erano confidati tra loro e cercavano di aiutarsi dando però molto disturbo in classe.

Si confidando con me, “Non dirlo a nessuno però maestra, è un segreto e non parlare con i genitori, per favore!“, da quel momento tornarono tranquilli.

Non è facile confidarsi, spesso è un salto nel buio, ma è anche un atto liberatorio.

Don Bosco riceveva molte confidenze dai suoi ragazzi, per questo parlava di familiarità.

L’oratorio era come la famiglia che avevano perduto.

E le nostre famiglie? Sono luoghi di familiarità e confidenza?

Promesse – Pierluigi Baradello

Mi avevano detto che saresti venuto
non sapevo se credere.

Aspettavo, come tanti,
come tutti.

Una sera inseguivo un agnello che si era perso,
ho visto una madre bambina
e un padre stupito
per i tanti che accorrevano per vedere il figlio che gli era nato.

Anch’io mi sono chinato;
basso su quella paglia
custodito tra due assi a greppia
c’era solo una promessa d’ uomo.

Non l’ho dimenticata
e ho continuato ad aspettare, con un dubbio in più.

Poi, già vecchio, riportando un gregge che ormai
s’era abituato alla mia voce
ho visto quella promessa realizzata.

Altri due assi a croce la custodivano.
Alto sul dolore della madre,
di ogni madre
e di ogni uomo,
s’offriva quell’uomo.

Tre giorni ho atteso, d’esser certo
d’averti trovato.

Ora le notti
d’inverno, vegliato dal mio gregge
ad ogni richiamo di promessa d’uomo
ho un sussulto

Sei qui, sei ancora con noi.

Lettera Natale 23 – Don Gianfranco Lajolo

Carissimi amici,

prepariamoci con la preghiera e col silenzio interiore a ricevere l’immenso dono del Natale. Dio si fa uno di noi!!! Perché? Per farci diventare come lui, pieni di misericordia, di bontà, di perdono verso chi ci sta accanto.

Lasciamo ai suoi piedi la nostra vita e lì abbandoniamo il nostro io. Alla Cordata questo Dio, la sua presenza, il suo esserci fratello, lo sperimentiamo tutti i giorni nella fatica, nella condivisione, nel suo perdono e nel perdono vicendevole.

Vi diamo qualche notizia della casa… sappiamo che le attendete sempre con gioia.

I nostri studenti sono aumentati, Giovanni e Francesco sono arrivati al quinto anno di alberghiero; Quest’anno avranno la maturità. Così Sheladin, arrivato a settembre, frequenta l’ultimo anno di ragioneria. Mohamed frequenta il primo anno alla casa del ragazzo con un corso triennale di cucina.

Lino, 13 anni, da giugno è con noi e frequenta la terza media. Patrick è arrivato in quarta elementare; quest’anno, tappa importante, la prima comunione.

Così come Gabriel, anche lui in quarta elementare, a maggio farà la prima comunione.

Gabriel grande è arrivato al secondo anno di infermieristica e frequenta il Conservatorio di Perugia con la sua Viola Da Gamba.

Noel frequenta il primo anno di asilo mentre la piccola Lola frequenta l’asilo nido così come Janis. Janette va a scuola e frequenta la terza elementare.

Insieme a tutti questi giovani abbiamo le loro mamme. Sabrina, la più vecchia del gruppo è la zia di tutti i bambini. Maria, è la mamma di Janette e Janis. Janeta è la mamma di Lola e Silvana è la mamma di Gabriel e Noel.

Infine c’è Mustapha, che si occupa sempre dei lavori esterni e il nostro Franco Bori (il nostro professore) che a luglio ha compiuto novant’anni.

Da pochi giorni è tornato dall’ospedale in quanto, ad agosto, cadendo si è rotto il femore. Ha subito un intervento con protesi e ora è da seguire in tutto poiché questa caduta lo ha debilitato ulteriormente.

È felice di essere con noi ma con una preoccupazione costante: “quella di darci troppo lavoro”.

