Festa Di San Domenico Savio – 180° anniversario

Fate tutto per amore, nulla per forza

 

Un weekend intero dedicato alle celebrazioni della Festa Di San Domenico Savio in occasione del 180° anniversario (1842-2022) della nascita del Santo a San Giovanni di Riva, presso Chieri, nella sua casa natìa. Il programma della festa è il seguente:

VENERDÌ 6 MAGGIO –LA SANTITÀ “DELLA PORTA ACCANTO”

  • Ore 20:45 riflessione con Don Michele Molinar Vicario e Delegato della Famiglia Salesiana Ispettoria ICP

SABATO 7 MAGGIO – SANTITÀ STARE INSIEME IN ALLEGRIA

  • Ore 18:30 ritrovo
  • Ore 20:00 cena
  • Ore 21:00 Grande Gioco notturno (portate le torce!), serata intrattenimento tenuta dagli animatori di Riva presso Chieri. Per informazioni e prenotazioni telefonare ad Alessandro Parizia 3292008776.

DOMENICA 8 MAGGIO – AMATI PER NOME

  • Ore 10:45 omaggio a San Domenico Savio davanti al monumento
  • Ore 11:00 santa Messa presieduta da Don Enrico Ponte, direttore e maestro del noviziato Colle Don Bosco, animata dalle corali della parrocchia
  • Ore 13:00 pranzo (su prenotazione) preparato dagli Amici di San Giovanni
  • Ore 14:30 mamma, papà, vi porto a giocare!
  • Ore 16:30 chiusura dei giochi, saluto e conclusione con merenda

Banco di beneficienza sempre accessibile durante l’evento.

IL PIANTO DI DIO – don Emilio Zeni

Non so se sia teologicamente corretto, ma credo che il pianto del Signore sia vero, a volte inconsolabile. È il pianto del padre che si vede respinto dai figli costretto ad assistere, impotente, allo sbandamento delle sue creature, ad amare senza essere richiamato. Se è vero, come si legge nel Vangelo, che si fa più festa in cielo per un peccatore che ritorna come non pensare, tristemente, che ci sia anche il pianto per un figlio che sbatte la porta e se ne va?

Ho letto una intervista rilasciata da una scrittrice d’America dopo la tragedia delle torri gemelle a New York: “Perché Dio permette tragedie di tanta efferatezza?”. Il brano mi suggerisce un verosimile lamento di Dio: “O uomo, figlio mio, non posso farci nulla, purtroppo! Hai cancellato il mio nome dai tuoi ordinamenti civili perché ti infastidivo, mi hai messo fuori dalle tue scuole perché inibivo la tua libertà, mi hai espulso dai tuoi parlamenti come presenza inopportuna, mi hai escluso dalla famiglia perché non gradivi i miei interventi per far rivivere l’amore, mi hai ignorato nei laboratori della scienza come elemento di disturbo, hai riso ai miei richiami all’amore, al perdono, al rispetto della vita. Persino la mia immagine ti infastidisce e l’hai tolta dalle pareti della tua casa… Io, che ti ho creato libero perché, liberamente amandomi, il tuo amore fosse vero, sono coerente e rispetto la tua libertà. Mi hai messo da parte! Altro non posso fare se non soffrire e piangere, in silenzio, con te…”

È il lamento di Dio, spassionato e sincero, in fragile linguaggio umano, se vogliamo, ma che ci obbliga ad un interiore silenzio.

Anche Gesù, nella profetica visione della imminente distruzione di Gerusalemme, si lamenta: “Gerusalemme tu che uccidi quelli che Dio ti manda! Quante volte ho voluto riunire i tuoi abitanti attorno a me, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali! Ma tu non hai voluto” (Mt, 23,37). E la liturgia del Venerdì Santo ripropone la drammatica ingratitudine dell’uomo: “popolo mio, ti male ti ho fatto, in che cosa ti ho provocato? Perché mi fai soffrire? Dammi una risposta…”

Ingratitudine e presunzione, con tutte le aberrazioni che ne sono seguite, risalgono agli albori dell’umanità e continuano oggi, nello scellerato tentativo di mettersi al posto di Dio e riscrivere le leggi della vita e della felicità. Ne sono nati i mostri di morte e abissi di disperazione. Un pianto quello di Dio, che ha il tono di uno sfogo, e diventa paterna risposta ai nostri umani e assurdi lamenti, invito a smettere ogni atteggiamento risentito è ingiusto nei suoi confronti.

