A SCUOLA con il Presidente – Silvia Falcione

“Ciao Elisa. Scusa se ti chiamo di venerdì sera e a ora di cena ma avrei bisogno di parlarti di una cosa importante. “Buonasera professoressa come sta? Ma la scuola non è ancora cominciata…eh sì la scuola inizia lunedì, ma ehm, tu sai che avremo la visita del Presidente Mattarella … e si professoressa, ho letto la circolare”. Silenzio. “Ehm , ecco , io volevo chiederti se volevi fare parte del comitato di accoglienza, cioè del gruppo di studenti che faranno accoglienza al Presidente.” Un attimo di silenzio, temo un no, per quanto sono timidi i miei studenti, lei è giovane, andrà solo in terza….invece …”Sì professoressa, che bello, che onore! Posso dirlo anche a Davide? Sa, l’altro rappresentante di classe….ma certo! Lo chiami tu?”.

E così cominciava l’avventura.

Per una settimana ci siamo preparati alla visita del Presidente Mattarella nella nostra scuola CURIE-VITTORINI di Grugliasco in occasione dell’evento televisivo TUTTI A SCUOLA , andato in onda in diretta su RAI 1 venerdì 16 settembre dalle 16,30 per l’apertura del nuovo anno scolastico dopo due anni di sofferenza e pandemia. Mentre le attività didattiche di inizio anno prendevano il via, a poco a poco cresceva il clima di attesa in una mancanza totale di informazioni, che abbiamo appreso soprattutto dagli spot televisivi e dai social. In realtà non sapevamo bene il programma. La RAI ha occupato 10 aule e 10 classi hanno fatto lezione per tutta la settimana nei laboratori. Hanno costruito un palco enorme accanto ai nostri campi sportivi all’aperto e poi hanno cominciato a chiedere gruppi di studenti per l’accoglienza, per il servizio d’ordine, per raccontare le attività scolastiche al Presidente. Un lavoro immane. Ma gli studenti erano entusiasti ed emozionati e noi docenti con loro. Il Preside prima di tutti. Preoccupato, oberato di lavoro, ma felice.

“Prof. Ma come salutiamo il Presidente? Buongiorno o buonasera? Perché è pomeriggio, ma guardi che sole! Ma lo vedremo da vicino vero? “Certo ragazzi si farà la passeggiata nel corridoio lungo 300 metri proprio come voi! (la nostra scuola è enorme, 96 classi, 2200 studenti, 200 professori).Quindi sarete vicinissimi e forse potrete dargli la mano. “

E così è stato. Marta che dava la mano al Presidente Mattarella e poi si sedeva accanto a lui durante lo spettacolo e gli raccontava tutto il progetto della panchina rossa, non ce la scorderemo più. I ragazzi del tecnico che gli fanno vedere come si fanno rilevazioni sul terreno completi di casco e gilet giallo, non li scorderemo più. E non scorderemo i giovani ospiti ucraini che gli raccontano la tragedia della guerra e la solidarietà italiana.

Buongiorno professoressa ” e “Buongiorno Presidente!” resterà l’attimo più emozionante della mia carriera. E poi la festa grande, condivisa con tante altre scuole italiane ospiti, sul palco della RAI, il vento che si è alzato forte a spettinarci i capelli nelle foto sorridenti. Pace, integrazione, solidarietà, cultura, vita, questa è la scuola vera, non solo nel discorso del nostro amato Presidente. Grazie per questa opportunità e grazie a chi nella nostra scuola si è fatto carico del molto lavoro necessario per realizzarla a partire dal nostro Preside Gian Michele Cavallo.

Grazie a tutti! Buon anno di scuola e di vita!

Silvia Falcione

Come parliamo – Adriana Perillo

Viaggiando sui mezzi pubblici mi capita di ascoltare la conversazione dei giovani che hanno la pessima abitudine di parlare ad alta voce e mi colpisce il loro linguaggio veloce, l’uso di un lessico gergale condito, spesso, di parolacce e volgarità molto pesanti.

In quei momenti mi viene da pensare, con molto rammarico essendo stata un’insegnante, che la scuola non ha inciso in modo positivo sulla loro formazione non solo scolastica ma anche educativa. Il loro parlare, però, deriva dall’esigenza di comunicare nel gruppo per indicare un’appartenenza distintiva: i ragazzi di oggi si sentono isolati se non fanno parte di un gruppo.

