Un amico, Ferrante Marengo

Il ricordo di Ferrante Morengo da parte della figlia Federica e di Enrico Greco.

Ciao papà,

In questi giorni, le persone che conoscevano Ferrante lo hanno descritto come un amico sincero, un amico pronto a tendere la mano, un amico dal sorriso sempre vivo, un uomo generoso, attento agli altri. Un uomo con valori forti, impegnato per il bene comune. Un uomo solido, una “quercia”, un uomo coraggioso. Un uomo che ha obbligato i suoi ideali e i suoi progetti a diventare realtà. Un uomo di fede, un esempio per gli altri, anche nell’affrontare il tumore, senza mai mollare, senza mai darsi per vinto, fino all’ultimo.

Per me, Ferrante era semplicemente il mio Papà e il Nonno dei miei figli e queste due piccole parole bastano per descrivere tutto l’amore che ci unisce e il dolore che oggi mi attanaglia l’anima. Per me Ferrante era semplicemente il mio Papà e il Nonno dei miei figli. Era dolce, affettuoso, autorevole, chiacchierone, allegro. Era testardo, quasi quanto me. Era un cuoco sopraffino, era amante del buon cibo e della buona compagnia. Era il Papà e il Nonno che ci ha insegnato a nuotare fra le onde del mare e a navigare senza perdere la rotta, che ci ha trasmesso l’amore per la montagna e l’umiltà di fronte alla natura. Era un nonno orgoglioso e un papà esigente. Era un punto fermo nella nostra vita, una certezza. Per me Ferrante era semplicemente il mio Papà e il nonno dei miei figli, colui che ci ha mostrato che ogni giorno deve essere vissuto come un dono prezioso e che l’amore deve dirigere ogni nostro gesto, ogni nostra scelta.

E l’amore e l’affetto di tutti voi che siete stati al nostro fianco in questi giorni tristi ci aiutano a sentirci meno soli.

E l’amore e l’affetto di tutti voi che siete stati con noi a Gressoney ad agosto ci hanno permesso di vivere una parentesi di vita e di speranza. Papà è arrivato a Gressoney malato e stanco e grazie alle piccole e grandi attenzioni di ciascuno di voi si è ripreso. Era felice e lo ero anch’io. E l’anno prossimo quando torneremo sul grande prato di Wald, lo ritroveremo nel sorriso dei bambini, nelle partite a carte, nella gioia delle serate trascorse insieme, durante i pranzi e le cene che papà apprezzava tanto. Lo ritroveremo camminando piano sul grande prato e nelle preghiere della sera.

Grazie a tutti voi, per il vostro affetto e la vostra presenza.

Federica Morengo

 

 

Ciao Ferrante,

Portato via da un male incurabile, il nostro amico Ferrante non c’è più.

L’ho conosciuto più di quaranta anni fa, quando i suoi figli erano ancora bambini, quando avevamo davanti tutta la vita.

Per lui, l’affetto ai Salesiani aveva un ruolo preminente, era sempre pronto ad aiutare Don Bosco, con la sua grande competenza professionale, ma soprattutto con il suo prorompente entusiasmo.

Ricordo una vacanza in Trentino con don Emilio e altri amici e amiche, quando si incominciava a pensare che, oltre ai campi scuola, si sarebbe dovuto cercare qualcosa di più concreto da offrire ai giovani: non lo sapevamo ancora, ma stavano sbocciando i primi segni della futura Casetta di San Domenico Savio.

E così quando don Emilio avanzò l’idea di ristrutturare la casa natia del santo fanciullo, andammo a fare un primo sopralluogo. Sgomenti per la situazione di grande degrado che trovammo, Maurizio Chiabotto e proprio Ferrante furono i più convinti e ci trascinarono in un’impresa che vive (e bene!) tuttora.

Ferrante studiò e firmò il progetto di ristrutturazione, sovrintese al cantiere, inaugurò la nuova costruzione e, da allora, seguì ogni passo della vita di quella opera così riuscita alla fine e così apparentemente impossibile agli inizi.

E mentre, da benefattore, portava avanti la ricostruzione della casetta, i successi professionali, la carriera politica, la famiglia, gli exallievi di Penango e i soggiorni a Gressoney riempivano la vita.

Quando poteva, si prendeva una pausa e preparava la sua bagna cauda, a Casabianca o alla Casetta stessa, buona come la sapeva fare lui e poi era festa insieme, con gli sfottò per le sue impagabili barzellette sparate a raffica, lasciandoci senza fiato per il troppo ridere.