Ma cela anche una speranza, una mano tesa all’uomo perché si lasci salvare. Alla antica chiesa di Laodicea, come si legge nell’Apocalisse, il Signore rivolge un amaro rimprovero, sembrerebbe fatto per noi, uomini del 2000: “Voi dite: siamo ricchi, abbiamo fatto fortuna, non abbiamo più bisogno di nulla… ma non vi accorgete di essere dei falliti, degli infelici, poveri e nudi… cambiate vita, dunque!” E aggiunge: “Ascoltate! Io sto alla porta e busso. se mi aprirete, io entrerò e ceneremo insieme…“(Ap 3,17 SS).

No, estromesso in mille maniere dalla nostra vita, Dio non se ne è andato! A noi aprirgli la porta. E sarà convito e sarà festa. Sarà Risurrezione, sarà Pasqua.

In questa prospettiva, i nostri auguri Pasquali agli affezionati lettori.

Cercare la pace e non sempre trovarla – Silvia Falcione

Oggi è la Domenica delle Palme. Da oggi Gesù va incontro al Calvario, ma la festa di oggi fa presagire ben altro.
La pandemia ci ha fatto sperare in tempi migliori: ANDRÀ TUTTO BENE ricordate?
Eppure siamo immersi in una nuova guerra terribile e violenta che nessuno si aspettava. I tempi non sono migliori, ma forse noi possiamo essere migliori se ci proviamo, almeno nelle nostre piccole vite.
Ho ritrovato per caso questa preghiera della grande anima di Charles de Foucault, scritta in tempi di guerra fredda e ve la ripropongo in questi nuovi tempi di guerra. Pregare è l’ultimo baluardo, per non spegnere la speranza. A voi.
LA PACE VERRÀ
Se tu credi che un sorriso sia più forte di un’arma.
Se tu credi alla forza di una mano tesa.
Se tu credi che ciò che riunisce gli uomini è più importante di ciò che li divide.
Se tu credi che essere diversi è una ricchezza e non un pericolo.
Se tu sai scegliere tra la speranza o il timore.
Se tu pensi che sei tu che devi fare il primo passo piuttosto che l’altro, allora…
La pace verrà.
Se lo sguardo di un bambino disarma ancora il tuo cuore.
Se tu sai gioire della gioia del tuo vicino.
Se l’ingiustizia subita dagli altri ti rivolta come quella che subisci tu.
Se per te lo straniero che incontri è fratello e sorella.
Se tu sai donare gratis un po’ del tuo tempo per amore.
Se tu sai accettare che un altro ti renda un servizio.
Se tu dividi il tuo pane e sai aggiungere ad esso un pezzo del tuo cuore, allora…
La pace verrà.
Se tu credi che il perdono ha più valore della vendetta.
Se tu sai cantare la gioia degli altri e dividere la loro allegria.
Se tu sai accogliere e accettare un modo di fare diverso dal tuo.
Se tu credi che la pace sia possibile, allora…
La pace verrà.
Buona Pasqua di Resurrezione, pregando che lo sia per tutta Europa, in modo che torni ad essere esempio di convivenza pacifica, nella differenza, per il resto del mondo.

L’INUTILE GARA – don Emilio Zeni

È quella dell’uomo che pretende di competere con il tempo nella sua inarrestabile corsa.

Dovrebbero essere amici, il tempo e l’uomo. Sono diventati avversari; o forse, è soltanto l’uomo a guardarlo con sospetto, talvolta con rabbia.  Il tempo che corre troppo, o non passa mai, il tempo che illude. Così i due avversari, tempo e uomo, fanno la propria corsa. Ma sconfitto ne esce sempre l’uomo con l’affanno che lo insegue e alla fine lo distrugge.

Il tempo, amico dell’uomo, gli offre i ritmi per un’esistenza vivibile, le occasioni per assaporarla come limpido anticipo di quanto atteso e promesso nell’eternità, davanti alla quale anche il tempo si ferma. Ritmi scanditi dal giorno e dalla notte, dalle stagioni.

Gesù ce lo ricorda: “Non affannatevi per il domani… basta ad ogni giorno la sua preoccupazione”.

