Le catacombe di Pretestato – Roma

Le catacombe di Pretestato – Roma

Di seguito il video YouTube di Tv2000 con Mons. Pasquale Iacobone ospite della puntata di Bel tempo si spera.

Magnificat DA DONNA A DONNA Silvia Falcione Baradello

Magnificat

Allora Maria disse:

«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».

Ecco qua: il Magnificat. Allora proprio il silenzio fatto persona tu non sei stata Maria.
Questa potente preghiera la pronunci all’inizio della tua storia, davanti a Elisabetta tua cugina e a tutti quelli che erano lì con lei a Betania. Senza la minima esitazione.
Questa preghiera è un collage di versetti del libro dei salmi, che tutti gli ebrei conoscevano a memoria, per pregare Dio, tutti i giorni.
Sono versetti scelti, versetti scelti da te. Non si direbbe proprio a caso.
Il primo lo hai preso da un Cantico di Isaia che recitiamo nella liturgia del salterio, nelle lodi, Isaia 61,10 i primi due versetti e Isaia è il profeta per eccellenza, colui che annuncia la venuta del Messia, tuo figlio che portavi già in grembo.

E’ come un manifesto, il manifesto di una giovane donna ebrea. Ecco cosa mi sembra il Magnificat. Ce lo presentano come il tuo cantico, un cantico di gioia e certamente lo è, ma non basta. C’è molto di più in questa preghiera di lode che è un collage di versetti di salmi biblici. Infatti ogni tanto se preghi con il salterio ne riconosci uno. Dicevo che è molto di più.

Dopo l’iniziale urlo di gioia, i primi sei versetti dove comunque dici che il Signore tuo Dio “ha guardato all’umiltà della sua serva, ovvero ha scelto una ragazza del popolo di Israele e l’ha resa madre prima del matrimonio, cosa decisamente fuori dalle regole sociali, dopo i primi versetti dicevo, tu attacchi con: “Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la Potenza del suo braccio ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore……”.

Citando questi versetti tu Dici che la Potenza del braccio di Dio non sorregge i superbi e confonde i loro pensieri e i loro sentimenti. Maria stai dicendo che chi cerca il plauso del mondo inseguendo un personale narcisismo è un bisogno perverso di potere non avrà il sostegno del Signore. Maria oggi nel mio tempo questo è un messaggio divergente. Oggi nella società dell’apparire e all’apparenza la superbia e il narcisismo sono praticati all’estremo, ma forse anche nella tua società vi erano categorie di persone che praticavano alla grande questi atteggiamenti. Anche tuo figlio li stigmatizzerà. Scribi farisei re ricchi epuloni sono le persone contro cui la sua parola suonerà più forte e chiara.

Ovviamente il Magnificat è stato scritto dopo la sua morte quindi non può che essere in linea con la Parola di Cristo nei Vangeli, ma queste parole sono poste all’inizio dei testi sacri della buona novella e le pronunci, tu sua madre e perciò assumono un significato quasi eversivo perché sei donna e le donne vivevano una condizione subordinata di sottomissione al genere maschile e lo hanno fatto per millenni nel Mediterraneo e in molte altre culture, perché sei sua madre per scelta e questo ti dà un ruolo attivo nella storia della salvezza. (…)

E poi tu fragile e forte ragazza ebrea del popolo continui a parlare potentemente scegliendo tra i versetti dei salmi più forti e più rivoluzionari.
“Ha Rovesciato i potenti dai troni. Ha Innalzato gli umili…” come te, povera ragazza di Nazareth da cui “non arriva nulla di buono” si diceva.
Cos’è Maria ti sei messa in politica? Stai per fare un comizio? Tu, che ti hanno fatto passare come la donna del silenzio? Una vita trascorsa nel nascondimento?
All’apertura della tua storia, della nostra storia, della storia della salvezza, non ti nascondi proprio e non taci. Non taci affatto. Piccola giovane fanciulla di Nazareth, (ma cosa mai potrà venire di buono da Nazareth) ma come ti permetti? Dici che il tuo Signore sta dalla parte dei poveri, di quei poveri che non contano nulla: i pastori i nomadi le donne sottomesse dal patriarcato le ragazze madri come te chiamate adultere i barboni i bambini anche quelli abusati gli schiavi di ogni tempo i mendicanti i lebbrosi, i migranti e non continuo perché l’elenco potrebbe essere troppo lungo. Ma continui tu.

