PER IL NUOVO ANNO – Silvia Falcione

A tutti i giovani che pensano che la nostra, la mia generazione sia quella che ha distrutto il pianeta. Scusate non ce la faccio. Non tutta la mia generazione (ho 62 anni). La mia generazione è anche quella che ha fondato Green Peace, il WWF, Legambiente. È quella che salvato i panda, tigri, elefanti, koala e molte altre specie dall’estinzione. La mia generazione è quella di Amnesty International e della lotta per i Diritti di tutti, dei diversi, dei poveri, delle donne, dei bambini. La mia Generazione è quella che ha inventato la cooperazione internazionale. Che ha fondato e finanziato Medici senza frontiere ed Emergency e che continua a farlo. La mia generazione è quella che per prima ha provato il precariato negli anni 80, prima di trovare un lavoro vero. È quella che ha superato tre crisi economiche internazionali non senza conseguenze. La mia generazione è quella che ha inventato la raccolta differenziata, i pannelli solari e i fotovoltaici, le pale eoliche e le energie pulite, anche se all’inizio nessuno ci credeva. La mia generazione è quella del referendum contro il nucleare. È quella di Comiso, no alle testate nucleari. È quella di Seattle, no alla globalizzazione sfrenata e senza regole. È quella che ha difeso l’acqua contro le privatizzazioni perché è un bene di tutti. È quella del commercio equo, dei gruppi di acquisto solidali, della spesa a km 0 dell’agricoltura biologica. È quella dell’educazione alla pace, allo sviluppo, all’ambiente, alla sostenibilità, alla mondialità, alla cittadinanza globale. Molto di più dell’educazione civica. Mi fermo qua.

Ragazzi noi ci abbiamo provato. Almeno ci abbiamo provato. Adesso tocca a voi. Auguri. Buon anno. Che sia un anno di impegno su tutti i fronti.

Buona fortuna.

La prof.

OGGI – don Emilio Zeni

Il passato non ci appartiene più, il futuro non sappiamo se ci sarà. Tra le mani abbiamo l’inestimabile dono del presente.

Pare che da sempre l’uomo si sia spinto più facilmente a sognare quello che ancora non ha, o a sostare in contemplazione, triste o esaltata, di quello che fu. E in questo gioco tra ieri e domani non si accorge che gli scivola via l’oggi che è l’unico bene che realmente possiede.

Da bambini ci raccontavano la storiella dello studente sognatore che, ricurvo sul libro, sognava il suo futuro, grande e prestigioso: presidente di stato, generale d’armata, forse papa: già, papa, ma che nome avrebbe potuto prendere?  Fu la solita, sincera vocina a dirgli che l’unico nome a lui adatto poteva essere “Sciocco!”.

Già nel libro sacro del Qohelet si legge che “fantasticare è inutile, come andare a caccia di vento” e in Siracide, più crudamente si afferma che “illusione e fantasia danno sicurezza solo agli stupidi “.

Certo, il passato condizione in qualche modo il presente: il successo o l’insuccesso di ieri possono determinare l’umore di oggi e, alla stessa maniera, l’oggi condizionerà il nostro domani che entrerà prepotentemente nei nostri pensieri fino a trasformarsi in ansia. Sono i tranelli da cui l’uomo deve guardarsi, perché la sua anima possa essere libera di esprimere il meglio di sé, assaporare la vita così come essa si presenta, contemplare ciò che le passa davanti e ne provoca le emozioni, sentirsi creatura a immagine di Dio, il quale, mentre crea –  come leggiamo nel libro della Genesi –  guarda con stupore quanto esce dalle sue mani onnipotenti: “… e vide che era cosa buona…  e fu mattina e fu sera…“.

Trasformare la vita ricca di giorni inseguiti dalle sequenze, non sempre limpide, del passato o del futuro, in giorni gustati o sofferti, ma vissuti in piena coscienza come di un talento da fare fruttare, è l’impegno dei saggi, la grandezza dei santi, segno di un abbandono totale nelle braccia del Signore.

Nel Vangelo Gesù è esplicito, persino con un tocco di poesia: ”Non preoccupatevi del domani, di cosa vi vestirete e cosa mangerete… guardate i fiori dei campi o gli uccelli del cielo: non filano e non mietono…” e il Padre,  infatti,  che pensa a vestirli e a nutrirli… Che dire di noi,  ben più che semplici creature,  ma “figli”?  E ci insegna a chiedergli il pane per “oggi”, ogni giorno così gustando il pane quotidiano senza appesantirci con l’ansia del pane di poi.

