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IL PIANTO DI DIO – don Emilio Zeni

Non so se sia teologicamente corretto, ma credo che il pianto del Signore sia vero, a volte inconsolabile. È il pianto del padre che si vede respinto dai figli costretto ad assistere, impotente, allo sbandamento delle sue creature, ad amare senza essere richiamato. Se è vero, come si legge nel Vangelo, che si fa più festa in cielo per un peccatore che ritorna come non pensare, tristemente, che ci sia anche il pianto per un figlio che sbatte la porta e se ne va?

Ho letto una intervista rilasciata da una scrittrice d’America dopo la tragedia delle torri gemelle a New York: “Perché Dio permette tragedie di tanta efferatezza?”. Il brano mi suggerisce un verosimile lamento di Dio: “O uomo, figlio mio, non posso farci nulla, purtroppo! Hai cancellato il mio nome dai tuoi ordinamenti civili perché ti infastidivo, mi hai messo fuori dalle tue scuole perché inibivo la tua libertà, mi hai espulso dai tuoi parlamenti come presenza inopportuna, mi hai escluso dalla famiglia perché non gradivi i miei interventi per far rivivere l’amore, mi hai ignorato nei laboratori della scienza come elemento di disturbo, hai riso ai miei richiami all’amore, al perdono, al rispetto della vita. Persino la mia immagine ti infastidisce e l’hai tolta dalle pareti della tua casa… Io, che ti ho creato libero perché, liberamente amandomi, il tuo amore fosse vero, sono coerente e rispetto la tua libertà. Mi hai messo da parte! Altro non posso fare se non soffrire e piangere, in silenzio, con te…”

È il lamento di Dio, spassionato e sincero, in fragile linguaggio umano, se vogliamo, ma che ci obbliga ad un interiore silenzio.

Anche Gesù, nella profetica visione della imminente distruzione di Gerusalemme, si lamenta: “Gerusalemme tu che uccidi quelli che Dio ti manda! Quante volte ho voluto riunire i tuoi abitanti attorno a me, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali! Ma tu non hai voluto” (Mt, 23,37). E la liturgia del Venerdì Santo ripropone la drammatica ingratitudine dell’uomo: “popolo mio, ti male ti ho fatto, in che cosa ti ho provocato? Perché mi fai soffrire? Dammi una risposta…”

Ingratitudine e presunzione, con tutte le aberrazioni che ne sono seguite, risalgono agli albori dell’umanità e continuano oggi, nello scellerato tentativo di mettersi al posto di Dio e riscrivere le leggi della vita e della felicità. Ne sono nati i mostri di morte e abissi di disperazione. Un pianto quello di Dio, che ha il tono di uno sfogo, e diventa paterna risposta ai nostri umani e assurdi lamenti, invito a smettere ogni atteggiamento risentito è ingiusto nei suoi confronti.

Ma cela anche una speranza, una mano tesa all’uomo perché si lasci salvare. Alla antica chiesa di Laodicea, come si legge nell’Apocalisse, il Signore rivolge un amaro rimprovero, sembrerebbe fatto per noi, uomini del 2000: “Voi dite: siamo ricchi, abbiamo fatto fortuna, non abbiamo più bisogno di nulla… ma non vi accorgete di essere dei falliti, degli infelici, poveri e nudi… cambiate vita, dunque!” E aggiunge: “Ascoltate! Io sto alla porta e busso. se mi aprirete, io entrerò e ceneremo insieme…“(Ap 3,17 SS).

No, estromesso in mille maniere dalla nostra vita, Dio non se ne è andato! A noi aprirgli la porta. E sarà convito e sarà festa. Sarà Risurrezione, sarà Pasqua.

In questa prospettiva, i nostri auguri Pasquali agli affezionati lettori.

L’INUTILE GARA – don Emilio Zeni

È quella dell’uomo che pretende di competere con il tempo nella sua inarrestabile corsa.

Dovrebbero essere amici, il tempo e l’uomo. Sono diventati avversari; o forse, è soltanto l’uomo a guardarlo con sospetto, talvolta con rabbia.  Il tempo che corre troppo, o non passa mai, il tempo che illude. Così i due avversari, tempo e uomo, fanno la propria corsa. Ma sconfitto ne esce sempre l’uomo con l’affanno che lo insegue e alla fine lo distrugge.