Del nostro gruppo quest’anno sono riuscite a trovare casa e lavoro Haxhire con le sue bambine Martina e Vanessa e Xhemile con il suo Leo.

Presto ci lascerà anche Maria con Janis e Janette in quanto da alcuni mesi ha trovato lavoro.

Vogliamo ringraziarvi tutti, uno ad uno, in maniera personale in quanto questo “miracolo dell’amore” l’ha compiuto sì il buon Dio ma anche attraverso di voi che con le vostre preghiere, le vostre donazioni, ci siete tanto vicini; permettete alla Cordata di essere la casa della Provvidenza, la casa dell’Accoglienza.

Da quella culla, Gesù bambino ci dice: “venite a me, voi che siete stanchi e affaticati. Non sono venuto a condannare, ma a perdonare”.

Carissimi, corriamo verso la grotta di Bethleem con la voglia matta di vedere Gesù bambino; chi si consegna a lui non sa dove sarà portato.

Una cosa sola sa: che tutto ciò che gli capiterà sarà un bene per lui, perché siamo amati da Dio per sempre.

Un Buon Natale a tutti voi; grazie per il bene che fate e per come siete in Cordata.

Vi aspettiamo ad Assisi e il sorriso e la pace che si alza dalla culla di Bethleem sia lo stesso sorriso e la stessa pace che portiamo nel cuore e che doniamo a chi incontriamo sul nostro cammino.

Un caro saluto,

Giovanna e don Gianfranco

La Cordata

Il culto dei morti – Adriana Perillo

Il mese di novembre è associato al ricordo dei nostri defunti e al rito della visitazione dei cimiteri, per deporre fiori e lumini sulle tombe e pregare.

Molte persone si spostano anche da luoghi lontani per poter salutare i propri cari estinti, quasi si senta il bisogno di assicurare loro la memoria, curando l’aspetto delle tombe o dei loculi per renderli meno tristi.

Il 2 novembre i cimiteri sono aperti per accogliere la gente che, molto più numerosa del solito, si sparge per i viali in cerca delle proprie” radici”.

Certamente questa pratica commuove ed emoziona molto e il ricordo di chi non c’è più si ravviva, si acuisce il dolore per la perdita ma riempie ancora i cuori con l’amore che legava alle persone trapassate.

Ogni paese, pur piccolo, dedica una parte del proprio territorio al cimitero, e nelle grandi città sorgono anche diversi cimiteri per ospitare i defunti. Alcuni offrono interessanti aspetti estetici nelle tombe costruite da veri artisti.

Un tempo i campisanti erano ospitati dentro le mura delle città, nei conventi, nelle chiese. Nel 1804 Napoleone emanò l’editto di Saint Cloud con cui obbligava la sepoltura dei morti fuori dalle mura cittadine, le lapidi dovevano essere tutte uguali e senza eccessive decorazioni. Questo editto fu influenzato dalle idee di uguaglianza della rivoluzione francese ma anche per ragioni igieniche.

Il nostro grande poeta Ugo Foscolo era contrario a questo anonimato delle tombe perché mortificava la memoria degli uomini gloriosi che con le loro opere avevano reso il proprio paese illustre e che, con il loro esempio, potevano infiammare i cuori degli uomini e portarli all’emulazione (v. I Sepolcri).

Ma quando è nato il culto dei morti? Possiamo dire che l’uomo, sin dal paleolitico, esprime una forma di rispetto verso il defunto, facendo trapelare un tipo di pensiero rivolto non solo ai propri bisogni fisici ma anche a interessi superiori, qualcosa di simile a una specie di spiritualità.

Sappiamo poco delle usanze funebri dell’età paleolitica, certamente diverse a seconda delle località. I cadaveri venivano bruciati o buttati nell’acqua dei fiumi o nei mari, nascosti nelle cavità degli alberi, alcuni mangiavano il cervello dei defunti forse per avere con sé qualcosa di loro.

Solo all’epoca dell’uomo di Neandertal si diffuse l’uso di seppellire i morti e spesso accanto al cadavere venivano messi oggetti utili alla vita quotidiana, forse perché si sperava in una nuova vita dopo la morte.

