Famiglia, luogo di perdono… Papa Francesco

Non esiste una famiglia perfetta.

Non abbiamo genitori perfetti, non siamo perfetti, non sposiamo una persona perfetta, non abbiamo figli perfetti. Abbiamo lamentele da parte di altri.

Ci siamo delusi l’un l’altro. Pertanto, non esiste un matrimonio sano o una famiglia sana senza l’esercizio del perdono. Il perdono è vitale per la nostra salute emotiva e per la nostra sopravvivenza spirituale. Senza perdono la famiglia diventa un’arena di conflitto e una ridotta di punizioni.

Senza perdono, la famiglia si ammala. Il perdono è l’asepsi dell’anima, la pulizia della mente e l’alforria del cuore. Colui che non perdona non ha pace nell’anima o comunione con Dio. Il dolore è un veleno che intossica e uccide.

Mantenere il dolore nel cuore è un gesto autodistruttivo. È l’autofagia. Colui che non perdona diventa fisicamente, emotivamente e spiritualmente malato.

Ed è per questo che la famiglia ha bisogno di essere un luogo di vita e non di morte; Il territorio della cura e non della malattia; Lo scenario del perdono e non la colpa. Il perdono porta gioia dove il dolore produce tristezza; In cui il dolore ha causato la malattia.

 

Di Buon Mattino (Tv2000) – Le catacombe tuscolane “ad decimum” di Grottaferrata

Le catacombe tuscolane “ad decimum” di Grottaferrata

Qualche giorno fa su TV 2000, durante il programma Di Buon Mattino, vengono presentate le catacombe tuscolane “ad decimum” di Grottaferrata.

Mons. Pasquale Iacobone, Presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, introduce l’argomento.

21 novembre: Festa degli Alberi al CURIE-VITTORINI

Per la Festa degli Alberi sostenuta da Legambiente, nella nostra scuola abbiamo piantumato una splendida magnolia grandiflora sempreverde che eliminerà circa 30 kg di CO2 ogni anno e arricchirà il primo spazio verde interno sostituendo il pino che aveva dovuto essere abbattuto perché pericolante.

Gli studenti del laboratorio di pittura hanno voluto arricchirà l’evento con un dipinto a muro di un coloratissimo ABBRACCIO ALL’ALBERO che sottolinea l’energia positiva che ci donano gli alberi così come gli abbracci.

Le parole del Preside (che ama molto le magnolie) Gianmichele Cavallo:

Gli alberi possono sopravvivere senza di noi, ma noi non possiamo sopravvivere senza gli alberi. Questa frase ci fa capire quanto sono importanti gli alberi, quanto è importante la natura per la nostra vita, per la nostra esistenza e per il pianeta. Stiamo piantando un albero ornamentale che farà dei bellissimi fiori di cui coglieremo tutta la meraviglia e l’importanza ecologica e naturalistica. Guardando anche il bellissimo dipinto che hanno realizzato i vostri compagni ci ricorderemo quanto sono preziosi gli alberi.  Noi abbiamo una bella scuola con tanti alberi e forse li diamo per scontati. Ma sono presenze molto importanti. La magnolia va a sostituire l’abete che abbiamo dovuto abbattere perché pericolante.

Le parole degli studenti del laboratorio della prof.ssa Di Mauro:

Nel nostro dipinto il tronco dell’albero è formato dall’abbraccio di un uomo e di una donna e con questo abbiamo voluto sottolineare proprio che ‘gli alberi possono vivere senza l’umanità, ma l’umanità non può sopravvivere senza gli alberi’. Dunque dato che la natura ha spesso ispirato l’arte, vogliamo in cambio sensibilizzare con il nostro dipinto verso la cura per l’ambiente.

Le parole del nostro giardiniere (scout) Stefano Bacci:

Sappiate che le piante vanno coltivate, gestite, bagnate. Questa pianta dovrete bagnarla soprattutto nelle stagioni siccitose altrimenti rischia di seccare. Dovrete averne cura tutti quanti. Sappiate che siete in una scuola particolarmente fortunata per le aree verdi, godetevele e abbiate e cura tutti quanti. Questo vi volevo dire.

Lunghi applausi. Ecco. È stata davvero una bella festa piena di energia verde e positiva. Adesso aspettiamo i magnifici fiori bianchi e vellutati. Grazie a tutti. Sorriso.