Il linguaggio verbale distingue l’uomo dagli animali che, pure, hanno un loro modo di comunicare secondo la propria specie, come i cani e i gatti. La lingua è una realtà dinamica, una parte essenziale del vivere dell’uomo e ci permette di comunicare nel modo più chiaro ed efficace e di costruire infiniti messaggi. Parlare è l’abilità più spontanea e naturale che usiamo per comunicare con gli altri. Si impara a parlare da piccoli per imitazione e poi, pian piano, crescendo, il linguaggio si perfeziona insieme alla nostra capacità espositiva.

Chi non ha il dono della parola impara a comunicare con il linguaggio dei segni. La nostra lingua è ricca di parole e il loro suono è armonioso e dolce e ci consente di esprimerci in modo adeguato usando vari registri, perciò mi chiedo perchè non si usa in modo corretto, mentre si tende a contaminarla sostituendo le nostre belle parole con termini provenienti da lingue straniere, soprattutto inglesismi o tecnicismi mediatici.

Le nostre parole sono pregnanti di sfumature che sono adatte e significative per le varie situazioni e molto profonde nell’espressione dei sentimenti.

Oggi dobbiamo stare attenti a non usare molte parole perchè, pur essendo parti integranti del nostro straordinario patrimonio culturale, sono state sconsigliate in quanto ritenute offensive verso qualcuno e si rischia la denuncia se usate pubblicamente.

Così impoveriamo sempre più la nostra tradizione verbale perchè alcuni stupidi movimenti (cancel culture ) ci impongono di non usare termini come negro, nano, vecchio, handicappato e tanti altri ancora che, pur essendo, magari, non positivi, sono tuttavia parti integranti del nostro vocabolario, che ci permettono di descrivere il nostro mondo. E non parliamo del movimento femminista che vuole modificare al femminile tante parole di genere maschile, cancellando le regole della nostra grammatica. E che dire dei gender che vogliono mettere l’asterisco in fine di parola per nascondere il genere? Come si pronuncia l’asterisco? La natura ci crea maschi e femmine (eccetto qualche caso abnorme di ermafroditismo) e non neutri.

Queste mode sono vituperabili, secondo il mio parere. C’è una ossessione perversa tesa a cancellare la ricchezza della nostra lingua, la sua espressività, per un linguaggio inclusivo che non include un bel niente perchè di una parola si può cambiare il significante, cioè come si scrive, ma non il significato, quello che interessa alla gente che ogni giorno parla e comunica.

Adriana Perillo

La storia della nostra lingua – Adriana Perillo

Per chi volesse dare una spolverata ai ricordi della propria formazione scolastica, ho pensato di fare un breve excursus nella storia della nostra lingua, sperando di fare cosa gradita.

Il latino era la lingua che si parlava a Roma a partire dall’VIII secolo a.C.

Era una lingua povera di vocaboli perchè limitata all’ambito della famiglia, del lavoro nei campi e ai riti religiosi. Quando i Romani per le guerre di conquista vennero a contatto con altri popoli come gli Etruschi, i Liguri, i Veneti, i Greci, i Galli, la loro lingua si arricchì notevolmente.

Nel II secolo a.C. l’impero romano si era esteso ad altri stati che oggi si chiamano Francia, Spagna, Portogallo, Romania e alle regioni dell’Africa mediterranea: queste popolazioni accettarono le leggi, la giustizia, la protezione dei Romani ed anche la loro lingua che, tuttavia, a sua volta, risentì dell’influsso delle parlate locali, acquistando caratteristiche diverse da territorio a territorio, condizionata dai tempi di conquista, dall’assimilazione della lingua e dagli idiomi preesistenti alla diffusione del latino.

Naturalmente il latino scritto aveva regole precise, rispettate da tutti, usato dagli scrittori e poeti, dagli uomini di cultura, insegnato, anche dopo la sua scomparsa nelle forme lessicali eleganti e corrette.

Il latino parlato, invece, era la lingua viva di ogni giorno, usata da tutti, in famiglia, per il lavoro, quindi diversa e malleabile, subiva continui cambiamenti e senza rispettare le regole.