Circa 9000 anni fa si sviluppò la religione e il vero culto dei morti. Nel neolitico si inizia a costruire tombe dove il cadavere veniva ricoperto di terra e murato in una camera interna.

Le tombe dei personaggi importanti di un villaggio divennero luoghi di ritrovo del popolo per le cerimonie religiose e le sepolture sontuose erano motivo di orgoglio.

Le piramidi sono la testimonianza dell’importanza del culto dei morti. Gli Egiziani consideravano la morte come il passaggio ad un’altra vita del defunto e per questo avevano studiato il modo di conservare i cadaveri con la mummificazione dopo la quale i corpi venivano posti in vari sarcofagi in posa eretta e circondati da oggetti per la vita quotidiana, statuine raffiguranti i famigliari, il cibo, le armi.

Questi sono solo pochi accenni sull’antico culto funebre ma in ogni nazione ci sono testimonianze e ritrovamenti fatti dagli studiosi archeologi e antropologi che confermano tali abitudini.

Lo studio di questo argomento è vasto ed interessante. Ancora oggi i riti si differenziano tra i popoli ma indicano tutti il grande legame che unisce i vivi e i morti, ovunque e sempre, attraverso il ricordo perpetuo che ci viene stimolato visitando i cimiteri.

Intervista 3 – Silvia Falcione

Con i miei studenti di terza e quarta liceo delle scienze umane abbiamo affrontato il fenomeno della migrazione spaziando da quella di oggi fino a quella dei loro nonni durante la grande migrazione interna italiana da sud verso nord, in particolare verso Torino e la Fiat.

Ho chiesto loro di realizzare delle interviste libere sulle storie di vita dei migranti che conoscevano. Hanno raccolto storie molto interessanti che vi proponiamo.

Intervista realizzata da Federica, 16 anni

Sorprendentemente migrano anche gli italiani. Qui di seguito vi presento l’intervista che io, Federica, studentessa del terzo anno del Liceo delle Scienze Umane – indirizzo Economico Sociale, ha svolto ad una amica di famiglia, Daniela, ora
quarantasettenne, giunta da Palermo nel 2007 e trasferitasi a Torino, nel quartiere Mirafiori.

All’età di trentun anni ha intrapreso questa nuova avventura spinta dal desiderio di realizzare i suoi sogni. Ecco il suo breve racconto.

FEDERICA: “Perché hai deciso di partire?”

DANIELA: “Quando ho deciso di partire ero già sposata con Dario e, contemporaneamente alla decisione di partire, abbiamo scoperto che ero incinta di Alessio, però abbiamo deciso lo stesso di avventurarci in questa nuova impresa perché fondamentalmente Dario voleva un po’ modificare la posizione lavorativa e lì dove eravamo, cioè a Siracusa, non c’erano molte prospettive.

Io volevo studiare psicoterapia, mi interessavano varie scuole di specializzazione, alcune delle quali erano a Torino, allora abbiamo pensato di unire le due cose: lui di accettare una proposta che gli è arrivata da una società di Torino e io di iscrivermi a una scuola di specializzazione qua. E così siamo partiti.”

FEDERICA: “Che viaggio hai fatto?”

DANIELA: “Siamo partiti in due maniere diverse. Dario è venuto prima per mettere su casa, visto che io ero incinta. È partito in nave per potersi portare la macchina e alcune prime cose che potessero servirci. Inizialmente ha vissuto in albergo e poi ha cominciato a cercare una casa per noi. Quando ha trovato un piccolo appartamento arredato, in una in una zona tutto sommato abbastanza vicino al suo lavoro, l’ho raggiunto io. Lui è partito a giugno, io sono arrivata a settembre e in questa piccola casa già arredata di corso Traiano qui è iniziata la nostra vita”.

FEDERICA: “Com’è stata l’accoglienza nel luogo di arrivo?”

DANIELA: “Quando dicevo giù che sarei venuta a Torino mi dicevano tutti: “Noooooo, ma cosa ci vai a fare? Una città grigia, non c’è il mare, tu, in una città dove non c’è il mare, cosa vai a farci?” e non mi aiutavano molto, però non mi sono fatta demoralizzare.