“Ha ricolmato di beni gli affamati. Ha rimandato i ricchi a mani vuote”.
Questo fa il Signore Tuo Dio, nostro Dio. Ricolma di beni gli affamati e lascia i ricchi a mani vuote, come nella parabola di Lazzaro, che tuo figlio ha raccontato a una folla di gente e spiegato chiaramente a chi non capiva o faceva finta di non capire.

Nel nostro mondo, come nel tuo, gli affamati sono la maggioranza dell’umanità e i ricchi hanno paura di loro perché sono molti , molti di più e allora i ricchi, che siamo noi, respingono i barconi, respingono i profughi, negano diritto d’asilo e di cittadinanza perché hanno paura di perdere i loro privilegi e i loro beni, spesso, troppo spesso costruiti sul sangue dell’imperialismo e del colonialismo accompagnati dallo schiavismo condannato da secoli dalla Chiesa, ma sempre esistente sotto diverse forme, coperto dall’ipocrisia di molti sepolcri imbiancati di ieri e di oggi.

Maria, sapevi cosa stavi dicendo? Io credo di sì. Altrimenti non avresti detto quel Si!
Il tuo SI, al tuo Dio della giustizia che sta sempre, sempre, dalla parte degli umili e degli affamati. Grazie, grazie della tua preghiera, del tuo coraggio, della tua testimonianza. In questo ti sento amica, di quella particolare amicizia che si stabilisce tra noi donne.

“Nell’angolo della stanza.
Sul cielo d’oriente
È fiorita la luce dell’universo,
è un giorno lieto.
Sono destinati a conoscersi
Tutti coloro che cammineranno
Per strade simili.”  Tagore

Devozione alla madre di Dio – don Emilio Zeni

Devozione alla madre di Dio – don Emilio Zeni

“Cosa può dire una mamma a un figlio che parte per una lontana destinazione?
A chi affidare il bene più prezioso?
Siamo nel 1835, Giovanni Bosco dovrebbe entrare in seminario a Chieri ma, come si usava allora, per entrare in seminario bisognava indossare l’abito clericale, cosa che Giovanni fece subito, esattamente il 30 ottobre 1835.
Riportiamo quanto egli scrisse nelle sue Memorie.
Vestito l’abito clericale, il 30 ottobre 1835 dovevo entrare in seminario.
Mia madre mi chiamò in disparte e mi confidò: ”Giovanni, tu hai vestito l’abito clericale: io provo tanta consolazione. Ricordati però che non è l’abito che fa onore, ma la virtù. Se un giorno avrai dei dubbi sulla tua vocazione, per carità, non disonorare quest’abito. Quando sei nato ti ho consacrato alla Madonna. Quando hai cominciato gli studi ti ho raccomandato di voler sempre bene a questa Madre. Ora ti raccomando di essere tutto suo, Giovanni. Ama i compagni che vogliono bene alla Madonna. E se diventerai sacerdote, diffondi attorno a te l’amore per la Madonna. Mia madre era commossa. Io piangevo. Le risposi: ”Mamma, vi ringrazio di tutto quello che avete fatto per me. Queste parole le porterò con me come un tesoro per tutta la vita” (Don Bosco)
Durante le vacanze estive la Mamma osservava il proprio figliolo “chierico” e gli lasciava quello spazio sereno, diverso dal rigodo regolamento del seminario. Alla sera gli chiedeva soltanto: “Adesso diciamo il rosario, e poi non dimenticarti le preghiere della sera”.
Il messaggio che piò rimanere per tutti noi è la raccomandazione di mamma Margherita: “ti raccomando di essere tutto alla Madonna perché a Lei ti ho consacrato” e sappiamo quanto fu devoto a Maria Ausiliatrice, che lo aiutò in tutte le sue opere.

Tempo di Pasqua, una stagione di colori

Qualche giorno fa mi sono recata a piedi con mia figlia in un vivaio ad acquistare una begonia bianca per rischiarare il nostro balcone, pieno di piante verdi. Ho avuto così occasione di riflettere sull’importanza di circondarci di fiori e piante che sono portatori di colori, profumi e gioia, ma custodiscono anche significati profondi legati alla storia e all’iconografia religiosa.