Dopo la caduta dell’impero romano nel 476 anche la lingua si sgretolò, non il latino scritto classico usato dai sovrani per emanare le leggi o dagli scrittori e dalla Chiesa, ma quello parlato dal volgo che si modificò da zona a zona per diverse ragioni.

Così su una base latina, si formarono tante lingue diverse tra loro, chiamate neolatine o romanze, cioè parlate nei territori un tempo dominati da Roma.

Esse sono: l’italiano, il sardo, il francese, il ladino, lo spagnolo, il franco-provenzale il portoghese, il rumeno, il catalano.

Il passaggio dal latino volgare all’italiano è stato un processo lungo e complesso e ha riguardato tutti gli aspetti della lingua, la fonologia, la morfologia, la sintassi.

La maggior parte delle parole italiane deriva dal latino non quello colto ma da quello parlato che non ha mai smesso di vivere, mentre le parole dotte sono state reintrodotte dagli studiosi (latinismi).

L’italiano attraverso i secoli.

Il volgare non fu una lingua unitaria. Con l’invasione dei barbari si accentuarono le differenze tra regioni e regioni, così tra il V e l’VIII sec. d.C. dal latino parlato presero vita i volgari italiani locali. Nel Duecento poeti e scrittori cominciarono a scrivere in volgare; san Francesco compose in volgare umbro il Cantico delle Creature, in Sicilia, alla corte di Federico II fiorirono poesie inneggianti all’amore in volgare siciliano. Nel Trecento si distinse il volgare fiorentino, lingua usata da tre autori grandissimi, Dante, Petrarca, Boccaccio che lo resero nobile con i loro capolavori, famosi anche fuori dalla Toscana.

Il fiorentino sostituì il latino come lingua della cultura mentre il dialetto si usava nel parlato quotidiano.

Nel Quattrocento l’Umanesimo con lo studio dei classici greci e latini arrestò un poco la diffusione del volgare.

Nacque la questione della lingua per stabilire un modello di lingua letteraria e colta. Pietro Bembo nel 1500 indicò la lingua degli scrittori del Trecento. In questo periodo si diffusero le grammatiche e nel Seicento fu pubblicato il vocabolario degli accademici della Crusca che contribuì alla unificazione della lingua.

Nel Settecento si verificò la presenza di francesismi grazie all’Illuminismo, corrente filosofica che si proponeva di liberare la coscienza da tutti i pregiudizi medievali e modificò anche la struttura latineggiante del periodo con una forma più breve e diretta.

Così si raggiunse l’unificazione della lingua scritta ma non ancora quella parlata.

Nella seconda metà dell’Ottocento (1861) con l’unità politica si incrementò l’unificazione linguistica. Il fiorentino si era evoluto avendo acquisito parole di origine straniera per adeguarsi alla nuove conoscenze di idee e di oggetti, perciò era necessario che la lingua fosse capita da tutti e non solo dai dotti.

Manzoni già prima aveva affermato che il fiorentino doveva essere la lingua di tutti perchè era una lingua viva e moderna. Completa.

Non fu un percorso facile. Si partì dall’analfabetismo imponendo l’obbligo dell’istruzione elementare, si adottò l’italiano come lingua ufficiale dello Stato e allo scopo furono trasferiti pubblici ufficiali e militari da Nord a Sud e viceversa.

Così a poco a poco la lingua italiana si impose sui dialetti, favorita dalle migrazioni interne, dall’urbanesimo, dalla diffusione dei mass media e dalla TV (1954), mezzi che organizzarono gli usi linguistici.

Il viaggio nella storia della nostra lingua è lungo ed interessante ma qui condensato per solleticare la curiosità di approfondire l’argomento a chi è appassionato della nostra storia.

Adriana Perillo

Maggio – Adriana Perillo

Il mese di maggio è il tempo per eccellenza dedicato a Maria, madre di Gesù e madre dell’umanità.

Da sempre è stata celebrata e venerata, anche papa Giovanni Paolo II era a lei dedicato.

In quest’anno in cui celebriamo i settecento anni della morte di Dante voglio ricordare il suo canto alla Madonna, scritto nella cantica del Paradiso, recitato da san Bernardo: somma poesia, piena di commozione e ardente amore per la creatura che ha nobilitato la natura umana dopo il peccato originale con l’incarnazione di Gesù.