Oggi, così come ci siamo organizzati la vita per un benessere da rincorrere – col fiato corto- per capirlo e accumularlo, non rimangono che briciole di tempo per gustare quanto abbiamo faticosamente racimolato.

Si inizia presto, già con i bambini: scuola, studio, corsi di danza, sport, musica e quant’altro perché siano domani un po’ più “grandi” e un po’ più “primi” degli altri. E passa via rapidamente la fanciullezza senza i suoi giochi, le sue fantasie i suoi capricci. E su, su, di età in età: la stessa corsa. Adolescenza e giovinezza che sfumano nelle nebbie di un futuro sognato, rincorso e raramente raggiunto. E poiché non si aprono- se non per pochi – le strade del successo, si spalancano le porte delle mille trasgressioni per vincere la noia del tempo che non offre più niente.

Non c’è più tempo per gustare un’alba, ammirare i colori dell’aurora, respirare l’aria nuova del mattino, contemplare un tramonto, viaggiare sognando con le nuvole nel cielo azzurro… non c’è più tempo per giocare con i propri bambini, non più tempo perdonarsi tenerezza nelle coppie sempre più allo sbando. Né tempo né pazienza per ascoltare e capirsi. Non più tempo per “svegliare l’aurora, con l’arpa è la cetra”, secondo il pio salmista, e dialogare, in estasi con il Creatore. E se il tempo c’è, dopo i faticosi ritmi quotidiani, eccolo, il tempo, rapito dai programmi televisivi.

E domani è un altro giorno, fotocopia del oggi scivolato via. Tanto tempo rubato, tanto tempo svenduto.

Ed è subito sera, crepuscolo della vita. Il tempo ti ha vinto. Vien da pensare a un notissimo verso di Leopardi ” Ahi! pentirommi e spesso, ma sconsolato, volgerommi indietro”.

Non per tutti e non sempre è così, certamente. Felice colui- ed è tutto Misericordia di Dio – che avrà ancora il tempo per accorgersi che li, a due passi, si apre l’infinito eterno, quello per cui è stato creato, quello di cui, il tempo, da sempre suo compagno inseparabile, era la pallida ma eloquente immagine. l’infinito eterno con Dio e con i fratelli ai quali, forse, ha saputo donare poco, troppo poco tempo.

La vita vissuta al di fuori dei progetti divini per rincorrere affannosamente progetti umani, può esaurirsi purtroppo, in una inutile corsa. “Procuratevi innanzitutto il Regno di Dio, tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”, ci avverte ancora il Signore.

Si legge nel libro sacro del Qoelet: “nella vita dell’uomo​, per ogni cosa c’è il suo momento”.

Riappropriarsi dell’antica amicizia del tempo, viverne i ritmi sereni e fruirne i tanti doni, potrebbe essere garanzia per un po’ di felicità.

È l’augurio pasquale agli affezionati lettori.

IO PENSO CHA LA PACE SIA… – Leonardo 9 anni

La pace è un simbolo di libertà
tutti devono vivere in prosperità.
Noi non vogliamo la guerra,
rendiamo felice tutta la terra.
Basta Russia, basta Ucraina,
nessuno si deve più chiudere in cantina.
La pace è la felicità
la pace è la libertà.
Basta bombe,
basta sempre più tombe.
Nessuno si deve più ammazzare,
anzi devono parlare e ragionare.
Viva la pace, viva la pace,
tutti devono avere un mondo che ci piace.

GUARDARE OLTRE – don Emilio Zeni

Non bastano i programmi a lungo termine e neppure le intuizioni sul rapido evolversi dei costumi. L’oltre Cristiano supera gli orizzonti umani inoltrandosi nel mistero rivelato dall’eternità.

Immersi nella storia che ci Trascina con le sue infinite ombre e luci, il nostro sguardo, troppo sovente, punta solo sull’immediato, tirandosi dietro anche l’anima. È l’antico “carpe diem” – cogli il momento che fugge – che si impadronisce dei nostri desideri è detta le leggi dell’operare.

Eppure tutto il messaggio evangelico è impostato su questo mirabile guardare oltre il tempo che inghiotte i giorni con la lunga sequenza di esperienze più o meno felici della vita.