Prof.ssa Falcione, referente educazione ambientale

La giornata del Povero – Silvia Falcione

Il 13 di novembre Papa Francesco ha istituito 6 anni fa la Giornata del povero. In molte parrocchie sono presenti i gruppi Caritas che lavorano seriamente per contrastare la povertà soprattutto in questi tempi difficili.

Prima la pandemia e poi la guerra in Europa che ha messo in crisi le economie con disoneste speculazioni di mercato, come purtroppo sempre succede con le guerre. Vi riporto qui di seguito il messaggio che é stato letto in una parrocchia di Torino al momento del ringraziamento, durante le Messe di questa speciale giornata. Tutti dovremmo sempre pensare che siamo molto più fortunati e molto più ricchi di tante persone che spesso ci passano accanto senza chiedere nulla per dignità.

Cari amici, oggi per volere del nostro caro Papa Francesco, si celebra la giornata del povero, perché come ha detto Gesù nel Vangelo “i poveri saranno sempre in mezzo a voi”.

Vorremmo subito ringraziarvi per quella cesta, la cesta dei poveri, collocata vicino al tabernacolo. Vorremmo ringraziarvi perché con tanta misericordia non la lasciate mai vuota. E perché senza il vostro contributo le famiglie che contano su di noi per mettere insieme il pranzo con la cena, per sé e per i propri figli e a volte nipoti, mancherebbero di molte cose che non si ottengono altrimenti.

Le famiglie che la nostra comunità aiuta sono circa 40. Circa, perché ogni tanto per fortuna, qualcuna riesce a trovare lavoro e viene a dirci con gioia che non ha più bisogno. Molte hanno figli che vanno a scuola. Questo autunno abbiamo aiutato 7 famiglie e 9 ragazzi e ragazze ad acquistare i libri che come sapete sono sempre più costosi. Non tutti purtroppo. Gli aiuti che offriamo sono soprattutto alimentari. Una cospicua spesa mensile e la possibilità settimanale, al martedì sera, di avere pane e cibi freschi gentilmente regalati da due supermercati di zona.

Questo richiede molto impegno di tempo e mezzi privati. Possiamo farlo anche grazie al prezioso aiuto dei nostri giovani universitari che si occupano di persona della distribuzione del martedì. Ma non offriamo solo cibo. È attivo uno sportello di ascolto e uno sportello per il lavoro che collaborano per aiutare per quanto possibile l’uscita dalla povertà.

Perché questo è l’obiettivo della Caritas diocesana. Lavorare per la dignità delle persone e per migliorare la loro vita insieme alle nostre. Vi ringraziamo perché tutti voi ci aiutate e quindi dovete sentirvi partecipi della misericordia di Dio. Grazie.

Il gruppo Caritas di San Francesco di Sales.

Ricordare Maurizio

Il ricordo di Maurizio da parte della sua compagna di vita, Lucia.

Ricordare Maurizio in un momento così non è facile perché è scontato cadere nelle frasi di circostanza. Diciamo che, come succede a tante altre persone, anche io e i miei figli siamo stati vittime di un’ingiustizia.

Maurizio aveva ancora tanto da dare in ogni ambito, lavorativo, tempo libero familiare…Invece in mezz’ora se ne è andato, spero senza rendersene conto. Per lui che aveva una repulsione verso ospedali, esami medici, medicine e quant’altro è stato un bene, ma per chi resta è una vera batosta.

L’idea di proseguire il tuo cammino da sola, senza la persona che avevi scelto 34 anni fa, è come viaggiare su un’autostrada alla luce del sole ed entrare improvvisamente in una galleria lunga e buia. Si fanno pochi metri alla volta tentennando e si spera di rivedere la luce al più presto. Ma poi, procedendo, ti accorgi che dalle porte laterali escono tante mani tese che ti aiutano ad andare avanti e ti accompagnano passo passo. E sai con certezza che quelle mani te le manda Maurizio che conosce bene la tua difficoltà a risolvere alcuni problemi e, come ha sempre fatto nella sua vita con tutte le persone che ha conosciuto, ti offre il suo aiuto.

-Lucia

Un amico, Ferrante Marengo

Il ricordo di Ferrante Morengo da parte della figlia Federica e di Enrico Greco.

Ciao papà,

In questi giorni, le persone che conoscevano Ferrante lo hanno descritto come un amico sincero, un amico pronto a tendere la mano, un amico dal sorriso sempre vivo, un uomo generoso, attento agli altri. Un uomo con valori forti, impegnato per il bene comune. Un uomo solido, una “quercia”, un uomo coraggioso. Un uomo che ha obbligato i suoi ideali e i suoi progetti a diventare realtà. Un uomo di fede, un esempio per gli altri, anche nell’affrontare il tumore, senza mai mollare, senza mai darsi per vinto, fino all’ultimo.