Il tempo, amico dell’uomo, gli offre i ritmi per un’esistenza vivibile, le occasioni per assaporarla come limpido anticipo di quanto atteso e promesso nell’eternità, davanti alla quale anche il tempo si ferma. Ritmi scanditi dal giorno e dalla notte, dalle stagioni.

Gesù ce lo ricorda: “Non affannatevi per il domani… basta ad ogni giorno la sua preoccupazione”.

Oggi, così come ci siamo organizzati la vita per un benessere da rincorrere – col fiato corto- per capirlo e accumularlo, non rimangono che briciole di tempo per gustare quanto abbiamo faticosamente racimolato.

Si inizia presto, già con i bambini: scuola, studio, corsi di danza, sport, musica e quant’altro perché siano domani un po’ più “grandi” e un po’ più “primi” degli altri. E passa via rapidamente la fanciullezza senza i suoi giochi, le sue fantasie i suoi capricci. E su, su, di età in età: la stessa corsa. Adolescenza e giovinezza che sfumano nelle nebbie di un futuro sognato, rincorso e raramente raggiunto. E poiché non si aprono- se non per pochi – le strade del successo, si spalancano le porte delle mille trasgressioni per vincere la noia del tempo che non offre più niente.

Non c’è più tempo per gustare un’alba, ammirare i colori dell’aurora, respirare l’aria nuova del mattino, contemplare un tramonto, viaggiare sognando con le nuvole nel cielo azzurro… non c’è più tempo per giocare con i propri bambini, non più tempo perdonarsi tenerezza nelle coppie sempre più allo sbando. Né tempo né pazienza per ascoltare e capirsi. Non più tempo per “svegliare l’aurora, con l’arpa è la cetra”, secondo il pio salmista, e dialogare, in estasi con il Creatore. E se il tempo c’è, dopo i faticosi ritmi quotidiani, eccolo, il tempo, rapito dai programmi televisivi.

E domani è un altro giorno, fotocopia del oggi scivolato via. Tanto tempo rubato, tanto tempo svenduto.

Ed è subito sera, crepuscolo della vita. Il tempo ti ha vinto. Vien da pensare a un notissimo verso di Leopardi ” Ahi! pentirommi e spesso, ma sconsolato, volgerommi indietro”.

Non per tutti e non sempre è così, certamente. Felice colui- ed è tutto Misericordia di Dio – che avrà ancora il tempo per accorgersi che li, a due passi, si apre l’infinito eterno, quello per cui è stato creato, quello di cui, il tempo, da sempre suo compagno inseparabile, era la pallida ma eloquente immagine. l’infinito eterno con Dio e con i fratelli ai quali, forse, ha saputo donare poco, troppo poco tempo.

La vita vissuta al di fuori dei progetti divini per rincorrere affannosamente progetti umani, può esaurirsi purtroppo, in una inutile corsa. “Procuratevi innanzitutto il Regno di Dio, tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”, ci avverte ancora il Signore.

Si legge nel libro sacro del Qoelet: “nella vita dell’uomo​, per ogni cosa c’è il suo momento”.

Riappropriarsi dell’antica amicizia del tempo, viverne i ritmi sereni e fruirne i tanti doni, potrebbe essere garanzia per un po’ di felicità.

È l’augurio pasquale agli affezionati lettori.

GUARDARE OLTRE – don Emilio Zeni

Non bastano i programmi a lungo termine e neppure le intuizioni sul rapido evolversi dei costumi. L’oltre Cristiano supera gli orizzonti umani inoltrandosi nel mistero rivelato dall’eternità.

Immersi nella storia che ci Trascina con le sue infinite ombre e luci, il nostro sguardo, troppo sovente, punta solo sull’immediato, tirandosi dietro anche l’anima. È l’antico “carpe diem” – cogli il momento che fugge – che si impadronisce dei nostri desideri è detta le leggi dell’operare.

Eppure tutto il messaggio evangelico è impostato su questo mirabile guardare oltre il tempo che inghiotte i giorni con la lunga sequenza di esperienze più o meno felici della vita.

Gesù lo insegnò ai suoi discepoli con un gesto di infinita tenerezza: sul Tabor della Trasfigurazione aprì loro una luminosa finestra perché imparassero a vedere oltre le tenebre della imminente tragedia della Croce che li avrebbe sconvolti. Fu un momento di paradiso che entusiasmo Pietro a tal punto da fargli dire cose un tantino insensate. Per poco, poi la ridiscesa al piano li avrebbe ricondotti alle realtà umane del Getsemani e del Golgota.