Tanti ricordi affollano la mente, ma voglio conservarli quasi gelosamente, limitandomi qui a pensare agli ultimi anni, agli ultimi tempi.

L’amore per Federica e Corrado, l’orgoglio per i nipoti, i pensieri per Rosella, la malattia affrontata da vero cristiano, con pazienza e una punta di ironia, la chemio, l’insulina, le speranze di guarigione, la caparbietà di lottare, la consapevolezza del male che tornava a risvegliarsi.

Caro Ferrante, hai vissuto una vita intensa, con impegno professionale ed umano, sviluppando le tue grandi doti, arricchendo chi ha avuto la fortuna di starti vicino.

Ora sei andato avanti, ancora una volta, a preparare la strada, a vedere che tutto sia in ordine per quando anche noi arriveremo, per riabbracciarci.

A Dio, amico nostro!

Enrico Greco

S. Callisto e l’invenzione delle Catacombe

La 5° giornata delle Catacombe

Il 14 ottobre su TV 2000, durante il programma Di Buon Mattino, viene presentata la 5° giornata delle Catacombe e in particolare la loro invenzione.

Con Mons. Pasquale Iacobone, Segretario Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, si affronta la figura di San Callisto I Papa e martire, nel giorno della memoria liturgica, chiamato a inventare e costruire le catacombe mentre era diacono e oggi sepolto nella catacomba di Calepodio.

Segnaliamo inoltre il video realizzato dalla Pontificia Commissione Archeologia Sacra, che sintetizza la Giornata vissuta a Roma mostrando gli eventi che hanno toccato i diversi siti catacombali accessibili gratuitamente.

A SCUOLA con il Presidente – Silvia Falcione

“Ciao Elisa. Scusa se ti chiamo di venerdì sera e a ora di cena ma avrei bisogno di parlarti di una cosa importante. “Buonasera professoressa come sta? Ma la scuola non è ancora cominciata…eh sì la scuola inizia lunedì, ma ehm, tu sai che avremo la visita del Presidente Mattarella … e si professoressa, ho letto la circolare”. Silenzio. “Ehm , ecco , io volevo chiederti se volevi fare parte del comitato di accoglienza, cioè del gruppo di studenti che faranno accoglienza al Presidente.” Un attimo di silenzio, temo un no, per quanto sono timidi i miei studenti, lei è giovane, andrà solo in terza….invece …”Sì professoressa, che bello, che onore! Posso dirlo anche a Davide? Sa, l’altro rappresentante di classe….ma certo! Lo chiami tu?”.

E così cominciava l’avventura.

Per una settimana ci siamo preparati alla visita del Presidente Mattarella nella nostra scuola CURIE-VITTORINI di Grugliasco in occasione dell’evento televisivo TUTTI A SCUOLA , andato in onda in diretta su RAI 1 venerdì 16 settembre dalle 16,30 per l’apertura del nuovo anno scolastico dopo due anni di sofferenza e pandemia. Mentre le attività didattiche di inizio anno prendevano il via, a poco a poco cresceva il clima di attesa in una mancanza totale di informazioni, che abbiamo appreso soprattutto dagli spot televisivi e dai social. In realtà non sapevamo bene il programma. La RAI ha occupato 10 aule e 10 classi hanno fatto lezione per tutta la settimana nei laboratori. Hanno costruito un palco enorme accanto ai nostri campi sportivi all’aperto e poi hanno cominciato a chiedere gruppi di studenti per l’accoglienza, per il servizio d’ordine, per raccontare le attività scolastiche al Presidente. Un lavoro immane. Ma gli studenti erano entusiasti ed emozionati e noi docenti con loro. Il Preside prima di tutti. Preoccupato, oberato di lavoro, ma felice.

“Prof. Ma come salutiamo il Presidente? Buongiorno o buonasera? Perché è pomeriggio, ma guardi che sole! Ma lo vedremo da vicino vero? “Certo ragazzi si farà la passeggiata nel corridoio lungo 300 metri proprio come voi! (la nostra scuola è enorme, 96 classi, 2200 studenti, 200 professori).Quindi sarete vicinissimi e forse potrete dargli la mano. “

E così è stato. Marta che dava la mano al Presidente Mattarella e poi si sedeva accanto a lui durante lo spettacolo e gli raccontava tutto il progetto della panchina rossa, non ce la scorderemo più. I ragazzi del tecnico che gli fanno vedere come si fanno rilevazioni sul terreno completi di casco e gilet giallo, non li scorderemo più. E non scorderemo i giovani ospiti ucraini che gli raccontano la tragedia della guerra e la solidarietà italiana.