Nella cultura ebraica era il narciso il fiore associato alla S.Pasqua, perché simbolo di nascita e di risurrezione: infatti sboccia in questo periodo dell’anno ed è denominato in alcune regioni del Nord Europa “il fiore della Quaresima”. L’olivo rimanda alla vigilia pasquale e richiama il valore universale della pace; nell’antica Grecia era la pianta sacra ad Apollo, utilizzata per cingere gli atleti vincitori delle gare olimpiche, mentre presso i romani era l’emblema della conoscenza.

Nel mondo dell’arte i fiori del limone, dal profumo dolce e delicato, alludono alla salvezza e alla fedeltà nell’amore. La tradizione narra che il fiore della passiflora, detto per questo ”fiore della passione”, raccolse il sangue di Gesù morto sulla croce; è intriso di significato sacro, visto che il suo aspetto richiama i chiodi della croce, la spugna e il martello usati durante il martirio e la corona di spine che ha cinto il capo del Figlio di Dio. Il garofano rosso invece deriverebbe il suo colore dalle lacrime versate da Maria addolorata, è perciò un inno all’amore materno, così come l’azalea.

La storia narra che il materiale scelto dai romani per realizzare la croce di Gesù fu il legno di pioppo; l’albero alzò superbo i suoi rami, ma il Signore lo maledì, condannandolo a tremare ad ogni alito di vento.

Tornando ai giorni nostri, l’ideale per decorare il salotto con un elegante tocco primaverile sono i fiori di ciliegio, che annunciano il ritorno della primavera. I rami di ciliegio o di pesco possono essere usati per l’albero di Pasqua, molto divertente da preparare insieme ai bambini. Decorato con fiocchetti, biglietti di auguri, uova variopinte, uccellini e fiori di stoffa è detto anche “albero della Vita” perché rappresenta la Risurrezione di Gesù e la redenzione dell’uomo. L’origine di questa usanza tedesca arrivata anche in Italia viene ricondotta a Genesi 2,9: “Il Signore Iddio fece germogliare…l’albero della vita in mezzo al giardino”.

Luisa Vigna

Afferrati da Cristo Risorto

La Pasqua è il cuore dell’anno liturgico e di tutta l’esperienza di fede cristiana.
Ogni anno la Resurrezione di Cristo è invito e appello a rinnovarsi profondamente e a rinascere con lui, facendo memoria del nostro Battesimo. Per riflettere sul significato che la Pasqua ha per noi, soprattutto in questo periodo così difficile e anche drammatico, vi propongo di contemplare una straordinaria e suggestiva immagine di Resurrezione: si tratta di un affresco della chiesa di San Salvatore in Chora, ad Istambul (Turchia), risalente al XIV secolo, e che riporta al centro, come di solito nelle immagini bizantine, il titolo della rappresentazione: “E ANASTASIS” (la Resurrezione).
Il Cristo Risorto, vestito di bianco e inserito nella mandorla luminosa, segno della sua divinità, è raffigurato in maniera fortemente dinamica, mentre fa irruzione negli Inferi e squarcia l’oscurità con la sua luce folgorante.

Egli afferra poderosamente con la destra la mano di Adamo e con la sinistra quella di Eva, traendoli fuori dai loro sepolcri. Ai suoi piedi si vedono le porte degli inferi scardinate e mandate in frantumi e il demonio ormai sconfitto. Dietro i Progenitori sono raffigurati tutti i beati e i personaggi dell’Antico Testamento, cominciando da Giovanni Battista, che vengono richiamati alla vita.

Nel Credo degli Apostoli noi ripetiamo: “Fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte…”. La scena evidenzia proprio l’azione di Cristo Risorto che scende agli inferi per liberare i prigionieri dalla morte e chiamarli alla vita nuova che Egli ha inaugurato. Particolarmente significativo e toccante è il gesto che compie, un gesto che tante volte aveva ripetuto nella sua vita terrena: afferrare la mano di chi è sofferente, ammalato, impaurito, fragile, vittima dell’ingiustizia e della violenza, per riportarlo alla vita piena, per ridargli fiducia e speranza, per infondere l’energia nuova che permette di ricominciare.

In questa Pasqua lasciamoci afferrare anche noi da Cristo Risorto per poter ritrovare la speranza, la serenità e la gioia di vivere in comunione con chi ci sta accanto, con tutti i nostri fratelli e sorelle.