Un atteggiamento sereno e responsabile che non chiude la finestra sul passato o sul futuro, ma aiuta a guardare come un dono irripetibile il giorno illuminato dal sole, irrorato dalle piogge o, talvolta, turbato dal temporale, ma vissuto da svegli. E domani, se ci sarà, non ci si dovrà abbandonare a quella penosa nostalgica tristezza con cui il poeta Giacomo Leopardi prevedeva i pensieri del suo domani: ” Hai, pentirommi e spesso, ma sconsolato volgerommi indietro“.

Mi piace piuttosto, poter pregare alla sera di ogni giorno come ci avevano insegnato i nostri vecchi: “Ti ringrazio, mio Dio, di avermi creato fatto cristiano e conservato in questo giorno… perdonami il male che oggi ho commesso e se qualche bene ho compiuto accettalo…”  E senza ansie, affidargli la notte per essere nuovamente disponibile, se lo vorrà, a continuare con Lui, passo dopo passo, il mio cammino.  Domani è un altro giorno.

Natale Dio-con-noi – don Emilio Zeni

Siamo tutti convinti che la venuta di Cristo segna l’era nuova, come uno spartiacque fra il tempo della Promessa (Antico Testamento) e il tempo della Redenzione realizzata (era Cristiana). Anche la collocazione della solennità natalizia al tempo del solstizio, ha un suo chiaro significato. Dio si è infatti posto al centro del tempo, come unica e assoluta speranza di salvezza per l’uomo.
Il tempo è di per sé silenzio assoluto: esso è come un vuoto, è tenebra e paura: Dio lo illumina e lo riempie del suo amore, ma sta a noi aprire gli occhi e il cuore per coglierne i raggi e sentirne la presenza.
Il Dio fatto uomo per amore, il Dio-con- noi, si pone in mezzo a questo fluire dei secoli per annunciare a tutti la “Verità”, l’unica che ha la forza di distruggere le radici del male e di guidare il nostro cammino verso di Lui, eterno e sommo Bene, ridefinendo, secondo l’originale progetto, il senso della nostra vita.
“la vita è fatica e dolore” si dice, “prendete su di voi il mio giogo che è soave e leggero” risponde il Dio-con noi.
“la vita è lotta e morte”, lamenta l’uomo scoraggiato. Ma “Io sono la risurrezione e la vita”, ci assicura il Dio-con-noi.
” la vita è tenebra”, sussurra impaurito il viandante. “Io sono la luce che illumina il mondo”, proclama il Dio-con-noi.
“la vita è confusione e incertezza”, commenta l’uomo della strada.” Io sono la Via e la Verità”, ci assicura il Dio-con-noi.
“la vita è corruzione ed egoismo”, osserva l’onesto scoraggiato…” Amatevi come io vi ho amati”, invita il Dio-con-noi.
“la vita è miseria e fame”, grida il Lazzaro di ogni tempo.” Io sono il Pane disceso dal cielo: chi mangia di questo Pane non avrà più fame…”, è l’inestimabile dono del Dio-con-noi.
“la vita è mia e la gestisco come voglio…”, protesta il giovane presuntuoso. Ma “senza di me non potete far nulla” ci ricorda il Dio-con-noi.
Guardare al Natale di Cristo è, dunque, aprire l’anima a questa nuova luce che invade il mondo, e scoprire questa verità nuova, e accogliere la vita stessa, Cristo, Dio-con-noi. È, dunque, immergersi nella speranza di una vita che non potrà e non dovrà perdersi nel tempo fatto di niente, nè ripiegarsi sulle paure della notte; una vita aperta all’amore che, consolidato nel tempo messo a disposizione, si prolunga in un’eternità con quel Dio che ha condiviso con noi lo scorrere dei giorni e con Lui ci permette di condividere l’eternità, sempre che siamo disposti ad accoglierlo. Solo a chi lo accoglie, infatti, da “il potere di diventare figli di Dio”.
Dunque, attorno a questo Dio nato nel tempo come uomo e per l’uomo, accolto con sincero amore e con incondizionata fiducia, possiamo augurarci con ogni letizia e sincerità: Buon Natale e Buon Anno.