Sono partita con l’immagine di Torino nella mia testa come di una città grigia, dove ci fossero soltanto fabbriche. Mi dicevano: “A Torino c’è solo la Fiat!” e io ci credevo perché non avevo mai visto Torino.

Non avevo mai fatto una visita turistica qui a Torino. Quando poi sono arrivata, in realtà quello che ho pensato è stato: “M*****a che bella città!”, nel senso che l’ho trovata veramente bella, regale, particolare e mi è piaciuta moltissimo.

E a poco a poco diciamo che mi sono abituata all’idea di una città dove non ci fosse il mare, anche perché ho scoperto che c’è la montagna, che il mare non è così distante, e che qua si vive bene.

Alessio è nato qui. Quindi io sono arrivata a settembre, lui è nato a dicembre e poi ci siamo trasferiti nel quartiere dove viviamo tuttora, che poi un po’ è il quartiere che ci ha accolto.

L’accoglienza….com’è stata l’accoglienza inizialmente? Inizialmente …..ehm,…chi mi ha accolto a Torino sono stati degli amici siciliani che già vivevano qui. Quindi diciamo che ho avuto un po’ un “cuscinetto”.

Sono state le persone che abbiamo frequentato all’inizio quando ci siamo trasferiti, per cui c’è stata un’accoglienza da concittadini del Sud e a poco a poco abbiamo cominciato a familiarizzare anche con le persone del luogo.

È stata un’accoglienza lenta. C’è voluto qualche anno.

È stata favorita dai bambini, nel senso che ci si incontrava al parco con altri genitori che portavano i loro figli o in chiesa, oppure fuori dalla scuola. E mentre si guardava giocare questi bambini o li si aspettava, si chiacchierava.

E così sono nate le prime amicizie. Noi siciliani abbiamo un temperamento un po’ più focoso: a noi basta incontrarci due volte e poi la terza a invitarci reciprocamente a casa propria, “Vieni a cena da mE”, “Vieni a bere un caffè”, eccetera.

Qui quello che ho notato inizialmente è che questo non succedeva: vedevo le persone, la prima, la seconda, la terza, l’ottava, la decima volta, ma non scattava mai un invito e neanche da parte mia, io mi adattavo un po’ a questa cosa.

Quello che ho visto rispetto ai torinesi e che, nonostante questo “riscaldamento” lento, poi in realtà quando ti aprono le porte del loro cuore, in qualche modo sono veramente speciali e allora, amicizie che sono scattate poco a poco, poi sono diventate solidissime nel tempo.

Sono persone che sono diventate per me punti di riferimento. Adesso abbiamo amici torinesi, proprio torinesi che sono dei punti di riferimento per noi.

Lo stesso quartiere dove viviamo, è diventato un po’ un punto di riferimento, una comunità di cui ci sentiamo parte, per cui non ci sentiamo più, diciamo “ospiti” o quelli arrivati da poco, in qualche modo quelli di “fuori”. Ci sentiamo ormai parte di questa comunità.

Ehm…….Che cosa ti posso dire in siciliano? Ti posso dire che quando qualcosa finisce nelle mie parti si dice: “Agneddu e sucu e fini’ u vattiu” cioè letteralmente: “Agnello e sugo ed è finito il battesimo”.

FEDERICA: “Secondo te quali sono le differenze tra il Piemonte e la Sicilia rispetto allo stile di vita?”

DANIELA: “Ricordo ancora le cose che inizialmente mi hanno colpito del modo di vivere che ho trovato qua a Torino. Allora… la cosa che proprio mi sconvolgeva inizialmente era il fatto che i panifici alle 06:30 del pomeriggio non avessero più pane e chiudessero bottega, perché da noi alle 18:30 i panifici sono ancora molto attivi, i forni sono interni, non sono solo delle rivendite, ma proprio preparano loro il pane e vanno avanti fino alle 09:00 di sera, perché quando si smette di fare pane si cominciano a preparare le pizze e tutta una serie di prodotti da tavola calda che si vendono fino anche alle 21:00.