Don Lello Iacobone

Le catacombe di Commodilla: tra bellezza, fede e memoria

Le catacombe di Commodilla: tra bellezza, fede e memoria

Con il rinnovo dell’accordo tra Pontificia Commissione di archeologia sacra e Heydar Aliyev Foundation, le catacombe romane di Commodilla potranno tornare agli antichi splendori con l’avvio dei restauri. Il segretario della Commissione, mons. Pasquale Iacobone, ne illustra la bellezza e l’importanza, non soltanto per riscoprire le nostre radici cristiane, ma anche per l’intera comunità e il territorio. Di seguito l’articolo pubblicato dall’Agenzia d’informazione Sir il 10 marzo scorso a cura di Giovanna Pasqualin Traversa e il video YouTube di Tv2000 con Mons. Pasquale Iacobone ospite della puntata di Bel tempo si spera del 23 marzo 2021.

Catacombe di Commodilla. Tra bellezza, fede e memoria. Mons. Iacobone: “A breve l’avvio dei restauri”

Grazie al rinnovo dell’accordo tra Pontificia Commissione di archeologia sacra e Heydar Aliyev Foundation, le catacombe romane di Commodilla potranno tornare agli antichi splendori. In un paio d’anni potrebbero essere aperte al pubblico, spiega al Sir il segretario della Commissione, mons. Pasquale Iacobone, illustrandone la bellezza e sottolineando l’importanza, per una comunità e un territorio, di riscoprire le proprie radici cristiane, artistiche e culturali

In principio furono le catacombe dei Ss. Marcellino e Pietro; successivamente quelle di San Sebastiano, ma è tre il numero perfetto; così lo scorso 4 marzo è stato rinnovato l’accordo tra la Pontificia Commissione di archeologia sacra e la Heydar Aliyev Foundation dell’Azerbaijan per la valorizzazione e il restauro delle catacombe di Commodilla, rilevante complesso cimiteriale nel quartiere romano della Garbatella. A siglare l’intesa, all’indomani della visita alle catacombe, il card. Gianfranco Ravasi, presidente della Pontificia Commissione di archeologia sacra, e Anar Alakbarov, direttore della Fondazione azera presieduta dalla First Lady dell’Azerbaijan, Mehriban Aliyeva. Mons. Pasquale Iacobone, segretario della Pontificia Commissione, ci spiega il valore dell’intesa e ci accompagna alla scoperta di questo inedito tesoro.

Che cosa prevede l’accordo?

Da anni la Fondazione Aliyev sponsorizza i nostri interventi di restauro. Il primo ha riguardato gli affreschi delle catacombe dei Ss. Marcellino e Pietro sulla via Casilina; il secondo la collezione di sarcofagi e pezzi marmorei conservata presso il complesso monumentale di San Sebastiano fuori le mura, completato un paio di anni fa. Ora abbiamo proposto di intervenire sulle catacombe di Commodilla, situate non lontano dalla basilica di san Paolo, perché vi era una situazione di emergenza. Il cubicolo di Leone, preziosissimo per i suoi affreschi, presentava gravi problemi strutturali. Grazie ad un primo finanziamento abbiamo provveduto alla messa in sicurezza e al rinforzo strutturale della volta con l’utilizzo di materiale fibro-rinforzato in carbonio; ora bisogna intervenire sugli affreschi, non solo del cubicolo ma di tutto il complesso. Dopo un sopralluogo del direttore esecutivo della Fondazione, il nostro progetto è stato approvato e finanziato.
In un paio d’anni dovremmo riuscire a realizzarlo e ad aprire le catacombe al pubblico.

Una Fondazione di un paese a maggioranza musulmana sponsorizza per la terza volta il restauro di un monumento cristiano. Qual è il significato simbolico di questo gesto?

La collaborazione con la Fondazione Aliyev è nata quasi un decennio fa. Un’istituzione che mostra grande attenzione non solo per i monumenti cristiani di Roma, ma anche per quelli della Roma pagana e, in generale contribuisce a diversi progetti di recupero e restauro di beni culturali dell’Occidente. La delegazione della Fondazione è stata accompagnata nella visita alle catacombe e nella firma dell’accordo da una delegazione interreligiosa costituita da rappresentanti della Chiesa cattolica e ortodossa, da ebrei e musulmani, a testimoniare l’apertura dell’Azerbaijan e della Fondazione a tutte le espressioni religiose e culturali, al dialogo e alla collaborazione, indipendentemente e nel rispetto delle diversità culturali e religiose.

Collaborazione culturale, dunque, come ponte per il dialogo interreligioso?