La Pasqua di Risurrezione è l’annuncio più splendido che Dio volle fare all’umanità che ama: un traguardo di luce in cima alla salita, per quanto faticosa, la gioia inesprimibile di una vittoria assoluta non solo sul peccato e sulla morte, ma pure sulle tante illusioni terrene rivestite di felicità nelle quali si rifugiano anche non pochi credenti, consumandovi la vita. È l’avverarsi della Promessa.

Quando non si guarda oltre, la vita può trasformarsi in una angoscia latente anche per chi, in possesso di beni e di successo, s’impingua di cose che passano, rimuovendo a fatica, con nuove e mai sufficienti distrazioni, l’idea del tempo in cui tutto finirà. Una cupa rassegnazione per altri, nel tormento delle privazioni e della sofferenza, della morte, del mistero, del nulla: tenebra assoluta in muta solitudine.

Guardare oltre le vicende belle o tristi, è proprio del vero discepolo di Cristo. È l’alba luminosa della Pasqua che ne illumina la vita, ne allarga l’anima, spalanca le porte alla speranza e, con essa, all’amore operoso per chi, in maniera diversa, si fa compagno del suo cammino.

Lo dicono i santi e lo sussurrano i nostri “vecchi”, debilitati dall’età e dalle fatiche, ma abituati a guardare oltre, lo ripetiamo noi che ne abbiamo ascoltato i preziosi insegnamenti: “Un pezzo di paradiso aggiusta tutto”, sul ritmo del canto del salmista: “Signore, il tuo volto io cerco, non nascondermi il tuo volto”.

Oggi più di ieri l’uomo, afferrato da una presunta onnipotenza tecnologica, ha bisogno di “allenarsi” a spingere oltre lo sguardo, nella luce della fede, per riappropriarsi della più grande promessa divina: la Risurrezione che dà senso non solo alla appartenenza a Cristo, ma diviene inesauribile energia per affrontare, senza inutili contorsioni, l’avventura della vita che, qualunque essa sia, ha un immenso valore proprio per questa sua vocazione all’eternità, da risorti con Cristo, il primo dei risorti.

Guardare oltre, dunque, per scorgere le cose grandi che ci attendono e ridimensionare, al confronto, le piccole cose che riempiono i nostri giorni e rapidamente passano: è il nostro augurio di buona Pasqua agli affezionati lettori.

Non c’è pace senza perdono – don Emilio Zeni

(Dal messaggio di Giovanni Paolo II per la giornata della pace)

I terribili fatti di sangue di questi ultimi tempi mi hanno stimolato a riprendere una riflessione che sovente sgorga dal profondo del cuore: Qual è la via che porta al pieno ristabilimento dell’ordine morale e sociale così barbaramente violato?  la mia convinzione è che i pilastri della vera pace Sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono.

Ma come parlare oggi, di giustizia e insieme di perdono? La mia risposta è che si può e si deve parlarne: il perdono si oppone alla vendetta, non alla giustizia!

La vera pace è frutto della giustizia. Ma poiché la giustizia umana è imperfetta, esposta agli egoismi essa va esercitata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati…

Il terrorismo internazionale nasce dall’odio e crea violenza in una tragica spirale che coinvolge anche le nuove generazioni, le quali ereditano così l’odio che ha diviso quelle precedenti…

Esiste un diritto a difendersi dal terrorismo, ma la lotta alle attività terroristiche deve comportare anche un impegno sul piano politico, diplomatico ed economico per risolvere con coraggio situazioni di oppressione e di emarginazione troppo a lungo tollerate e che provocano la violenza terroristica.