Buongiorno professoressa ” e “Buongiorno Presidente!” resterà l’attimo più emozionante della mia carriera. E poi la festa grande, condivisa con tante altre scuole italiane ospiti, sul palco della RAI, il vento che si è alzato forte a spettinarci i capelli nelle foto sorridenti. Pace, integrazione, solidarietà, cultura, vita, questa è la scuola vera, non solo nel discorso del nostro amato Presidente. Grazie per questa opportunità e grazie a chi nella nostra scuola si è fatto carico del molto lavoro necessario per realizzarla a partire dal nostro Preside Gian Michele Cavallo.

Grazie a tutti! Buon anno di scuola e di vita!

Silvia Falcione

Come parliamo – Adriana Perillo

Viaggiando sui mezzi pubblici mi capita di ascoltare la conversazione dei giovani che hanno la pessima abitudine di parlare ad alta voce e mi colpisce il loro linguaggio veloce, l’uso di un lessico gergale condito, spesso, di parolacce e volgarità molto pesanti.

In quei momenti mi viene da pensare, con molto rammarico essendo stata un’insegnante, che la scuola non ha inciso in modo positivo sulla loro formazione non solo scolastica ma anche educativa. Il loro parlare, però, deriva dall’esigenza di comunicare nel gruppo per indicare un’appartenenza distintiva: i ragazzi di oggi si sentono isolati se non fanno parte di un gruppo.

Il linguaggio verbale distingue l’uomo dagli animali che, pure, hanno un loro modo di comunicare secondo la propria specie, come i cani e i gatti. La lingua è una realtà dinamica, una parte essenziale del vivere dell’uomo e ci permette di comunicare nel modo più chiaro ed efficace e di costruire infiniti messaggi. Parlare è l’abilità più spontanea e naturale che usiamo per comunicare con gli altri. Si impara a parlare da piccoli per imitazione e poi, pian piano, crescendo, il linguaggio si perfeziona insieme alla nostra capacità espositiva.

Chi non ha il dono della parola impara a comunicare con il linguaggio dei segni. La nostra lingua è ricca di parole e il loro suono è armonioso e dolce e ci consente di esprimerci in modo adeguato usando vari registri, perciò mi chiedo perchè non si usa in modo corretto, mentre si tende a contaminarla sostituendo le nostre belle parole con termini provenienti da lingue straniere, soprattutto inglesismi o tecnicismi mediatici.

Le nostre parole sono pregnanti di sfumature che sono adatte e significative per le varie situazioni e molto profonde nell’espressione dei sentimenti.

Oggi dobbiamo stare attenti a non usare molte parole perchè, pur essendo parti integranti del nostro straordinario patrimonio culturale, sono state sconsigliate in quanto ritenute offensive verso qualcuno e si rischia la denuncia se usate pubblicamente.

Così impoveriamo sempre più la nostra tradizione verbale perchè alcuni stupidi movimenti (cancel culture ) ci impongono di non usare termini come negro, nano, vecchio, handicappato e tanti altri ancora che, pur essendo, magari, non positivi, sono tuttavia parti integranti del nostro vocabolario, che ci permettono di descrivere il nostro mondo. E non parliamo del movimento femminista che vuole modificare al femminile tante parole di genere maschile, cancellando le regole della nostra grammatica. E che dire dei gender che vogliono mettere l’asterisco in fine di parola per nascondere il genere? Come si pronuncia l’asterisco? La natura ci crea maschi e femmine (eccetto qualche caso abnorme di ermafroditismo) e non neutri.

Queste mode sono vituperabili, secondo il mio parere. C’è una ossessione perversa tesa a cancellare la ricchezza della nostra lingua, la sua espressività, per un linguaggio inclusivo che non include un bel niente perchè di una parola si può cambiare il significante, cioè come si scrive, ma non il significato, quello che interessa alla gente che ogni giorno parla e comunica.

Adriana Perillo

La storia della nostra lingua – Adriana Perillo

Per chi volesse dare una spolverata ai ricordi della propria formazione scolastica, ho pensato di fare un breve excursus nella storia della nostra lingua, sperando di fare cosa gradita.