LA MIA SCUOLA AMA IL NATALE – Silvia Falcione

Che il nostro Preside amasse il Natale era cosa compresa da tutti. Da quando è arrivato, 6 anni fa, i corridoi della scuola, gli atri, gli uffici, si sono riempiti di alberelli, di addobbi, di stelle di Natale e, udite udite, è comparso un grande Presepio con tanto di notevole collezione di personaggi di tutte le dimensioni.​ E tutti che lo vanno ad ammirare.

Nelle classi molto molto meno. Solo i ragazzi delle prime, appena arrivati dalle medie e ancora memori delle feste delle elementari, portavano qualche addobbo in classe, avanzato da quelli a casa.

Ma quest’anno il Natale è esploso ovunque,​ dalle prime alle quinte gli studenti fanno a gara per avere gli addobbi più belli.

“Ha visto prof? Abbiamo messo le luci sulla lavagna!!”

” Prof. Ha visto le nostre stelline luminose? Oh! Stamattina non le abbiamo ancora accese!” ed Elisa preme subito il pulsantino. Sono impreparata. Non so cosa dire. Mi stupiscono.

Resto a bocca aperta.​ Allora decido di partecipare. In una prima erano costernati perché avevano l’alberello spoglio e nulla per addobbarlo. Ho comprato in parrocchia 4 palline al mercatino missionario e gliele ho portate.

” Grazie prof!!! Grazie!!! Ma sono bellissime!!!” Hanno appeso ai rami anche il bigliettino con le faccine dei bimbi africani che ringraziano. Sono commoventi.

In una classe dove non avevano nulla hanno riempito i muri con i loro disegni pieni zeppi di palline, stelline, agrifoglio, comete e tutto il resto.

E ce la vogliamo mettere anche l’operatrice col cappello da elfo lungo fino alla cintura da tutta la settimana?

Ma cosa succede quest’anno? Sarà una conseguenza della deprivazione sociale causata dalla pandemia e da un anno e mezzo di scuola a distanza? Mah!!

Comunque il clima a scuola è eccitatissimo e bellissimo. Se avevo perso la cosiddetta MAGIA DEL NATALE quest’anno la recupero, almeno qui a scuola. MA…..qualcuno obietterà: a scuola siete tutti cristiani? Macché. Figuriamoci! Scuola statale multiculturale e multietnica, ma il Natale, ve lo dico, non ha mai fatto paura a nessuno, se non forse a qualche giornalista.

Cari ragazzi che studiate latino, se ancora non avete capito cosa sia la pietas,​ la state facendo perché questo è il suo significato. Buon Natale cari al mio cuore!​ ​ la prof. di scienze UMANE

Le parole e il silenzio – don Emilio Zeni

Si sa che il linguaggio è una convenzione. A certi suoni corrispondono precisi pensieri. Nasce così la parola che affonda le sue radici nella propria storia e nella propria cultura. Ed è bello che sia così. Un dono grande per l’uomo comunicativo per natura. Quello che egli è, si capisce soprattutto tramite la parola. Parafrasando un noto aforisma si potrebbe concludere: “sento come parli e ti dirò chi sei”. Quello che hai nel cuore presto ti scivolerà nella parola.

Purtroppo, essa cade, non di rado, in un abuso perverso. Se con la parola si può cantare l’amore, confidare sogni, proporre progetti, condividere affanni, asciugare una lacrima, è anche vero, purtroppo, che la parola può trasformarsi in un arma per colpire, ferire, distruggere. Con la parola si possono aprire o chiudere porte, costruire ponti o farli saltare, illuminare di speranza o ricacciare nella solitudine della notte.

La parola che tesse trame di ipocrisie e falsità, che si intorbidisce di volgarità persino blasfeme, che rotola come una valanga contro l’avversario o accieca di impossibili promesse, offre una triste immagine di chi la pronuncia, ne sgretola la dignità, a tutti i livelli, istituzionali, educativi, culturali.

È allora che nasce la nostalgia del silenzio, che non è solo assenza di suoni ma è equilibrio, attesa, dominio di sé, riflessione attiva, desiderio di verità. Certo, anche il silenzio è un linguaggio che può esprimere sentimenti opposti… infatti,” un bel tacer non fu mai scritto”.

È Natale. si dice che in questa occasione siamo tutti buoni. Ce lo auguriamo.