Ma le ingiustizie esistenti non possono mai essere usate come scusa per giustificare gli atti terroristici…

È profanazione della religione proclamarsi terroristi in nome di Dio. Il Dio che ci crea e ci redime è un Dio di misericordia e di perdono…

Ma cosa significa, in concreto, perdonare?  Il perdono ha la sua sede nel cuore di ciascuno, prima di essere un fatto sociale. Solo nella misura in cui si afferma una cultura del perdono si può anche sperare in una “politica del perdono”. Il perdono è una scelta personale che va contro l’istinto spontaneo di ripagare il male con il male. Ha il suo modello supremo nel perdono di Cristo che sulla croce ha pregato: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Il perdono mancato, quando alimenta la continuazione di conflitti, ha costi enormi per lo sviluppo dei popoli… Le risorse vengono impiegate per​ sostenere le guerre… Quanti dolori soffre l’umanità per non sapersi riconciliare…

Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono: lo voglio annunciare a credenti e non credenti, agli uomini e alle donne di buona volontà, a quanti detengono le sorti delle comunità umane… Non mi stancherò mai di ripeterlo a quanti coltivano dentro di sé odio, desiderio di vendetta, bramosia di distruzione…

Compleanno don Emilio: i primi 90 anni!

Caro Don Emilio – Elena Gay in Riefolo

Caro Don Emilio,
in occasione del tuo splendido 90° compleanno, permettimi di rivolgerti qualche semplice pensiero. Come moglie di un ex allievo penanghino, ti conosco da diversi anni e anche se la mia frequentazione non è stata sempre costante nel tempo, tuttavia la tua profonda umanità, manifestata sia nei colloqui individuali, sia nelle accurate omelie della Santa Messa, i tuoi insegnamenti e i tuoi spunti di riflessione, durante quelle incantevoli serate a Gressoney, sono stati veri elisir di vita per noi, povere anime smarrite e brancolanti, in un mondo tanto confuso e problematico.
Caro Don Emilio, la tua presenza nel gruppo è preziosa, continua a seguirci e a confortarci ancora per tanti e tanti anni.

Con affetto e simpatia
Elena Gay in Riefolo

Don Zeni – Gino Franco

Don Zeni di Gino Franco
Ad una persona speciale, dal profondo del mio cuore, arriva un augurio speciale: Buon Compleanno! 90 anni portati molto bene e soprattutto da sacerdote e uomo molto intelligente e buono, disponibile sempre a soccorrere con la buona parola chi a lui si rivolge.
Il suo sorriso aperto e sincero, la sua voce piacevole sono armi formidabili nel suo modo di fare servizio. Con lui, come delegato degli exallievi di Penango, i giorni sono passati sono stati tra i più belli per me, insieme a lavorare per l’Unione in amicizia, dialogando sempre nello spirito salesiano.
Sul prato della colonia don Bosco a Gressoney l’ho visto sempre in azione a confessare, consigliare, confortare chi con lui si confidava ma anche a fare squadra in tornei di bocce, lottare con un montone; le sere a Gressoney le passiamo ancora, come tanti anni fa, ad ascoltare la sua buona notte ricordandoci tanti episodi della vita e degli insegnamenti di don Bosco di cui è un profondo conoscitore.
Caro Emilio, le tue omelie sono sempre ascoltate con interesse e piacere e non potrò mai dimenticare quella che hai tenuto nella celebrazione delle nozze di mio figlio, molto partecipata e sentita: un grandissimo dono per tutta la mia famiglia. Quando ne parliamo i nostri figli dimostrano molto affetto nei tuoi confronti: li hai visti dalla nascita e li hai seguiti nel loro crescere così come per i tantissimi ragazzi che hanno fatto parte della Unione di Penango. Emilio, non bastano certamente queste poche parole per raccontare tutto il bene che hai fatto e che farai ancora, perciò ti dico solo Grazie per i bei momenti passati insieme perchè sei la persona più straordinaria e bella che abbia incontrato nella famiglia salesiana.
Tanti Tanti auguri di buon compleanno.

Gino Franco

 