Sì. Un’operazione che va oltre la dimensione artistico-culturale per aprire anche al dialogo interreligioso.

Cunicolo di Leone – Cristo con barba

Ritornando a queste catacombe, qual è la loro peculiarità, il loro pregio?

Anzitutto si trovano sulla via Ostiense, la via di San Paolo, ma la loro preziosità è legata in primis agli affreschi che le decorano. Il cubicolo di Leone è completamente affrescato con scene di martirio e di acclamazione a Cristo da parte dei martiri Felice e Adautto. Sulla volta, un cassettonato stellato, si trova un’immagine preziosissima: la prima – o una tra le più antiche – raffigurazione pittorica di Cristo con la barba secondo il tipo che poi verrà chiamato “bizantino” e ritroveremo nelle absidi romane e nelle icone bizantine. Una primizia iconografica unica e da preservare perché in precedenza Cristo era sempre stato raffigurato giovane, senza barba, per esprimere il Lògos eterno. La raffigurazione “adulta” e con barba è successiva e destinata ad imporsi divenendo ovunque prevalente. Nella cosiddetta basilichetta, l’ambiente cui si accede entrando nella catacomba, si trova l’affresco dei due martiri Felice e Adautto cui è dedicata. Poi c’è un altro grande affresco, più tardo, con una bellissima Madonna in trono con Bambino, i due santi, e la vedova Turtura cui era dedicato quell’ex voto, che riconosciamo grazie all’epigrafe lasciata dal figlio sotto l’immagine.

E ancora: Cristo seduto sul globo dà la legge a Pietro e Paolo. Tra i santi, la martire Merita di cui abbiamo pochissime notizie. Infine uno dei primissimi affreschi dell’evangelista Luca, raffigurato con la borsa di medico. Particolarità iconografiche che vanno dalla fine del IV fino al VII-VIII secolo. La frequentazione di questa catacomba è testimoniata anche da numerosi graffiti, alcuni dei quali in caratteri runici (scrittura utilizzata nel nord Europa a partire dal II secolo d.C., ndr) che attestano la presenza a Roma e la visita alle catacombe di pellegrini dall’Europa settentrionale. Infine l’ultimo graffito, oggetto di studio, è un primo accenno di lingua volgare italiana, un misto tra latino e volgare nell’invito al sacerdote che vi celebrava la messa a recitare la “secreta”, ossia la preghiera di consacrazione, in silenzio. Certamente una delle prime apparizioni del volgare. Vi sono inoltre gallerie anticamente murate con loculi perfettamente intatti. Tutti elementi che fanno di queste catacombe qualcosa di particolare e molto prezioso.

Luogo di preghiera e tombe dei primi martiri, le catacombe esprimono il volto della vita cristiana dei primi secoli e sono per noi una scuola di fede. Che cosa ci dicono oggi?

Aldilà del valore artistico, prima che meta di visita turistico/archeologica, le catacombe sono e dovrebbero continuare ad essere anzitutto luogo di culto, preghiera e venerazione. Questo è il principale motivo per il quale desideriamo tutelarle: rilanciarne il significato religioso e spirituale, anche in previsione del giubileo 2025 in vista del quale abbiamo un rapporto di stretta collaborazione con l’Opera romana pellegrinaggi per rivalorizzarle come tappa per i pellegrini. Ci riportano alle radici della fede attraverso la testimonianza della primissima comunità cristiana che esprime il proprio credo in Cristo, nella vita eterna, nell’intercessione di Maria e dei santi.

Una parola di speranza che è importante recuperare, soprattutto in momenti difficili come quelli che stiamo vivendo.

Come è stata accolta nel quartiere la notizia dei restauri e quindi di una non lontana apertura al pubblico?

Con grande entusiasmo. La delegazione di assessori e consiglieri del Municipio Roma VIII guidata dal presidente Amedeo Ciaccheri, presente alla visita e per la prima volta scesa in una catacomba, è rimasta impressionata dalla sua bellezza e si è detta felice che il quartiere possa arricchirsi di questo gioiello.

In che modo il restauro di questo monumento può impreziosire un quartiere come la Garbatella?

Si tratta di un quartiere molto dinamico che l’anno scorso ha festeggiato 100 anni. La frequentazione e l’apertura – magari parziale, non tutti i giorni – delle catacombe con un flusso di pellegrini e di turisti costituisce certamente un plusvalore per il territorio. Vorremmo sollecitare i suoi abitanti – a partire da scuole e associazioni che sono molto vivaci -, a conoscere ed apprezzare il loro “sottoterra”, cosa finora purtroppo impossibile.