Tutti conoscono questa bellissima ed altissima preghiera, per questo ricordo solo alcuni versi:

Vergine madre, figlia del tuo Figlio,
umile ed alta più che creatura,
termine fisso d’eterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì,che ‘l suo Fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore
per lo cui caldo nell’eterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra i mortali,
se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali
che qual vuol grazia ed a te non ricorre,
sua disianza vuol volar sanz’ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi dimanda,ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenzia, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontade.

Dante, infine, gode della sfolgorante e soprannaturale ed inesprimibile visione di Dio.
Noi chiediamo a Maria, umilmente, che la sua misericordia e la sua benevolenza ci accompagnino nel nostro cammino di vita.

Adriana Perillo 

Semi – Giovanna Colonna

Vi invito a ascoltare gli interventi di Maurizio, che è partito troppo presto ma ci ha lasciato tanti semi: alcuni li aveva già messi nella terra, altri li teneva per una prossima semina. I semi già piantati hanno portato frutto e noi abbiamo la responsabilità di prenderci cura degli alberi, affinchè possano produrre ancora: non possiamo sprecare questa bella eredità.

L’albero del V.I.S., il Progettto NUR: sogni e ideali si fondono per realizzare in terra un pezzo di paradiso. La cooperazione internazionale, la pace, il bene comune, la scelta dei giovani meno fortunati, il rispetto della natura, l’amore per la famiglia: principi, valori, certezze che declinavano il Credo di Maurizio, semi da gettare in abbondanza, con generosità, nella nostra vita e nella società. Come ha fatto Maurizio.

Sempre grazie.

Catacombe d’Italia – card. Gianfranco Ravasi

Un progetto della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra:

“Per questo le catacombe non sono tristi bassi fondi oscuri, ma sono un mondo segreto che si apre al pellegrino e al turista con tutta la bellezza, la fede e la memoria di tante persone che hanno creduto in Cristo e nella sua parola di speranza”

 

OBIETTIVO 16: PACE GIUSTIZIA E ISTITUZIONI SOLIDE – Alessandra

Questa studentessa di classe terza liceo è rimasta colpita dal seguente obiettivo e lo commenta ponendosi domande difficili anche per gli adulti, con una consapevolezza che spesso non pensiamo che i giovanissimi abbiano, invece… leggete.

-Silvia Falcione

 

OBIETTIVO 16: PACE GIUSTIZIA E ISTITUZIONI SOLIDE

Un problema purtroppo molto presente ancora oggi nel mondo è la guerra. Sembra strano dirlo perché è sempre stato un evento considerato storicamente o geograficamente distante da noi. Ora invece abbiamo una guerra in Europa che è in bilico tra la fine di una battaglia e l’inizio di una terza guerra mondiale. Ci troviamo in un momento molto instabile perché o rinunciamo alla democrazia e diciamo sì alla pace (nel senso che se lasciamo l’Ucraina a Putin avremo la pace ma rinunciamo alla democrazia), abbandonando le armi, oppure continuiamo a lottare per essa.

È abbastanza contraddittorio il fatto di dover ottenere la pace facendo la guerra, è triste che oggi ancora si debba ricorrere a ciò. Questo obiettivo si basa proprio sulla pace, sulla giustizia attraverso istituzioni forti. Allora perché non riusciamo a mettere di fatto sullo stesso piano la pace e la giustizia? Perché per ottenere giustizia dobbiamo usare le armi? Come può la pace nascere dalla guerra? Ritornando al discorso generale, questo obiettivo si basa sulla riduzione di violenza che oggi invece sta solamente aumentando su donne e bambini soprattutto.

Non si parla solo di violenza fisica ma anche psicologica. Stupri, abusi e violenze, in particolare domestiche sono all’ordine del giorno senza necessariamente la presenza della guerra. Le giustizia poi dovrebbe essere accessibile a tutti, allora perché le persone ancora oggi non sono tutelate nel denunciare? Come può una persona parlare se poi c’è un seguito di violenza successiva a spaventarla? Tutto ciò avviene perché la giustizia non è così immediata come dovrebbe. È necessario potenziare le istituzioni nazionali più importanti, anche attraverso la cooperazione internazionale, in modo da sviluppare in particolare nei paesi in via disviluppo, le condizioni adeguate per prevenire la violenza e per combattere il terrorismo e di seguito promuovere e applicare leggi non discriminatorie e politiche di sviluppo sostenibile.