Gesù lo insegnò ai suoi discepoli con un gesto di infinita tenerezza: sul Tabor della Trasfigurazione aprì loro una luminosa finestra perché imparassero a vedere oltre le tenebre della imminente tragedia della Croce che li avrebbe sconvolti. Fu un momento di paradiso che entusiasmo Pietro a tal punto da fargli dire cose un tantino insensate. Per poco, poi la ridiscesa al piano li avrebbe ricondotti alle realtà umane del Getsemani e del Golgota.

La Pasqua di Risurrezione è l’annuncio più splendido che Dio volle fare all’umanità che ama: un traguardo di luce in cima alla salita, per quanto faticosa, la gioia inesprimibile di una vittoria assoluta non solo sul peccato e sulla morte, ma pure sulle tante illusioni terrene rivestite di felicità nelle quali si rifugiano anche non pochi credenti, consumandovi la vita. È l’avverarsi della Promessa.

Quando non si guarda oltre, la vita può trasformarsi in una angoscia latente anche per chi, in possesso di beni e di successo, s’impingua di cose che passano, rimuovendo a fatica, con nuove e mai sufficienti distrazioni, l’idea del tempo in cui tutto finirà. Una cupa rassegnazione per altri, nel tormento delle privazioni e della sofferenza, della morte, del mistero, del nulla: tenebra assoluta in muta solitudine.

Guardare oltre le vicende belle o tristi, è proprio del vero discepolo di Cristo. È l’alba luminosa della Pasqua che ne illumina la vita, ne allarga l’anima, spalanca le porte alla speranza e, con essa, all’amore operoso per chi, in maniera diversa, si fa compagno del suo cammino.

Lo dicono i santi e lo sussurrano i nostri “vecchi”, debilitati dall’età e dalle fatiche, ma abituati a guardare oltre, lo ripetiamo noi che ne abbiamo ascoltato i preziosi insegnamenti: “Un pezzo di paradiso aggiusta tutto”, sul ritmo del canto del salmista: “Signore, il tuo volto io cerco, non nascondermi il tuo volto”.

Oggi più di ieri l’uomo, afferrato da una presunta onnipotenza tecnologica, ha bisogno di “allenarsi” a spingere oltre lo sguardo, nella luce della fede, per riappropriarsi della più grande promessa divina: la Risurrezione che dà senso non solo alla appartenenza a Cristo, ma diviene inesauribile energia per affrontare, senza inutili contorsioni, l’avventura della vita che, qualunque essa sia, ha un immenso valore proprio per questa sua vocazione all’eternità, da risorti con Cristo, il primo dei risorti.

Guardare oltre, dunque, per scorgere le cose grandi che ci attendono e ridimensionare, al confronto, le piccole cose che riempiono i nostri giorni e rapidamente passano: è il nostro augurio di buona Pasqua agli affezionati lettori.

Non c’è pace senza perdono – don Emilio Zeni

(Dal messaggio di Giovanni Paolo II per la giornata della pace)

I terribili fatti di sangue di questi ultimi tempi mi hanno stimolato a riprendere una riflessione che sovente sgorga dal profondo del cuore: Qual è la via che porta al pieno ristabilimento dell’ordine morale e sociale così barbaramente violato?  la mia convinzione è che i pilastri della vera pace Sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono.

Ma come parlare oggi, di giustizia e insieme di perdono? La mia risposta è che si può e si deve parlarne: il perdono si oppone alla vendetta, non alla giustizia!

La vera pace è frutto della giustizia. Ma poiché la giustizia umana è imperfetta, esposta agli egoismi essa va esercitata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati…

Il terrorismo internazionale nasce dall’odio e crea violenza in una tragica spirale che coinvolge anche le nuove generazioni, le quali ereditano così l’odio che ha diviso quelle precedenti…

Esiste un diritto a difendersi dal terrorismo, ma la lotta alle attività terroristiche deve comportare anche un impegno sul piano politico, diplomatico ed economico per risolvere con coraggio situazioni di oppressione e di emarginazione troppo a lungo tollerate e che provocano la violenza terroristica.