Riappropriarsi delle proprie radici culturali e spirituali che valore educativo ha per una comunità?

Ritrovare l’identità di un territorio attraverso le proprie radici cristiane, artistiche e culturali può costituire un elemento di grande coesione sociale. Credo possa essere anche un’iniezione di sano orgoglio, in grado di suscitare il desiderio di emulare quella profondità, spiritualità e bellezza.

Se ci credessimo davvero…

Ogni tempo, anche la Quaresima che stiamo vivendo nuovamente in un periodo di pandemia che non accenna a finire, trova il suo senso più profondo in Lui, Cristo Risorto!

“Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede…”
(San Paolo)

Se ci credessimo davvero che Cristo è risorto, il senso stesso dell’esistenza e dell’operare assumerebbe ben altre prospettive.

Cristo è risorto! L’abbiamo imparato al catechismo, lo celebriamo a Pasqua, lo scriviamo sulle “memorie” dei nostri morti, lo proclamiamo coralmente nella Messa.

Ma “credere” non è solo “conoscere”: è “vivere”. E questo non è scontato, purtroppo.

Gli stessi apostoli faticarono a “credere davvero”, pur essendo stati ampiamente “catechizzati” da Gesù.

A Tommaso, che pretende di toccare con mano i segni delle ferite, il Signore affidò l’ultima beatitudine evangelica: “Tu hai creduto perché hai visto, Tommaso! Beati coloro che pur non vedendo, crederanno”.
Una beatitudine per noi, uomini del terzo millennio, dispersi tra le rovine dell’ateismo, erranti sui sentieri anonimi dell’indifferenza, affondati nelle paludi di un’arroganza intellettuale che presume di riscrivere le leggi della vita e della felicità, disorientati dal cumulo di illusioni che ne scaturiscono, incapaci e pigri a percorrere le strade di una speranza fondata sulla “novità” perenne di Cristo Risorto: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Cristo è risorto, non è qui”.

Se credessimo davvero, quanta più “beatitudine” nella nostra esistenza, liberi dal fascino dell’effimero che ci intrappola tra le maglie di un’avvilente schiavitù, quanto più vero sarebbe l’amore, più generosa la tolleranza, più serena la pazienza, più fecondo il reciproco perdono, quanto più vivo e atteso l’incontro con il Signore, quanto più possibile la pace.

Se ci credessimo davvero non esiteremmo a confidare a tutti, e nei modi più diversi, la ragione della nostra speranza, delle nostre certezze.

entre camminiamo, sovente a piedi nudi, sulle macerie della violenza, o tra le dune aride del deserto nel buio della solitudine, o anche sui prati fioriti della primavera, sappiamo dove stiamo andando e con Chi saremo, secondo la promessa del Risorto: “Vado a prepararvi un posto”.

È Pasqua! Ritorna con rinnovata urgenza l’invito a gridare, con umile commozione, come l’incredulo Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”.

Beati noi se, pur non vedendo, crederemo! Un po’ della nostra beatitudine ricadrà anche su questo mondo tanto lacerato…

È il sincero augurio che insieme vogliamo scambiarci nella gioia di Cristo Risorto.

don Emilio Zeni

SALUTO DEL PRESIDENTE DEGLI EXALLIEVI DI PENANGO

Carissimi Exallievi e amici,
in quest’anno particolare dove un piccolo virus ha stravolto le nostre vite, il nostro modo di vivere tra la paura e l’incertezza, mi vengono in mente alcune riflessioni che Don Franco Del Piano, exallievo di Penango, trasmetteva ai suoi giovani e collaboratori:

Se, nonostante tutto, siamo ottimisti è perché Cristo è risorto!

Se spero in un mondo migliore è perché Cristo è Risorto!

La pasqua del Signore si avvicina: proviamo nelle nostre famiglie, proviamo nelle nostre comunità, proviamo ciascuno di noi a completare
ogni nostro gesto
ogni nostra parola
ogni nostra carezza
ogni nostro dolore
con la gioia di dire e sperare ……………………………….. è perché Cristo è Risorto!
Con questi sentimenti di salesiano ottimismo auguro a tutti voi buona Pasqua… è perché Cristo è Risorto.

Willy