Per me, Ferrante era semplicemente il mio Papà e il Nonno dei miei figli e queste due piccole parole bastano per descrivere tutto l’amore che ci unisce e il dolore che oggi mi attanaglia l’anima. Per me Ferrante era semplicemente il mio Papà e il Nonno dei miei figli. Era dolce, affettuoso, autorevole, chiacchierone, allegro. Era testardo, quasi quanto me. Era un cuoco sopraffino, era amante del buon cibo e della buona compagnia. Era il Papà e il Nonno che ci ha insegnato a nuotare fra le onde del mare e a navigare senza perdere la rotta, che ci ha trasmesso l’amore per la montagna e l’umiltà di fronte alla natura. Era un nonno orgoglioso e un papà esigente. Era un punto fermo nella nostra vita, una certezza. Per me Ferrante era semplicemente il mio Papà e il nonno dei miei figli, colui che ci ha mostrato che ogni giorno deve essere vissuto come un dono prezioso e che l’amore deve dirigere ogni nostro gesto, ogni nostra scelta.

E l’amore e l’affetto di tutti voi che siete stati al nostro fianco in questi giorni tristi ci aiutano a sentirci meno soli.

E l’amore e l’affetto di tutti voi che siete stati con noi a Gressoney ad agosto ci hanno permesso di vivere una parentesi di vita e di speranza. Papà è arrivato a Gressoney malato e stanco e grazie alle piccole e grandi attenzioni di ciascuno di voi si è ripreso. Era felice e lo ero anch’io. E l’anno prossimo quando torneremo sul grande prato di Wald, lo ritroveremo nel sorriso dei bambini, nelle partite a carte, nella gioia delle serate trascorse insieme, durante i pranzi e le cene che papà apprezzava tanto. Lo ritroveremo camminando piano sul grande prato e nelle preghiere della sera.

Grazie a tutti voi, per il vostro affetto e la vostra presenza.

Federica Morengo

 

 

Ciao Ferrante,

Portato via da un male incurabile, il nostro amico Ferrante non c’è più.

L’ho conosciuto più di quaranta anni fa, quando i suoi figli erano ancora bambini, quando avevamo davanti tutta la vita.

Per lui, l’affetto ai Salesiani aveva un ruolo preminente, era sempre pronto ad aiutare Don Bosco, con la sua grande competenza professionale, ma soprattutto con il suo prorompente entusiasmo.

Ricordo una vacanza in Trentino con don Emilio e altri amici e amiche, quando si incominciava a pensare che, oltre ai campi scuola, si sarebbe dovuto cercare qualcosa di più concreto da offrire ai giovani: non lo sapevamo ancora, ma stavano sbocciando i primi segni della futura Casetta di San Domenico Savio.

E così quando don Emilio avanzò l’idea di ristrutturare la casa natia del santo fanciullo, andammo a fare un primo sopralluogo. Sgomenti per la situazione di grande degrado che trovammo, Maurizio Chiabotto e proprio Ferrante furono i più convinti e ci trascinarono in un’impresa che vive (e bene!) tuttora.

Ferrante studiò e firmò il progetto di ristrutturazione, sovrintese al cantiere, inaugurò la nuova costruzione e, da allora, seguì ogni passo della vita di quella opera così riuscita alla fine e così apparentemente impossibile agli inizi.

E mentre, da benefattore, portava avanti la ricostruzione della casetta, i successi professionali, la carriera politica, la famiglia, gli exallievi di Penango e i soggiorni a Gressoney riempivano la vita.

Quando poteva, si prendeva una pausa e preparava la sua bagna cauda, a Casabianca o alla Casetta stessa, buona come la sapeva fare lui e poi era festa insieme, con gli sfottò per le sue impagabili barzellette sparate a raffica, lasciandoci senza fiato per il troppo ridere.

Tanti ricordi affollano la mente, ma voglio conservarli quasi gelosamente, limitandomi qui a pensare agli ultimi anni, agli ultimi tempi.

L’amore per Federica e Corrado, l’orgoglio per i nipoti, i pensieri per Rosella, la malattia affrontata da vero cristiano, con pazienza e una punta di ironia, la chemio, l’insulina, le speranze di guarigione, la caparbietà di lottare, la consapevolezza del male che tornava a risvegliarsi.