Grazie don Emilio – Conversando con don Emilio

Grazie Don Emilio!
Gressoney fa parte della mia vita, da sempre. Il grande prato e la casa di Wald mi hanno accolta bambina, ragazzina e poi mamma. E non posso pensare a Gressoney senza pensare a Don Emilio che mi ha vista crescere e mi ha accompagnato nella mia crescita, con la sua presenza discreta. Giovane adulta, un pomeriggio come tanti a Gressoney, ero seduta su una panchina al sole e chiacchieravo con Don Emilio. Ingiustizia sociale, disuguaglianza, povertà… erano problematiche a cui iniziavo ad avvicinarmi e che suscitavano in me dubbi e una certa forma di incomprensione. E quel giorno chiesi a Don Emilio perché io avessi avuto molti doni nella vita, praticamente tutto e altre ragazze niente, sottintendendo una certa forma di ingiustizia che rimproveravo al creato. Don Emilio mi rispose: “Se hai molto è perché Dio ti chiede di dare molto. Se hai molto, hai anche una grande responsabilità verso gli altri”. Con questa semplice piccola frase, che mi ha accompagnato negli anni, Don Emilio mi permise di scorgere la strada che volevo intraprendere.
Qualche tempo dopo, cominciai a lavorare nel sociale e da allora non ho più smesso. Nel corso degli anni, ho sempre lavorato con donne che non hanno avuto la fortuna di vivere e crescere in un ambiente protetto e amorevole come il mio. Donne che hanno subito violenze, sfruttamento e ingiustizie. Donne che hanno visto e subito l’orrore. Donne che nessuno rispetta. Donne che nessuno vuole, perché straniere, perché povere…

Ancora oggi ripenso a quella conversazione con Don Emilio, sul grande prato di Wald. E ai doni che da allora ho ricevuto. Perché ogni giorno per più di vent’anni, le donne che si sono rivolte all’associazione per cui lavoro, mi hanno mostrato che cosa sia il coraggio, la resilienza, l’amore materno, la tenacia, la pazienza, la forza e la fragilità. Ma soprattutto, mi hanno mostrato che cosa sia avere fede in Dio.

Conversando con don Emilio

 

In un torrido pomeriggio del luglio 1976 – Enrico Greco

In un torrido pomeriggio del luglio 1976, don Piero Ponzo mi convocò nel suo ufficio di Delegato Exallievi e Cooperatori dell’Ispettoria Centrale a Valdocco e mi annunciò con solennità: “L’Ispettore, don Felice Rizzini, mi ha nominato direttore dell’Istituto Rebaudengo. Da settembre ci sarà un nuovo delegato e voglio fartelo vedere”. Mi accompagnò alla finestra che dava su via Maria Ausiliatrice e mi mostrò il palazzo di fronte, quello che ancora oggi ha l’ingresso principale sulla piazza e ospita la parrocchia. Allora al primo piano c’era il Centro di Pastorale Giovanile ispettoriale e da una finestra si vedeva un uomo bruno di profilo che scriveva a macchina. Don Piero scandì: “Ecco don Emilio Zeni!”.
Don Emilio aveva 45 anni, era nato infatti il 1° luglio 1931 a Grumo di San Michele all’Adige, in provincia di Trento. Era l’ottavo e ultimo figlio di Anselmo Zeni e Maria Maddalena Moser. Nel 1946, appena quindicenne, aveva fatto la sua prima professione religiosa, poi frequentò il liceo classico a Foglizzo e svolse il suo tirocinio a Penango dal 1947 al ’50. Si laureò in Teologia a Bollengo e nel 1957 celebrò la sua prima messa. Poi fu insegnante di Lettere a Bagnolo, a Ulzio e al Rebaudengo. Passò poi alla Pastorale Giovanile, come responsabile del settore preadolescenziale e curava la rivista Mondo Erre, fino appunto a quel luglio del ’76.
Ad agosto di quello stesso anno, don Ponzo lo invitò a Gressoney per conoscere gli exallievi di Penango e assumerne la guida spirituale. Gli anni da delegato ispettoriale sono stati molto proficui: ha incontrato migliaia di persone, soprattutto giovani, organizzato manifestazioni, pellegrinaggi, campi scuola. Ma il suo fiore all’occhielllo rimane la Casetta natia di San Domenico Savio, che da oltre 30 anni accoglie giovani e famiglie per giornate di spiritualità.
Nel 1994 lasciò l’incarico di Delegato Exallievi e Cooperatori per assumere la carica di Rettore del Tempio del Colle Don Bosco dove si trova tuttora.
Da quel quasi incontro del 1976 sono passati altri 45 anni e don Emilio veleggia sereno e in buona salute verso i 90 anni!
Il Signore lo ha formato fin da bambino in una famiglia magari non agiata economicamente ma ricca di valori cristiani. In mezzo ai genitori e ai molti fratelli e sorelle, Dio gli ha fatto incontrare Don Bosco e scoprire la sua vocazione sacerdotale. Egli ha rinunciato a costruirsi una famiglia propria, ma gliene ha donata una più grande e numerosa, con la sua comunità salesiana, e, lo diciamo con un po’; di presunzione, con tutti noi.
Per noi è stato un amico, un fratello maggiore, un padre.
Ci ha accompagnati nella giovinezza, nel matrimonio, nell’educazione dei nostri figli…
Di tutto questo e dei tanti ricordi belli che ognuno di noi serba nel suo cuore, vogliamo oggi ringraziare Dio.
E, insieme al ringraziamento, oggi vogliamo anche affidare Don Emilio al Signore, al Dio infinitamente buono, che saprà ricompensarlo per il tanto amore che ha dispensato durante la sua vita, conservandolo, per i prossimi tanti anni, nella salute del corpo e degli occhi, preservando il suo cuore buono, mantenendolo sempre vivace nella mente, assicurandogli sempre il carattere dolce e accompagnando la sua anima bella.