Il latino era la lingua che si parlava a Roma a partire dall’VIII secolo a.C.

Era una lingua povera di vocaboli perchè limitata all’ambito della famiglia, del lavoro nei campi e ai riti religiosi. Quando i Romani per le guerre di conquista vennero a contatto con altri popoli come gli Etruschi, i Liguri, i Veneti, i Greci, i Galli, la loro lingua si arricchì notevolmente.

Nel II secolo a.C. l’impero romano si era esteso ad altri stati che oggi si chiamano Francia, Spagna, Portogallo, Romania e alle regioni dell’Africa mediterranea: queste popolazioni accettarono le leggi, la giustizia, la protezione dei Romani ed anche la loro lingua che, tuttavia, a sua volta, risentì dell’influsso delle parlate locali, acquistando caratteristiche diverse da territorio a territorio, condizionata dai tempi di conquista, dall’assimilazione della lingua e dagli idiomi preesistenti alla diffusione del latino.

Naturalmente il latino scritto aveva regole precise, rispettate da tutti, usato dagli scrittori e poeti, dagli uomini di cultura, insegnato, anche dopo la sua scomparsa nelle forme lessicali eleganti e corrette.

Il latino parlato, invece, era la lingua viva di ogni giorno, usata da tutti, in famiglia, per il lavoro, quindi diversa e malleabile, subiva continui cambiamenti e senza rispettare le regole.

Dopo la caduta dell’impero romano nel 476 anche la lingua si sgretolò, non il latino scritto classico usato dai sovrani per emanare le leggi o dagli scrittori e dalla Chiesa, ma quello parlato dal volgo che si modificò da zona a zona per diverse ragioni.

Così su una base latina, si formarono tante lingue diverse tra loro, chiamate neolatine o romanze, cioè parlate nei territori un tempo dominati da Roma.

Esse sono: l’italiano, il sardo, il francese, il ladino, lo spagnolo, il franco-provenzale il portoghese, il rumeno, il catalano.

Il passaggio dal latino volgare all’italiano è stato un processo lungo e complesso e ha riguardato tutti gli aspetti della lingua, la fonologia, la morfologia, la sintassi.

La maggior parte delle parole italiane deriva dal latino non quello colto ma da quello parlato che non ha mai smesso di vivere, mentre le parole dotte sono state reintrodotte dagli studiosi (latinismi).

L’italiano attraverso i secoli.

Il volgare non fu una lingua unitaria. Con l’invasione dei barbari si accentuarono le differenze tra regioni e regioni, così tra il V e l’VIII sec. d.C. dal latino parlato presero vita i volgari italiani locali. Nel Duecento poeti e scrittori cominciarono a scrivere in volgare; san Francesco compose in volgare umbro il Cantico delle Creature, in Sicilia, alla corte di Federico II fiorirono poesie inneggianti all’amore in volgare siciliano. Nel Trecento si distinse il volgare fiorentino, lingua usata da tre autori grandissimi, Dante, Petrarca, Boccaccio che lo resero nobile con i loro capolavori, famosi anche fuori dalla Toscana.

Il fiorentino sostituì il latino come lingua della cultura mentre il dialetto si usava nel parlato quotidiano.

Nel Quattrocento l’Umanesimo con lo studio dei classici greci e latini arrestò un poco la diffusione del volgare.

Nacque la questione della lingua per stabilire un modello di lingua letteraria e colta. Pietro Bembo nel 1500 indicò la lingua degli scrittori del Trecento. In questo periodo si diffusero le grammatiche e nel Seicento fu pubblicato il vocabolario degli accademici della Crusca che contribuì alla unificazione della lingua.

Nel Settecento si verificò la presenza di francesismi grazie all’Illuminismo, corrente filosofica che si proponeva di liberare la coscienza da tutti i pregiudizi medievali e modificò anche la struttura latineggiante del periodo con una forma più breve e diretta.

Così si raggiunse l’unificazione della lingua scritta ma non ancora quella parlata.

Nella seconda metà dell’Ottocento (1861) con l’unità politica si incrementò l’unificazione linguistica. Il fiorentino si era evoluto avendo acquisito parole di origine straniera per adeguarsi alla nuove conoscenze di idee e di oggetti, perciò era necessario che la lingua fosse capita da tutti e non solo dai dotti.