In generale notavo questo, la differenza negli orari di apertura e chiusura dei negozi probabilmente seguiva, segue le temperature. Quando sono arrivata a Torino era ancora una Torino molto fredda, nevicava, iniziava a nevicare a novembre, fino a Marzo c’era la neve depositata per le strade, cosa che adesso effettivamente non succede più.

Però allora, quando sono arrivata sì, e questo era sicuramente una grande differenza con le mie città siciliane e ovviamente questo determinava il fatto che i negozianti non potessero tenere aperto fino a tardi perché, a un certo orario, si gelava fuori e mentre da noi c'è una temperatura gradevole fino a tardi e questo permette uno stile di vita forse un pochino più improntato all’aperto.

E anche ho notato che, per esempio, Torino è una città ricca di quartieri, di giardini dove è possibile praticare dei giochi all’aperto, cosa che per esempio le nostre città non hanno; da noi per stare in piena natura di solito si va al mare.

Fondamentalmente quello è lo sbocco naturale che hanno le città siciliane, mentre qui invece c’è una grande attenzione proprio alle aree verdi della città. Ed è una cosa che mi è piaciuta molto e che ti dico mi ha anche permesso e favorito lo scambio con le persone del luogo: appunto io portavo i bambini a giocare nei parchi e così facendo ho conosciuto tante persone.

Il nostro stesso quartiere è ricco e pieno di aree verdi che consentono molto la socializzazione. Poi altra differenza, ovviamente rispetto al cibo, la cucina piemontese è stata una scoperta: non la conoscevo la tradizione degli agnolotti; ho iniziato a mangiare con gusto la carne, che è una cosa che….ehm… ecco, in Sicilia non mangiavo tanto, non mi piaceva particolarmente. Qui l’ho scoperta, mi piace molto.

E poi si, il confronto con le persone amanti della montagna. Ti dico, questa è stata un’altra grande differenza che mi hanno fatto scoprire anche un po’ la montagna, portandomi a fare passeggiate e portandomi a conoscere la montagna sia quando innevata sia quando è verde, in estate
e quindi qua abbiamo scoperto per esempio la bellezza del trekking e delle passeggiate in montagna.

Bene o male allora credo che siano state queste le differenze principali. Ovviamente, ci colpiva qualcosa anche rispetto il dialetto no? E ci colpivano delle frasi tipiche piemontesi, tipo il classico: “Neeee”, per esempio che noi non diciamo oppure “Facciamo che andare”, che noi non diciamo; ci divertivamo un po’ a trovare questa differenza nel linguaggio, anche se non siamo mai entrati veramente a contatto col dialetto piemontese, perché è veramente parlato poco, pochissimo e quindi è difficile per noi imbatterci ancora in qualcuno che lo parli.

Aggiungo solo una cosa Fede, perché un’altra cosa che ricordo e mi colpì moltissimo di Torino fu il suo silenzio, io venivo dal caos di Palermo dove si sentiva il rumore in ogni angolo delle strade, in qualunque strada della città, sono arrivata qua, mi sembrava una città silenziosissima, anche quando ero piena di gente.

Non c’era mai quel caos da cui venivo io e questo mi colpì tantissimo allora”.

Torino, 14 Aprile 2023

Di Buon Mattino (Tv2000) – Le catacombe di Santa Cristina a Bolsena

Le catacombe di Santa Cristina a Bolsena

TV 2000, durante il programma Di Buon Mattino, ha presentato le catacombe di Santa Cristina a Bolsena.

Mons. Pasquale Iacobone, Presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, introduce l’argomento.

Intervista 2 – Silvia Falcione

Con i miei studenti di terza e quarta liceo delle scienze umane abbiamo affrontato il fenomeno della migrazione spaziando da quella di oggi fino a quella dei loro nonni durante la grande migrazione interna italiana da sud verso nord, in particolare verso Torino e la Fiat.

Ho chiesto loro di realizzare delle interviste libere sulle storie di vita dei migranti che conoscevano. Hanno raccolto storie molto interessanti che vi proponiamo.