Purtroppo nonostante i buoni propositi ci siano, non riusciamo ancora a realizzarli in maniera adeguata. Anche se nella storia i progressi ci sono stati anche solo nel pensiero sociale, sfortunatamente siamo ancora giustamente impegnati a ricordare lo sterminio degli Ebrei nel Giorno della Memoria, quando nel mondo sono presenti tutt’ora numerosi campi di concentramento e di detenzione illegale ad esempio in Cina e in Africa.

SE VUOI LA PACE LAVORA PER LA GIUSTIZIA

-Papa Paolo VI

-Alessandra 16 anni

OBBIETTIVO 1: PORRE FINE AD OGNI FORMA DI POVERTÀ NEL MONDO – Giulia

Ho fatto commentare ai miei allievi di terza gli obiettivi della AGENDA 2030. Ne sono usciti testi sorprendenti che ho deciso di condividere con voi. Perché siamo Salesiani e amiamo i giovani.

-Silvia Falcione

OBBIETTIVO 1: PORRE FINE AD OGNI FORMA DI POVERTÀ NEL MONDO

Ho scelto di commentare questo obbiettivo poichè mi tocca da vicino, avendo parenti che vivono in Africa, con più precisione in Eritrea. Sentire quello che loro considerano normalità e l’estremo paradosso fra il mio stile di vita e il loro, mi rattrista. Spesso sento raccontare da mia nonna situazioni devastanti di molti bambini, bambini obbligati a mangiare quel poco di cibo sporco che riescono a procurarsi per appagare il loro straziante senso di fame, li senti piangere, gridare e alle volte pure lottare per nutrirsi.

Abbiamo sentito più volte ripetere la frase “Perchè fanno figli se sanno della loro condizione economica, che egoisti!”. Coloro che dicono queste parole non sanno che la povertà non permette di procurarsi le giuste precauzioni per limitare le nascite. “Okay, allora non fate sesso(?)”, facile da dire presumo, dovremmo capire che oltre ad essere un bisogno fisiologico, spesso in questi posti, dove regna la povertà, regna anche la criminalità.

Molte di queste “donne” rimangono incinta a causa di uno stupro o semplicemente obbligate a prostituirsi per fame. Si possono trovare ragazzine di 14 anni in mezzo alla strada. Bambini di ogni età subiscono abusi di qualsiasi tipo e questo accade dinnanzi agli occhi di tutti, ma nessuno ha le forze di protestare, data anche la mancanza di forze dell’ordine efficienti. Per molti di loro, l’unica soluzione sarebbe emigrare in paesi più civilizzati, ma anche questo é molto complicato e pericoloso per via di tutta la criminalità che gestisce i viaggi della speranza.

Spero vivamente che si riesca a raggiungere questo obbiettivo entro il 2030, e che finalmente tutti abbiano le stesse opportunità di vita, è davvero triste come molti bambini debbano vivere una realtà ai limiti della moralità facendo sì che i loro giovani sogni vengano distrutti.

-Giulia 16 anni

Festa Di San Domenico Savio – 180° anniversario

Fate tutto per amore, nulla per forza

 

Un weekend intero dedicato alle celebrazioni della Festa Di San Domenico Savio in occasione del 180° anniversario (1842-2022) della nascita del Santo a San Giovanni di Riva, presso Chieri, nella sua casa natìa. Il programma della festa è il seguente:

VENERDÌ 6 MAGGIO –LA SANTITÀ “DELLA PORTA ACCANTO”

  • Ore 20:45 riflessione con Don Michele Molinar Vicario e Delegato della Famiglia Salesiana Ispettoria ICP

SABATO 7 MAGGIO – SANTITÀ STARE INSIEME IN ALLEGRIA

  • Ore 18:30 ritrovo
  • Ore 20:00 cena
  • Ore 21:00 Grande Gioco notturno (portate le torce!), serata intrattenimento tenuta dagli animatori di Riva presso Chieri. Per informazioni e prenotazioni telefonare ad Alessandro Parizia 3292008776.