 

Perché io sono altrove – don Emilio Zeni

“Signore, se tu sei dappertutto perché io sono altrove?” se lo chiedeva Madaleine Delbrel 81904 – 1964 nel massimo della sua crisi spirituale. Atea, lucida e determinata, appena diciassettenne scrive nella sua indagine su Dio che ogni religione è un assurdo; tutto quanto è relativo nella vita. Anche l’amore per il quale non vale la pena impegnarsi.

Ma 18 anni si innamora di Jean, un ragazzo splendido. Un amore vero e sublime. Un giorno Jean decide di lasciarla per entrare in un convento di Domenicani. Per Madaleine furono giornate buie, tormentate dal pensiero di questo Dio che le aveva rubato Jean.

“Se Jean mi ha lasciata per appartenere a Dio chi è mai questo Dio?”

Provò a pregare. Rimase “abbagliata” da quel Dio che aveva dichiarato “morto” per sempre. Dio era lì, da tanto tempo; il suo cuore, quello si, era “altrove”. Non entrò in convento, la strada sarà il suo monastero, tra i più poveri e soli.

Può accadere a tutti di attraversare tempi di dubbi, eventi oscuri che gettano ombre sulle nostre sicurezze religiose. E la tentazione dell’abbandono può sfociare, quanto meno, in un vago senso di Dio, che non parla la vita nel veloce susseguirsi dei giorni. Ci sono talvolta confusi ricordi del catechismo della fanciullezza, ma l’esistenza, sovente, si discosta: altro e lui, altra e la vita. È dappertutto Dio, ma così lontano…

Eppure il canone sacro dei salmi afferma:

“Come andare lontano da te? Se salgo in cielo, Tu sei là; se prendo il volo verso l’aurora e mi poso all’estremità del mare: anche la mi afferra la tua mano.

Dico alle tenebre: “Fatemi sparire”, alla luce intorno a me: “Diventa notte!” ma nemmeno le tenebre per te sono oscure e la notte è chiara come il giorno… sei Tu che mi hai plasmato il cuore e mi hai tessuto nel grembo di mia madre…” (Salmo 138).

Noi siamo altrove fin quando il cuore non lo scoprirà come amore che crea, sostiene, guida, insegna, perdona, abbraccia e apre a quella speranza che va oltre l’affanno delle nostre giornate.

Sant’Agostino trentenne brillante, ricco, socialmente affermato, incontra Dio solo sulle strade del suo amore. Scrive: “Tardi ti ho amato, bellezza così antica e sempre nuova, tardi ti ho amato. Sì perché tu eri dentro di me e io ne ero fuori…” (Conf. X,27 ss).

Dio è dappertutto: basta lasciarsi guidare dallo stupore per scorgerlo nel mistero dell’alba, nell’incanto di un tramonto, nel fiore che sboccia, nel frutto che matura, negli occhi di un bambino, nella dolcezza di una mamma in attesa, nelle rughe di un anziano, nella pioggia che nutre e disseta, nella foresta che cresce, nell’uomo che si commuove, nel respiro del morente, nelle nascoste pieghe dei nostri sogni.

Quel Dio lontano, è così vicino da lasciarsi consumare nel mistero eucaristico, che si svela pienamente al cuore che accetta di essere amato da lui. “Ci hai fatti per te Signore, esclama ancora Agostino, e il nostro cuore non ha pace fin quando non riposa in Te” (Conf. l,1).