Caro Ferrante, hai vissuto una vita intensa, con impegno professionale ed umano, sviluppando le tue grandi doti, arricchendo chi ha avuto la fortuna di starti vicino.

Ora sei andato avanti, ancora una volta, a preparare la strada, a vedere che tutto sia in ordine per quando anche noi arriveremo, per riabbracciarci.

A Dio, amico nostro!

Enrico Greco

S. Callisto e l’invenzione delle Catacombe

La 5° giornata delle Catacombe

Il 14 ottobre su TV 2000, durante il programma Di Buon Mattino, viene presentata la 5° giornata delle Catacombe e in particolare la loro invenzione.

Con Mons. Pasquale Iacobone, Segretario Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, si affronta la figura di San Callisto I Papa e martire, nel giorno della memoria liturgica, chiamato a inventare e costruire le catacombe mentre era diacono e oggi sepolto nella catacomba di Calepodio.

Segnaliamo inoltre il video realizzato dalla Pontificia Commissione Archeologia Sacra, che sintetizza la Giornata vissuta a Roma mostrando gli eventi che hanno toccato i diversi siti catacombali accessibili gratuitamente.

A SCUOLA con il Presidente – Silvia Falcione

“Ciao Elisa. Scusa se ti chiamo di venerdì sera e a ora di cena ma avrei bisogno di parlarti di una cosa importante. “Buonasera professoressa come sta? Ma la scuola non è ancora cominciata…eh sì la scuola inizia lunedì, ma ehm, tu sai che avremo la visita del Presidente Mattarella … e si professoressa, ho letto la circolare”. Silenzio. “Ehm , ecco , io volevo chiederti se volevi fare parte del comitato di accoglienza, cioè del gruppo di studenti che faranno accoglienza al Presidente.” Un attimo di silenzio, temo un no, per quanto sono timidi i miei studenti, lei è giovane, andrà solo in terza….invece …”Sì professoressa, che bello, che onore! Posso dirlo anche a Davide? Sa, l’altro rappresentante di classe….ma certo! Lo chiami tu?”.

E così cominciava l’avventura.

Per una settimana ci siamo preparati alla visita del Presidente Mattarella nella nostra scuola CURIE-VITTORINI di Grugliasco in occasione dell’evento televisivo TUTTI A SCUOLA , andato in onda in diretta su RAI 1 venerdì 16 settembre dalle 16,30 per l’apertura del nuovo anno scolastico dopo due anni di sofferenza e pandemia. Mentre le attività didattiche di inizio anno prendevano il via, a poco a poco cresceva il clima di attesa in una mancanza totale di informazioni, che abbiamo appreso soprattutto dagli spot televisivi e dai social. In realtà non sapevamo bene il programma. La RAI ha occupato 10 aule e 10 classi hanno fatto lezione per tutta la settimana nei laboratori. Hanno costruito un palco enorme accanto ai nostri campi sportivi all’aperto e poi hanno cominciato a chiedere gruppi di studenti per l’accoglienza, per il servizio d’ordine, per raccontare le attività scolastiche al Presidente. Un lavoro immane. Ma gli studenti erano entusiasti ed emozionati e noi docenti con loro. Il Preside prima di tutti. Preoccupato, oberato di lavoro, ma felice.

“Prof. Ma come salutiamo il Presidente? Buongiorno o buonasera? Perché è pomeriggio, ma guardi che sole! Ma lo vedremo da vicino vero? “Certo ragazzi si farà la passeggiata nel corridoio lungo 300 metri proprio come voi! (la nostra scuola è enorme, 96 classi, 2200 studenti, 200 professori).Quindi sarete vicinissimi e forse potrete dargli la mano. “

E così è stato. Marta che dava la mano al Presidente Mattarella e poi si sedeva accanto a lui durante lo spettacolo e gli raccontava tutto il progetto della panchina rossa, non ce la scorderemo più. I ragazzi del tecnico che gli fanno vedere come si fanno rilevazioni sul terreno completi di casco e gilet giallo, non li scorderemo più. E non scorderemo i giovani ospiti ucraini che gli raccontano la tragedia della guerra e la solidarietà italiana.

Buongiorno professoressa ” e “Buongiorno Presidente!” resterà l’attimo più emozionante della mia carriera. E poi la festa grande, condivisa con tante altre scuole italiane ospiti, sul palco della RAI, il vento che si è alzato forte a spettinarci i capelli nelle foto sorridenti. Pace, integrazione, solidarietà, cultura, vita, questa è la scuola vera, non solo nel discorso del nostro amato Presidente. Grazie per questa opportunità e grazie a chi nella nostra scuola si è fatto carico del molto lavoro necessario per realizzarla a partire dal nostro Preside Gian Michele Cavallo.