Intervista realizzata da Elisa, 17 anni

Ecco l’intervista di Leticia Moreira Passamani Marqués, che racconta della sua storia di vita di quando è migrata in Italia.

La prima domanda che ho posto a Leticia è stata: “Perché hai deciso di partire?” La sua risposta è stata:

“Ero molto piccola, avevo solo 5 anni quando sono arrivata in Italia. Io, mia mamma e mia sorella abbiamo deciso di partire dal Brasile all’Italia principalmente perché mia madre lavorava al Consolato italiano in Brasile e quindi per motivi lavorativi era più comodo trasferirsi qui.

Inoltre lì la vita è molto più cara, c’è un’enorme disuguaglianza tra le poche persone ricche e i tanti poveri e la nostra era una famiglia che aveva i soldi solo per mangiare, per curarsi in caso di necessità attraverso i servizi sanitari e per pagare le spese e i servizi essenziali alla vita.

Siamo venute in Italia per cercare condizioni di vita migliori, per allontanarci dalla realtà spesso violenta del Brasile, per vivere in un paese più sicuro e per avere una buona istruzione.

Un altro motivo per il quale siamo migrate era mia nonna, che era già venuta due volte in Italia e alla terza aveva deciso di viverci definitivamente e di richiedere quindi il permesso di soggiorno.”

La seconda domanda che le ho posto è stata: “Che viaggio hai fatto?” Lei ha risposto cosi:

“Ho fatto un viaggio di due ore partendo da Espirito Santo, stato sudorientale del Brasile in cui sono nata, fino a San Paolo. Da San Paolo ho fatto otto ore di aereo fino a Torino Caselle.

È stato un viaggio molto lungo e molto faticoso, soprattutto per una mamma sola con due bimbe piccole che si stava trasferendo in un luogo così distante. Era luglio e faceva molto caldo, da quel che mi ricordo, avevamo viaggiato in comodità e in sicurezza.

Il viaggio, la partenza dal Brasile e l’arrivo in Italia, avevano richiesto molti controlli e sopratutto la validità del passaporto brasiliano. Finalmente, dopo un viaggio lunghissimo, arrivammo a Torino”.

La terza domanda che le ho posto è stata: “Come è stata l’accoglienza nel luogo di arrivo?E lei mi ha detto:

“Nonostante fossi molto piccola all’inizio non fu semplice, sentivo il distacco dal luogo in cui ero nata e cresciuta fino ad allora e la lontananza di mio papà, che essendo un militare era ed è tutt’ora rimasto lì per lavorare.

Ai primi tempi non conoscevo nessuno e il non sapere la lingua mi impediva di fare amicizie, però ero tranquilla poichè avevo con me i famigliari più stretti e dopo tanto tempo avevo rivisto la nonna.

La malinconia iniziò a scomparire del tutto quando iniziai la prima elementare. Mi ricordo che fin da subito le maestre e i compagni cercarono di integrarmi nella classe per non farmi sentire a disagio, ma solamente dal terzo anno iniziai a parlare bene l’italiano in modo tale da poter comunicare con gli altri.

Da lì a poco iniziai a socializzare, a fare le prime amicizie e a inserirmi i nuovi contesti come ad esempio praticare danza con altre bimbe della mia età.

Crescere in un paese che non è quello in cui sono nata è stata una dura prova per me stessa e per la mia famiglia.

È stato difficile soprattutto per l’adattamento al diverso stile di vita e per la difficoltà nel parlare l’italiano, che mi ha ostacolato nello studio a scuola e mi ha impedito di esprimermi in qualsiasi contesto sociale.

Appena siamo arrivate a Torino abbiamo fatto la richiesta di permesso di soggiorno, dopo 20 giorni la proposta è stata accettata e ci hanno rilasciato così i documenti.

Ormai ho 17 anni, vivo in Italia da 12 anni e sono a tutti gli effetti una cittadina italo-brasiliana, come lo è tutta la mia famiglia.”

Così Leticia, con le lacrime agli occhi per l’emozione, conclude il racconto della sua storia di vita.