Manzoni già prima aveva affermato che il fiorentino doveva essere la lingua di tutti perchè era una lingua viva e moderna. Completa.

Non fu un percorso facile. Si partì dall’analfabetismo imponendo l’obbligo dell’istruzione elementare, si adottò l’italiano come lingua ufficiale dello Stato e allo scopo furono trasferiti pubblici ufficiali e militari da Nord a Sud e viceversa.

Così a poco a poco la lingua italiana si impose sui dialetti, favorita dalle migrazioni interne, dall’urbanesimo, dalla diffusione dei mass media e dalla TV (1954), mezzi che organizzarono gli usi linguistici.

Il viaggio nella storia della nostra lingua è lungo ed interessante ma qui condensato per solleticare la curiosità di approfondire l’argomento a chi è appassionato della nostra storia.

Adriana Perillo

Maggio – Adriana Perillo

Il mese di maggio è il tempo per eccellenza dedicato a Maria, madre di Gesù e madre dell’umanità.

Da sempre è stata celebrata e venerata, anche papa Giovanni Paolo II era a lei dedicato.

In quest’anno in cui celebriamo i settecento anni della morte di Dante voglio ricordare il suo canto alla Madonna, scritto nella cantica del Paradiso, recitato da san Bernardo: somma poesia, piena di commozione e ardente amore per la creatura che ha nobilitato la natura umana dopo il peccato originale con l’incarnazione di Gesù.

Tutti conoscono questa bellissima ed altissima preghiera, per questo ricordo solo alcuni versi:

Vergine madre, figlia del tuo Figlio,
umile ed alta più che creatura,
termine fisso d’eterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì,che ‘l suo Fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore
per lo cui caldo nell’eterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra i mortali,
se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali
che qual vuol grazia ed a te non ricorre,
sua disianza vuol volar sanz’ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi dimanda,ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenzia, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontade.

Dante, infine, gode della sfolgorante e soprannaturale ed inesprimibile visione di Dio.
Noi chiediamo a Maria, umilmente, che la sua misericordia e la sua benevolenza ci accompagnino nel nostro cammino di vita.

Adriana Perillo 

Semi – Giovanna Colonna

Vi invito a ascoltare gli interventi di Maurizio, che è partito troppo presto ma ci ha lasciato tanti semi: alcuni li aveva già messi nella terra, altri li teneva per una prossima semina. I semi già piantati hanno portato frutto e noi abbiamo la responsabilità di prenderci cura degli alberi, affinchè possano produrre ancora: non possiamo sprecare questa bella eredità.

L’albero del V.I.S., il Progettto NUR: sogni e ideali si fondono per realizzare in terra un pezzo di paradiso. La cooperazione internazionale, la pace, il bene comune, la scelta dei giovani meno fortunati, il rispetto della natura, l’amore per la famiglia: principi, valori, certezze che declinavano il Credo di Maurizio, semi da gettare in abbondanza, con generosità, nella nostra vita e nella società. Come ha fatto Maurizio.

Sempre grazie.

Catacombe d’Italia – card. Gianfranco Ravasi

Un progetto della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra:

“Per questo le catacombe non sono tristi bassi fondi oscuri, ma sono un mondo segreto che si apre al pellegrino e al turista con tutta la bellezza, la fede e la memoria di tante persone che hanno creduto in Cristo e nella sua parola di speranza”

 

OBIETTIVO 16: PACE GIUSTIZIA E ISTITUZIONI SOLIDE – Alessandra

Questa studentessa di classe terza liceo è rimasta colpita dal seguente obiettivo e lo commenta ponendosi domande difficili anche per gli adulti, con una consapevolezza che spesso non pensiamo che i giovanissimi abbiano, invece… leggete.

-Silvia Falcione

 

OBIETTIVO 16: PACE GIUSTIZIA E ISTITUZIONI SOLIDE

Un problema purtroppo molto presente ancora oggi nel mondo è la guerra. Sembra strano dirlo perché è sempre stato un evento considerato storicamente o geograficamente distante da noi. Ora invece abbiamo una guerra in Europa che è in bilico tra la fine di una battaglia e l’inizio di una terza guerra mondiale. Ci troviamo in un momento molto instabile perché o rinunciamo alla democrazia e diciamo sì alla pace (nel senso che se lasciamo l’Ucraina a Putin avremo la pace ma rinunciamo alla democrazia), abbandonando le armi, oppure continuiamo a lottare per essa.