DOMENICA 8 MAGGIO – AMATI PER NOME

  • Ore 10:45 omaggio a San Domenico Savio davanti al monumento
  • Ore 11:00 santa Messa presieduta da Don Enrico Ponte, direttore e maestro del noviziato Colle Don Bosco, animata dalle corali della parrocchia
  • Ore 13:00 pranzo (su prenotazione) preparato dagli Amici di San Giovanni
  • Ore 14:30 mamma, papà, vi porto a giocare!
  • Ore 16:30 chiusura dei giochi, saluto e conclusione con merenda

Banco di beneficienza sempre accessibile durante l’evento.

IL PIANTO DI DIO – don Emilio Zeni

Non so se sia teologicamente corretto, ma credo che il pianto del Signore sia vero, a volte inconsolabile. È il pianto del padre che si vede respinto dai figli costretto ad assistere, impotente, allo sbandamento delle sue creature, ad amare senza essere richiamato. Se è vero, come si legge nel Vangelo, che si fa più festa in cielo per un peccatore che ritorna come non pensare, tristemente, che ci sia anche il pianto per un figlio che sbatte la porta e se ne va?

Ho letto una intervista rilasciata da una scrittrice d’America dopo la tragedia delle torri gemelle a New York: “Perché Dio permette tragedie di tanta efferatezza?”. Il brano mi suggerisce un verosimile lamento di Dio: “O uomo, figlio mio, non posso farci nulla, purtroppo! Hai cancellato il mio nome dai tuoi ordinamenti civili perché ti infastidivo, mi hai messo fuori dalle tue scuole perché inibivo la tua libertà, mi hai espulso dai tuoi parlamenti come presenza inopportuna, mi hai escluso dalla famiglia perché non gradivi i miei interventi per far rivivere l’amore, mi hai ignorato nei laboratori della scienza come elemento di disturbo, hai riso ai miei richiami all’amore, al perdono, al rispetto della vita. Persino la mia immagine ti infastidisce e l’hai tolta dalle pareti della tua casa… Io, che ti ho creato libero perché, liberamente amandomi, il tuo amore fosse vero, sono coerente e rispetto la tua libertà. Mi hai messo da parte! Altro non posso fare se non soffrire e piangere, in silenzio, con te…”

È il lamento di Dio, spassionato e sincero, in fragile linguaggio umano, se vogliamo, ma che ci obbliga ad un interiore silenzio.

Anche Gesù, nella profetica visione della imminente distruzione di Gerusalemme, si lamenta: “Gerusalemme tu che uccidi quelli che Dio ti manda! Quante volte ho voluto riunire i tuoi abitanti attorno a me, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali! Ma tu non hai voluto” (Mt, 23,37). E la liturgia del Venerdì Santo ripropone la drammatica ingratitudine dell’uomo: “popolo mio, ti male ti ho fatto, in che cosa ti ho provocato? Perché mi fai soffrire? Dammi una risposta…”

Ingratitudine e presunzione, con tutte le aberrazioni che ne sono seguite, risalgono agli albori dell’umanità e continuano oggi, nello scellerato tentativo di mettersi al posto di Dio e riscrivere le leggi della vita e della felicità. Ne sono nati i mostri di morte e abissi di disperazione. Un pianto quello di Dio, che ha il tono di uno sfogo, e diventa paterna risposta ai nostri umani e assurdi lamenti, invito a smettere ogni atteggiamento risentito è ingiusto nei suoi confronti.

Ma cela anche una speranza, una mano tesa all’uomo perché si lasci salvare. Alla antica chiesa di Laodicea, come si legge nell’Apocalisse, il Signore rivolge un amaro rimprovero, sembrerebbe fatto per noi, uomini del 2000: “Voi dite: siamo ricchi, abbiamo fatto fortuna, non abbiamo più bisogno di nulla… ma non vi accorgete di essere dei falliti, degli infelici, poveri e nudi… cambiate vita, dunque!” E aggiunge: “Ascoltate! Io sto alla porta e busso. se mi aprirete, io entrerò e ceneremo insieme…“(Ap 3,17 SS).

No, estromesso in mille maniere dalla nostra vita, Dio non se ne è andato! A noi aprirgli la porta. E sarà convito e sarà festa. Sarà Risurrezione, sarà Pasqua.

In questa prospettiva, i nostri auguri Pasquali agli affezionati lettori.