Grazie a tutti! Buon anno di scuola e di vita!

Silvia Falcione

Come parliamo – Adriana Perillo

Viaggiando sui mezzi pubblici mi capita di ascoltare la conversazione dei giovani che hanno la pessima abitudine di parlare ad alta voce e mi colpisce il loro linguaggio veloce, l’uso di un lessico gergale condito, spesso, di parolacce e volgarità molto pesanti.

In quei momenti mi viene da pensare, con molto rammarico essendo stata un’insegnante, che la scuola non ha inciso in modo positivo sulla loro formazione non solo scolastica ma anche educativa. Il loro parlare, però, deriva dall’esigenza di comunicare nel gruppo per indicare un’appartenenza distintiva: i ragazzi di oggi si sentono isolati se non fanno parte di un gruppo.

Il linguaggio verbale distingue l’uomo dagli animali che, pure, hanno un loro modo di comunicare secondo la propria specie, come i cani e i gatti. La lingua è una realtà dinamica, una parte essenziale del vivere dell’uomo e ci permette di comunicare nel modo più chiaro ed efficace e di costruire infiniti messaggi. Parlare è l’abilità più spontanea e naturale che usiamo per comunicare con gli altri. Si impara a parlare da piccoli per imitazione e poi, pian piano, crescendo, il linguaggio si perfeziona insieme alla nostra capacità espositiva.

Chi non ha il dono della parola impara a comunicare con il linguaggio dei segni. La nostra lingua è ricca di parole e il loro suono è armonioso e dolce e ci consente di esprimerci in modo adeguato usando vari registri, perciò mi chiedo perchè non si usa in modo corretto, mentre si tende a contaminarla sostituendo le nostre belle parole con termini provenienti da lingue straniere, soprattutto inglesismi o tecnicismi mediatici.

Le nostre parole sono pregnanti di sfumature che sono adatte e significative per le varie situazioni e molto profonde nell’espressione dei sentimenti.

Oggi dobbiamo stare attenti a non usare molte parole perchè, pur essendo parti integranti del nostro straordinario patrimonio culturale, sono state sconsigliate in quanto ritenute offensive verso qualcuno e si rischia la denuncia se usate pubblicamente.

Così impoveriamo sempre più la nostra tradizione verbale perchè alcuni stupidi movimenti (cancel culture ) ci impongono di non usare termini come negro, nano, vecchio, handicappato e tanti altri ancora che, pur essendo, magari, non positivi, sono tuttavia parti integranti del nostro vocabolario, che ci permettono di descrivere il nostro mondo. E non parliamo del movimento femminista che vuole modificare al femminile tante parole di genere maschile, cancellando le regole della nostra grammatica. E che dire dei gender che vogliono mettere l’asterisco in fine di parola per nascondere il genere? Come si pronuncia l’asterisco? La natura ci crea maschi e femmine (eccetto qualche caso abnorme di ermafroditismo) e non neutri.

Queste mode sono vituperabili, secondo il mio parere. C’è una ossessione perversa tesa a cancellare la ricchezza della nostra lingua, la sua espressività, per un linguaggio inclusivo che non include un bel niente perchè di una parola si può cambiare il significante, cioè come si scrive, ma non il significato, quello che interessa alla gente che ogni giorno parla e comunica.

Adriana Perillo

La storia della nostra lingua – Adriana Perillo

Per chi volesse dare una spolverata ai ricordi della propria formazione scolastica, ho pensato di fare un breve excursus nella storia della nostra lingua, sperando di fare cosa gradita.

Il latino era la lingua che si parlava a Roma a partire dall’VIII secolo a.C.

Era una lingua povera di vocaboli perchè limitata all’ambito della famiglia, del lavoro nei campi e ai riti religiosi. Quando i Romani per le guerre di conquista vennero a contatto con altri popoli come gli Etruschi, i Liguri, i Veneti, i Greci, i Galli, la loro lingua si arricchì notevolmente.