Ma le ingiustizie esistenti non possono mai essere usate come scusa per giustificare gli atti terroristici…

È profanazione della religione proclamarsi terroristi in nome di Dio. Il Dio che ci crea e ci redime è un Dio di misericordia e di perdono…

Ma cosa significa, in concreto, perdonare?  Il perdono ha la sua sede nel cuore di ciascuno, prima di essere un fatto sociale. Solo nella misura in cui si afferma una cultura del perdono si può anche sperare in una “politica del perdono”. Il perdono è una scelta personale che va contro l’istinto spontaneo di ripagare il male con il male. Ha il suo modello supremo nel perdono di Cristo che sulla croce ha pregato: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Il perdono mancato, quando alimenta la continuazione di conflitti, ha costi enormi per lo sviluppo dei popoli… Le risorse vengono impiegate per​ sostenere le guerre… Quanti dolori soffre l’umanità per non sapersi riconciliare…

Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono: lo voglio annunciare a credenti e non credenti, agli uomini e alle donne di buona volontà, a quanti detengono le sorti delle comunità umane… Non mi stancherò mai di ripeterlo a quanti coltivano dentro di sé odio, desiderio di vendetta, bramosia di distruzione…

LA MIA SCUOLA AMA LA TERRA – Silvia Falcione

“Prof. Ma noi cosa facciamo per l’ambiente?”
Il PROGETTO GAIA ragazzi. Per diffondere la sensibilità e una corretta informazione sul tema ambientale, da lunedì 7 a mercoledì 9 febbraio nella mia scuola IIS CURIE VITTORINI di Grugliasco si è tenuta una tre giorni completamente dedicata alla educazione ambientale, il progetto GAIA, il programma è nel volantino nella foto.​ Il progetto è rivolto alle classi quarte e quinte. Si tratta del quarto anno in cui riproponiamo il progetto, ideato e costruito da un gruppo di docenti particolarmente sensibili ai problemi ambientali.
Partendo dal problema del riscaldamento globale gli studenti hanno affrontato le cause dello scioglimento dei ghiacci, il processo alla Eternit, i cambiamenti climatici,​ il rapporto uomo natura,​ ma anche processi positivi come l’economia circolare e l’economia del benessere o la cittadinanza vegetale. I relatori erano i docenti del gruppo GAIA, più alcune partecipazioni esterne di docenti in pensione tornati per l’occasione e quella di Fra Beppe Giunti francescano, ospite ormai affezionato, presente dalla prima edizione, che quest’anno ha offerto agli studenti una lettura di Querida Amazonia.
Un grazie speciale a Fra Beppe e a tutti i docenti organizzatori che hanno impiegato molto tempo e passione “fuori orario” per realizzare questo splendido e necessario progetto, unico nel suo genere da quanto ci risulta, di cui mi pregio di far parte, molto gradito ai nostri studenti.
Questa per me è la buona scuola e spero si diffonda sempre più.

Perché la vostra gioia sia perfetta – don Emilio Zeni

Che ci sia tanta gioia in giro non pare proprio! Evasioni trasgressive, sì, divertimenti, stravaganze e quant’altro, pure nell’illusorio tentativo di dimenticare il fastidio di un quotidiano sempre meno solare.

Ma gioia poca! Essa non è in vendita. Quando c’è, si radica nel profondo di noi e si manifesta negli atteggiamenti usuali come un naturale modo di essere.
A farci questa promessa e Gesù stesso. “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia anche la vostra è la vostra gioia sia perfetta“.

Sembrerebbe, dunque, che l’assenza di gioia sia dovuta alla carenza di Parola di Dio. Forse non si è colto quanto Lui ci ha detto.

Chi ha un po’ di confidenza con il Vangelo, sa bene che le esigenze di Gesù non sono una buona propaganda, almeno secondo criteri talvolta miopi del nostro agire che rispondono soltanto a immediate ed egoistiche richieste.

Gesù pone sotto gli occhi dei suoi discepoli che seguire Lui vuol dire accettare la croce, rifiutare l’odio, spingersi fino al perdono, guardarsi dall’ansia della ricchezza, disposi a perdere la vita per Lui, per ritrovarla rinnovata. Una vita impegnativa, che richiede tutto per avere in cambio che cosa?
Già, che cosa? Se la nostra fede in Lui si dovesse fermare qui, si ridurrebbe a una specie di codice di marcia, non eccessivamente piacevole, anche se indubbiamente costruttivo.