Ma è proprio il Natale che ci suggerisce la sublimità della parola e del silenzio.

“In principio era il Verbo” – la Parola -, leggiamo nei primi versetti del Vangelo di Giovanni. Quella Parola che squarciando l’eterno silenzio ha dato vita alla storia nel mirabile disegno della creazione.

E, nella pienezza dei tempi – quella stessa Parola – “il Verbo si è fatto uomo e venne ad abitare in mezzo a noi…”

È in questo ineffabile evento, che le parole si riempiono di “pace agli uomini che Dio ama” e il silenzio di Maria “conserva queste cose, parole del Vangelo, meditandole nel suo cuore…”: i tanti silenzi e le sublimi parole del Vangelo, dalla proclamazione delle “beatitudini” alle parole di perdono nel silenzio della croce.

È il cuore che deve svuotarsi per riempirsi di Dio. Parola e silenzio, allora, anche per gli uomini d’oggi, sospinti brutalmente verso reciproche rivalse e contrapposti interessi, troveranno gli spazi che ne onorano la dignità, mentre camminano insieme per le strade del villaggio globale che è il nostro piccolo e tormentato pianeta. È l’augurio ai nostri lettori per un Natale vero, del “verbo fatto uomo”, per amore.

Carissimo Willy – Giovanni Bergamelli

Carissimo Willy,

Sono Giovanni Bergamelli di Nembro (Bergamo), ex allievo di Penango. Per anni sono venuto a Gressoney con la mia famiglia, ma sono anni che manco dalla colonia anche se ogni tanto sono presente a Chieri o a Penango in occasione degli incontri.

Approfitto per salutare e ringraziare per l’impegno che dimostrate nel portare avanti l’associazione.

Ti invio la foto di un quadro che rappresenta ricordi e momenti della vita del Collegio di Penango ricostruito in fiammiferi, perlopiù usati, raccolti soprattutto dai miei alunni di scuola nel decennio 1970-1980.

Sapendo che io ne avevo un grande bisogno, essi sottraevano alle loro mamme intere scatole di fiammiferi, li accendevano ad uno ad uno per spegnerli immediatamente e potermeli così consegnare a scuola ancora quasi nuovi.

Il lavoro era stato progettato nell’intento di portarlo a termine nel 1988, anno del Centenario della morte di don Bosco. Purtroppo per motivi vari avevo dovuto sospendere l’iniziativa.

Ripresi in mano i fiammiferi nei primi anni di questo secolo pensando di completare il lavoro per il 2015, anno del Bicentenario della nascita di don Bosco. Non fu così.

Solo da alcuni anni ho recuperato i disegni preparatori ed i fiammiferi rimasti, ma mi misi al lavoro decisamente solo dal novembre 2018, quando mi son detto: o adesso o mai più. Tanto più che don Ferdinando Bergamelli, nel vedere il pannello incompiuto, mi aveva incoraggiato dicendo: “Finiscilo alla svelta!”

E così, lasciando perdere un po’ le mie ricerche storiche e lavorando ore e ore ogni giorno, ho potuto portarlo a termine il 31 gennaio 2019: “Laus Deo Mariaeque”.

Allego anche un foglio per spiegare ciò che è possibile vedere e riconoscere nella foto e in alcuni particolari.

Nembro, 14 ottobre 2021

Giovanni Bergamelli

Nella foto l’osservatore paziente potrà notare:

  • una collezione di “storie” che si riferiscono all’edificio, al paesaggio proprio del paese e alla vita del collegio
  • l’edificio centrale nella sua parte alta con il campanile della chiesa dell’Istituto
  • i tre portici tra loro diversi
  • il grande cedro
  • la balaustra del terrazzo esterno al cortile
  • alcuni tigli che circondavano il cortile
  • la chiesa parrocchiale che emerge dal gruppo di case che le stanno quasi davanti
  • il sole che tramonta dietro i colli, benché in un punto dove poteva arrivare solo prolungando il suo corso
  • l’immagine ingrandita di Maria Ausiliatrice 
  • i ragazzi in perfetto ordine ed allineati sotto il portico dello studio intenti a cantare una lode e ad osservare il cielo rosso del tramonto del sole dietro le Alpi ed i colli del Monferrato
  • l’altare principale della chiesa con l’immagine dell’Addolorata (ma è quella del santuario mariano dello Zuccarello di Nembro) ed un ragazzo in preghiera durante la visita quotidiana al Santissimo
  • il busto di don Bosco posto accanto alla porta d’ingresso dell’ufficio del Direttore 
  • i simboli dei giochi prediletti: il calcio, la pallavolo, la pallacanestro 
  • due ragazzi che ci sanno fare con gesti atletici: uno calcia un pallone, l’altro sta per fare canestro a due mani
  • alcuni ragazzi fanno crocchio attorno ad un superiore in certi momenti della giornata: chi cammina avanzando e chi all’indietro
  •  nello studio il Consigliere legge i voti mensili: i ragazzi ascoltano trepidanti, ma uno, chiamato per nome, si è alzato e, assai compunto, si sente dire che ha meritato 10 meno nel comportamento
  • il grande orologio segna il tempo dei compiti e dello studio
  • la campanella, appesa sotto un balcone, scandisce l’intera giornata
  • in refettorio i ragazzi mangiano in silenzio perché un loro compagno, grandicello, legge una bella storia a puntate
  • in teatro la banda del collegio suona durante l’intervallo dello spettacolo che ha per titolo BRITANNICUS, un lavoro quasi tutto in versi, che ha fatto sudare alcuni di noi per impararlo per bene
  • alcuni ragazzi sono occupati a fare le quotidiane pulizie con strumenti adatti 
  • i ragazzi in passeggiata sono invitati dall’assistente a non fermarsi troppo a chiacchierare ma a proseguire anche se la strada è polverosa o infangata, a seconda della stagione

C’è qualcosa che manca nell’insieme, forse la più attesa della giornata: la notte, quando la lunga giornata, iniziata alle 6 e portata a termine alle 21 e 30, si concludeva con il “TU AUTEM DOMINE MISERERE NOSTRI”.  

Forse a qualcuno interesserà capire anche le parole del pannello:

La cornice

  • in alto: PADRE E MAESTRO DELLA GIOVENTÙ S. GIOV. BOSCO SII NOSTRA GUIDA
  • in basso: ISTITUTO MISSIONARIO SALESIANO “S. PIO V” – PENANGO MONFERRATO – AT
  • a sinistra: SANCTA PARENS 
  • a destra ADESTO FILIIS ossia:  S.P.A.F. , che era il motto della società, segreta, voluta da don Santo Mognoni per la nostra classe
  • a destra della chiesa del paese alcune parole, benché senza punteggiatura, cercano di dare senso a tutto l’insieme: 
    • PER LE STRADE DELLA VITA SEI STATO
    • NELLA MENTE E NEGLI OCCHI O COLLEGIO
    • VIA DA VOI AMICI MAI SONO ANDATO
  • sul sipario alzato del teatro: BRITANNICUS (di cui fu interprete principale Luce Settimio)
  • sopra le arcate del portico dello studio: 1955 – 1960 (la mia permanenza nell’Istituto)
  • tra le finestre dell’edificio, anche se fuori luogo, ma come richiamo a Gressoney: DON BOSCO
  • in basso a destra: GIOVANNI BERGAMELLI .

Vai alle foto del quadro

Le catacombe di San Lorenzo al Verano, don Pasquale Iacobone

Mons. Pasquale Iacobone, Pontificia Commissione di Archeologia sacra, è ospite nella puntata di Di buon mattino del 17 novembre 2021.

Mons. Pasquale Iacobone, Pontificia Commissione di Archeologia sacra, è ospite nella puntata di Di buon mattino del 17 novembre 2021.

IL TEMPO DELL’ANIMA – don Emilio Zeni

I tempi dell’anima sono diversi da quelli, talvolta sconnessi e scombinati, del nostro fisico solitamente agitato.

Si racconta di una equipe di giovani esploratori impegnati in una missione scientifica nell’America Centrale. Avevano studiato un programma dettagliato, calcolati i tempi, assunto un gruppo di “portatori”, indios robusti e abituati alla fatica. 