Nel II secolo a.C. l’impero romano si era esteso ad altri stati che oggi si chiamano Francia, Spagna, Portogallo, Romania e alle regioni dell’Africa mediterranea: queste popolazioni accettarono le leggi, la giustizia, la protezione dei Romani ed anche la loro lingua che, tuttavia, a sua volta, risentì dell’influsso delle parlate locali, acquistando caratteristiche diverse da territorio a territorio, condizionata dai tempi di conquista, dall’assimilazione della lingua e dagli idiomi preesistenti alla diffusione del latino.

Naturalmente il latino scritto aveva regole precise, rispettate da tutti, usato dagli scrittori e poeti, dagli uomini di cultura, insegnato, anche dopo la sua scomparsa nelle forme lessicali eleganti e corrette.

Il latino parlato, invece, era la lingua viva di ogni giorno, usata da tutti, in famiglia, per il lavoro, quindi diversa e malleabile, subiva continui cambiamenti e senza rispettare le regole.

Dopo la caduta dell’impero romano nel 476 anche la lingua si sgretolò, non il latino scritto classico usato dai sovrani per emanare le leggi o dagli scrittori e dalla Chiesa, ma quello parlato dal volgo che si modificò da zona a zona per diverse ragioni.

Così su una base latina, si formarono tante lingue diverse tra loro, chiamate neolatine o romanze, cioè parlate nei territori un tempo dominati da Roma.

Esse sono: l’italiano, il sardo, il francese, il ladino, lo spagnolo, il franco-provenzale il portoghese, il rumeno, il catalano.

Il passaggio dal latino volgare all’italiano è stato un processo lungo e complesso e ha riguardato tutti gli aspetti della lingua, la fonologia, la morfologia, la sintassi.

La maggior parte delle parole italiane deriva dal latino non quello colto ma da quello parlato che non ha mai smesso di vivere, mentre le parole dotte sono state reintrodotte dagli studiosi (latinismi).

L’italiano attraverso i secoli.

Il volgare non fu una lingua unitaria. Con l’invasione dei barbari si accentuarono le differenze tra regioni e regioni, così tra il V e l’VIII sec. d.C. dal latino parlato presero vita i volgari italiani locali. Nel Duecento poeti e scrittori cominciarono a scrivere in volgare; san Francesco compose in volgare umbro il Cantico delle Creature, in Sicilia, alla corte di Federico II fiorirono poesie inneggianti all’amore in volgare siciliano. Nel Trecento si distinse il volgare fiorentino, lingua usata da tre autori grandissimi, Dante, Petrarca, Boccaccio che lo resero nobile con i loro capolavori, famosi anche fuori dalla Toscana.

Il fiorentino sostituì il latino come lingua della cultura mentre il dialetto si usava nel parlato quotidiano.

Nel Quattrocento l’Umanesimo con lo studio dei classici greci e latini arrestò un poco la diffusione del volgare.

Nacque la questione della lingua per stabilire un modello di lingua letteraria e colta. Pietro Bembo nel 1500 indicò la lingua degli scrittori del Trecento. In questo periodo si diffusero le grammatiche e nel Seicento fu pubblicato il vocabolario degli accademici della Crusca che contribuì alla unificazione della lingua.

Nel Settecento si verificò la presenza di francesismi grazie all’Illuminismo, corrente filosofica che si proponeva di liberare la coscienza da tutti i pregiudizi medievali e modificò anche la struttura latineggiante del periodo con una forma più breve e diretta.

Così si raggiunse l’unificazione della lingua scritta ma non ancora quella parlata.

Nella seconda metà dell’Ottocento (1861) con l’unità politica si incrementò l’unificazione linguistica. Il fiorentino si era evoluto avendo acquisito parole di origine straniera per adeguarsi alla nuove conoscenze di idee e di oggetti, perciò era necessario che la lingua fosse capita da tutti e non solo dai dotti.

Manzoni già prima aveva affermato che il fiorentino doveva essere la lingua di tutti perchè era una lingua viva e moderna. Completa.

Non fu un percorso facile. Si partì dall’analfabetismo imponendo l’obbligo dell’istruzione elementare, si adottò l’italiano come lingua ufficiale dello Stato e allo scopo furono trasferiti pubblici ufficiali e militari da Nord a Sud e viceversa.

Così a poco a poco la lingua italiana si impose sui dialetti, favorita dalle migrazioni interne, dall’urbanesimo, dalla diffusione dei mass media e dalla TV (1954), mezzi che organizzarono gli usi linguistici.

Il viaggio nella storia della nostra lingua è lungo ed interessante ma qui condensato per solleticare la curiosità di approfondire l’argomento a chi è appassionato della nostra storia.

Adriana Perillo