Ma la cosa straordinaria che ci ha detto perché la sua gioia sia anche nostra e sia perfetta, supera i consueti criteri del mondo.

Egli ci ha rivelato (da soli non ci saremmo mai arrivati) che Dio è Padre, che ci ama incondizionatamente, che ci vuole sempre per sé, che se stiamo dalla sua parte e ci fidiamo di Lui siamo come i tralci uniti alla vite, se occorre disposti alla potatura, ma vivi, carichi di buon frutto.

Fortemente inseriti in Dio, come il tralcio alla vite, non ci spaventa, allora, più niente, perché siamo al sicuro: non è gioia vera e profondo gusto della vita, infatti, se non resisti al logorio del tempo e alle aggressioni della storia.

L’autore sacro canta nel Salmo: “Anche se camminassi per una valle oscura, non temerei alcun male perché tu sei con me“, e altrove, con tenerezza nelle mani di Dio mi sento “come un bimbo svezzato in braccio a sua madre“. È la gioia appagata.

Se i tempi sono tristi come si dice, se pare che il mondo stia navigando in una palude, se le persecuzioni ci fanno sentire l’umiliazione di una ingiusta emarginazione, perché cristiani, se la fatica del vivere smorza la luce sul futuro… non temiamo perché Lui è con noi, radicati nel suo amore, attivi e forti nell’amore ai fratelli.

Neppure gli attacchi alla Chiesa di Cristo o le macroscopiche falsità che girano nelle librerie o nelle sale possono turbarci. Gli autori faranno un cumulo di soldi che “il tempo la tignola consumano inesorabilmente”.

Ma a noi rimane la gioia di essere amati da Dio, oggi e oltre il tempo, per sempre. È la promessa del Signore: “La mia gioia non vi sarà tolta“.

E questo ci basta.

LA MEMORIA – Silvia Falcione

Quest’anno con i miei studenti non abbiamo visto film o filmati il 27 gennaio. Le immagini della Shoah le conosciamo tutti troppo bene. Abbiamo esplorato un altro modo di fare memoria. La memoria diffusa delle pietre d’inciampo. Qualcuno le conosceva. La maggior parte no.

Le pietre d’inciampo (in tedesco Stolpersteine) sono un’iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig per depositare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee, una memoria diffusa dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. L’iniziativa, attuata in diversi paesi europei, consiste nell’incorporare, nel selciato stradale delle città, davanti alle ultime abitazioni delle vittime di deportazioni, dei blocchi in pietra ricoperti da una piastra di ottone posta sulla faccia superiore.

L’iniziativa è partita a Colonia nel 1992 e ha portato, a inizio 2019, all’installazione di oltre 71 000 “pietre”. La cinquantamillesima pietra è stata posata a Torino. Sono i sampietrini del pavè.

Il museo diffuso della resistenza ha creato una mappa delle pietre d’inciampo posate a Torino che sono più di 90. La mappa interattiva si trova sul sito del museo e contiene anche tutte le biografie dei deportati. Ho lasciato scegliere agli studenti.

Prof. Ma questa bambina aveva solo 8 anni.
Prof. Questo ragazzino l’hanno classificato oppositore politico a 15 anni?
Prof. Qui hanno preso una intera famiglia?
Prof. Ma quanti Levi c’erano a Torino?
Non trovo la pietra di Primo Levi.
INFATTI LA SUA PIETRA PARE che non ci sia e non abbiamo capito perché.
Prof. Ma non hanno deportato solo ebrei. Questo era un operaio che aveva fatto sciopero.
Si ragazzi durante gli scioperi del ’44 molti furono arrestati.
Prof. Questo è un partigiano.
Anche questo.
Ma ci sono tanti bambini!!!
Prof. C’è una pietra anche davanti a casa di mia nonna! Devo andare a vedere.

Poi suona la campanella.

Abbiamo fatto memoria. Forse molto più di quanto pensavo. Tutti escono, ma una ragazzina si ferma. Prof. Ne ho trovato uno della mia famiglia. Ha il mio cognome e ha il nome di mio zio. La casa è la stessa. Non lo sapevo. Nessuno me lo ha mai detto. Vado a casa e chiedo.

A volte la memoria è traumatica e viene rimossa. Ma non si può nascondere troppo a lungo. Ricordiamocene. Shalom.