Iniziata la marcia, tutto faceva prevedere un’ottima riuscita. Ma al quinto giorno i giovani indios si sedettero rifiutandosi di continuare. Muti, nessuna spiegazione. Non valsero suppliche, promesse di più alti compensi, persino qualche minaccia. Silenzio, accoccolati sulla pietraia, in cerchio. Dopo due giorni, gli indios si alzarono, ripresero il loro carico e insieme si rimisero in viaggio. Spediti e decisi più di prima. Nessuna spiegazione. Per i giovani esploratori un’esperienza nuova e inspiegabile. Solo a missione compiuta uno parlò, a nome di tutti: “Correvamo troppo e non eravamo accorti che le nostre anime erano rimaste indietro; abbiamo dovuto aspettare che ci raggiungessero”.

L’anima, con i suoi tempi, non dovrebbe subire forzature, nella corsa a ostacoli, ogni giorno più faticosa. Ma quando succede l’armonia interiore rimane frantumata, la mirabile unità della persona compromessa.

Di qui l’incapacità a cogliere i valori spirituali che danno senso alla vita, di qui l’insorgere di tanta insoddisfazione nel trascorrere dei giorni, lo scoraggiamento, il non senso, e la devastante idolatria delle cose da fare, per le quali il tempo è sempre poco e la corsa è d’obbligo. E l’anima rimane indietro, con i suoi ritmi non rispettati, sola e dimenticata.

Per dare senso all’esistenza è importante rispettare i tempi dell’anima che assicurano il giusto respiro, profondo e rigeneratore.

Sono i tempi del silenzio e del riposo dove potersi sintonizzare sulle frequenze dello spirito.

Ci sono tempi creati da Dio per recuperare l’incontro con noi stessi. La notte, per esempio, nel silenzio delle cose, al riparo dalle distrazioni. “La notte è il luogo in cui si rifà l’essere, in cui si ritira, in cui si raccoglie e ne esce fresco… la notte è la più bella creazione di Dio”. Così si esprime lo scrittore Pequì. E San Francesco ai suoi frati inviati per le vie del mondo ricorda: ”Abbiamo un eremitaggio sempre con noi… dovunque andiamo, possiamo rientrare in quest’eremo: fratello corpo è l’eremo  e l’anima l’eremita che ci abita per pregare e contemplare…

Ma è certamente la domenica che risponde a quel bisogno di “ricongiungersi con la propria anima”, secondo l’invito di Gesù ai suoi apostoli stanchi dopo le prime esperienze per le vie della Palestina ad annunciare il Vangelo: “Venite a me, in un luogo solitario, a riposarvi un po’”. Un po’ di riposo, ma con Lui. Per poi ripartire, rigenerati.

Può succedere anche a noi, come agli Indios della spedizione, di correre troppo lasciandoci dietro l’anima. Bisogna fermarsi e, nel silenzio, attendere, per ritrovare noi stessi e riprendere il cammino con il nostro carico, verso il compimento della missione affidata da Dio a ciascuno di noi.

 

 

I MIEI INCONTRI COL VENERABILE DON QUADRIO – don Ferdinando Bergamelli

I MIEI INCONTRI COL VENERABILE DON QUADRIO – don Ferdinando Bergamelli

Si riporta di seguito un estratto della testimonianza personale di don Ferdinando Bergamelli in merito ai 7 incontri avuti con il Venerabile don Quadrio. Al fondo, la possibilità di scaricare la testimonianza completa in formato PDF.


***

In questa mia testimonianza molto personale sugli incontri che ho avuto il privilegio e la gioia di aver intessuto col Venerabile Don Quadrio nella mia vita, ne privilegio sette.