È abbastanza contraddittorio il fatto di dover ottenere la pace facendo la guerra, è triste che oggi ancora si debba ricorrere a ciò. Questo obiettivo si basa proprio sulla pace, sulla giustizia attraverso istituzioni forti. Allora perché non riusciamo a mettere di fatto sullo stesso piano la pace e la giustizia? Perché per ottenere giustizia dobbiamo usare le armi? Come può la pace nascere dalla guerra? Ritornando al discorso generale, questo obiettivo si basa sulla riduzione di violenza che oggi invece sta solamente aumentando su donne e bambini soprattutto.

Non si parla solo di violenza fisica ma anche psicologica. Stupri, abusi e violenze, in particolare domestiche sono all’ordine del giorno senza necessariamente la presenza della guerra. Le giustizia poi dovrebbe essere accessibile a tutti, allora perché le persone ancora oggi non sono tutelate nel denunciare? Come può una persona parlare se poi c’è un seguito di violenza successiva a spaventarla? Tutto ciò avviene perché la giustizia non è così immediata come dovrebbe. È necessario potenziare le istituzioni nazionali più importanti, anche attraverso la cooperazione internazionale, in modo da sviluppare in particolare nei paesi in via disviluppo, le condizioni adeguate per prevenire la violenza e per combattere il terrorismo e di seguito promuovere e applicare leggi non discriminatorie e politiche di sviluppo sostenibile.

Purtroppo nonostante i buoni propositi ci siano, non riusciamo ancora a realizzarli in maniera adeguata. Anche se nella storia i progressi ci sono stati anche solo nel pensiero sociale, sfortunatamente siamo ancora giustamente impegnati a ricordare lo sterminio degli Ebrei nel Giorno della Memoria, quando nel mondo sono presenti tutt’ora numerosi campi di concentramento e di detenzione illegale ad esempio in Cina e in Africa.

SE VUOI LA PACE LAVORA PER LA GIUSTIZIA

-Papa Paolo VI

-Alessandra 16 anni

OBBIETTIVO 1: PORRE FINE AD OGNI FORMA DI POVERTÀ NEL MONDO – Giulia

Ho fatto commentare ai miei allievi di terza gli obiettivi della AGENDA 2030. Ne sono usciti testi sorprendenti che ho deciso di condividere con voi. Perché siamo Salesiani e amiamo i giovani.

-Silvia Falcione

OBBIETTIVO 1: PORRE FINE AD OGNI FORMA DI POVERTÀ NEL MONDO

Ho scelto di commentare questo obbiettivo poichè mi tocca da vicino, avendo parenti che vivono in Africa, con più precisione in Eritrea. Sentire quello che loro considerano normalità e l’estremo paradosso fra il mio stile di vita e il loro, mi rattrista. Spesso sento raccontare da mia nonna situazioni devastanti di molti bambini, bambini obbligati a mangiare quel poco di cibo sporco che riescono a procurarsi per appagare il loro straziante senso di fame, li senti piangere, gridare e alle volte pure lottare per nutrirsi.

Abbiamo sentito più volte ripetere la frase “Perchè fanno figli se sanno della loro condizione economica, che egoisti!”. Coloro che dicono queste parole non sanno che la povertà non permette di procurarsi le giuste precauzioni per limitare le nascite. “Okay, allora non fate sesso(?)”, facile da dire presumo, dovremmo capire che oltre ad essere un bisogno fisiologico, spesso in questi posti, dove regna la povertà, regna anche la criminalità.

Molte di queste “donne” rimangono incinta a causa di uno stupro o semplicemente obbligate a prostituirsi per fame. Si possono trovare ragazzine di 14 anni in mezzo alla strada. Bambini di ogni età subiscono abusi di qualsiasi tipo e questo accade dinnanzi agli occhi di tutti, ma nessuno ha le forze di protestare, data anche la mancanza di forze dell’ordine efficienti. Per molti di loro, l’unica soluzione sarebbe emigrare in paesi più civilizzati, ma anche questo é molto complicato e pericoloso per via di tutta la criminalità che gestisce i viaggi della speranza.

Spero vivamente che si riesca a raggiungere questo obbiettivo entro il 2030, e che finalmente tutti abbiano le stesse opportunità di vita, è davvero triste come molti bambini debbano vivere una realtà ai limiti della moralità facendo sì che i loro giovani sogni vengano distrutti.

-Giulia 16 anni