Il primo incontro: lacrime d’un bambino

La prima volta che ho conosciuto e incontrato il Venerabile Don Quadrio risale a moltissimi anni fa, quand’ero ancora ragazzino (dodici anni). Era il primo di settembre del 1947, quando partii dal paese natio (Nembro–BG) e da casa mia lasciando i miei cari ed arrivai a Penango (Monferrato), nell’aspirantato salesiano. Abituato alle pareti domestiche e al consueto ambiente familiare – non mi ero mai allontanato da casa – mi trovai letteralmente sperduto e spaesato in mezzo a tanti ragazzi (circa centoventi). I primi giorni ero molto triste e sovente, per la nostalgia di casa e della mamma, scoppiavo in un pianto dirotto. Un mattino, a colazione, stavo piangendo e le lacrime scorrevano dai miei occhi lungo le guance fino ad arrivare dentro il caffelatte che avevo davanti. Mi si avvicinò Don Quadrio, che, novello sacerdote, era venuto a Penango, come assistente dei ragazzi durante le vacanze e per un periodo di riposo. Mi colpì subito il sorriso e la tenerezza con cui si rivolse a me: “Come ti chiami? “Ferdinando” risposi con un fil di voce, e cercò di consolarmi e di tirarmi fuori a tutti i costi un sorriso. “Ferdinando – mi sussurrò sottovoce – non devi continuare a rovinare con le lacrime il buon caffelatte che ti sta davanti. Poi continuò in tono confidenziale: «Sai, anch’io, quand’ero piccolo come te, avevo tanta nostalgia di casa e della mamma, quando partii dal mio paese. Ma poi mi è passato. Vedrai che a poco a poco passerà anche a te. Qui troverai tanti amici, fatti coraggio!». Quindi estrasse dalla tasca della tonaca il suo fazzoletto bianco di bucato e mi asciugò le lacrime che mi scorrevano abbondanti dal viso. «Ora però non piangere più!». E venne fuori finalmente un bel sorriso! Queste parole ebbero il poter di frenare il mio pianto di far sbocciare l’ombra di un sorriso sul mio volto! È una piccola cosa, anzi minima, tergere le lacrime a un bambino che piange! Ma il sorriso di don Quadrio in quel giorno lontano mi è rimasto profondamente scolpito nel cuore e mi ha aiutato a superare la nostalgia della casa e della mamma, mi ha fatto sentire un amico vicino e così ho potuto superare quel momento difficile per me (1).

*(1) Aggiungo per completezza che quel momento è stato per me veramente difficile, tanto che alcuni giorni prima avevo scritto una cartolina a casa, dicendo che tutto andava bene, che ero contento… (sapendo che così richiedeva la censura). Però… La cartolina, in bianco e nero, rappresentava il campanile della parrocchia di Penango e ritraeva le campane che, suonando, sporgevano dalla loggia campanaria in nero. Ebbene, sul nero di una campana io avevo scritto a matita – sperando che non venissero scoperte dalla censura – queste parole: «Non ne posso più, venite a prendermi!». Mia mamma, facendo le pulizie di casa, le scoprì, guardando in controluce, e le lesse. Ne fu sconvolta. Decise subito di venirmi a trovare, e partì per Penango. Ella mi fece coraggio dicendomi: «Sforzati, metticela tutta! Se proprio non ce la farai, verso Natale, papà verrà a prenderti». Ma ormai, grazie anche all’intervento tenero di Don Quadrio, avevo superato la crisi. 

Il coraggio di chi vuole bene. Silvia Falcione

Chiara aveva sempre dei bei voti. Non voti stellari. Bei voti onestamente guadagnati. Chiara era gentile, educata sempre presente. Poi siamo tornati in DAD, la scuola a distanza . Chiara a volte c’era a volte no. Ma era abbastanza normale per diversi studenti. Il digital divide in Italia lo abbiamo scoperto con la pandemia. Non tutti hanno una buona connessione. Non tutti hanno una connessione. Alcuni hanno la connessione solo sul cellulare. Poi i giga finiscono. Ogni tanto quando il video era acceso alle spalle di Chiara si vedeva un letto sfatto, ortopedico, con il triangolo appeso. Ho pensato che fosse a casa della nonna per aiutarla e non lasciarla sola. Chiara è buona.

Poi siamo tornati a scuola. Era primavera ormai. Chiara è rimasta assente, una settimana. Nessuno sapeva come mai. Poi un giorno mi scrive una compagna.

Prof. È morto il papà di Chiara. Aveva il cancro. Da due anni. Non lo aveva detto a nessuno. Mi ha scritto ora. Il funerale è domani. Noi andiamo.

osa? Si andate. Bravi ragazzi

Ho scritto a Chiara (Non potevo andare al funerale) e mi ha risposto. Al funerale ha parlato a tutti del suo papà insieme ai 4 fratelli. Così mi hanno detto. Dopo due giorni è tornata a scuola.

Ma Chiara sei già qui? Voleva abbracciarmi, ma non si poteva, per il covid. Occhi profondi e un leggero sorriso. Le ho preso le mani. Chiara coraggiosa. Non le abbiamo chiesto niente. Il coraggio si rispetta e si stima. Al coraggio si vuole bene. Il coraggio di Chiara e della sua mamma e dei fratelli ci ha stupito tutti. La nostra Chiara è ancora più nostra adesso.