Perché io sono altrove – don Emilio Zeni

“Signore, se tu sei dappertutto perché io sono altrove?” se lo chiedeva Madaleine Delbrel 81904 – 1964 nel massimo della sua crisi spirituale. Atea, lucida e determinata, appena diciassettenne scrive nella sua indagine su Dio che ogni religione è un assurdo; tutto quanto è relativo nella vita. Anche l’amore per il quale non vale la pena impegnarsi.

Ma 18 anni si innamora di Jean, un ragazzo splendido. Un amore vero e sublime. Un giorno Jean decide di lasciarla per entrare in un convento di Domenicani. Per Madaleine furono giornate buie, tormentate dal pensiero di questo Dio che le aveva rubato Jean.

“Se Jean mi ha lasciata per appartenere a Dio chi è mai questo Dio?”

Provò a pregare. Rimase “abbagliata” da quel Dio che aveva dichiarato “morto” per sempre. Dio era lì, da tanto tempo; il suo cuore, quello si, era “altrove”. Non entrò in convento, la strada sarà il suo monastero, tra i più poveri e soli.

Può accadere a tutti di attraversare tempi di dubbi, eventi oscuri che gettano ombre sulle nostre sicurezze religiose. E la tentazione dell’abbandono può sfociare, quanto meno, in un vago senso di Dio, che non parla la vita nel veloce susseguirsi dei giorni. Ci sono talvolta confusi ricordi del catechismo della fanciullezza, ma l’esistenza, sovente, si discosta: altro e lui, altra e la vita. È dappertutto Dio, ma così lontano…

Eppure il canone sacro dei salmi afferma:

“Come andare lontano da te? Se salgo in cielo, Tu sei là; se prendo il volo verso l’aurora e mi poso all’estremità del mare: anche la mi afferra la tua mano.

Dico alle tenebre: “Fatemi sparire”, alla luce intorno a me: “Diventa notte!” ma nemmeno le tenebre per te sono oscure e la notte è chiara come il giorno… sei Tu che mi hai plasmato il cuore e mi hai tessuto nel grembo di mia madre…” (Salmo 138).

Noi siamo altrove fin quando il cuore non lo scoprirà come amore che crea, sostiene, guida, insegna, perdona, abbraccia e apre a quella speranza che va oltre l’affanno delle nostre giornate.

Sant’Agostino trentenne brillante, ricco, socialmente affermato, incontra Dio solo sulle strade del suo amore. Scrive: “Tardi ti ho amato, bellezza così antica e sempre nuova, tardi ti ho amato. Sì perché tu eri dentro di me e io ne ero fuori…” (Conf. X,27 ss).

Dio è dappertutto: basta lasciarsi guidare dallo stupore per scorgerlo nel mistero dell’alba, nell’incanto di un tramonto, nel fiore che sboccia, nel frutto che matura, negli occhi di un bambino, nella dolcezza di una mamma in attesa, nelle rughe di un anziano, nella pioggia che nutre e disseta, nella foresta che cresce, nell’uomo che si commuove, nel respiro del morente, nelle nascoste pieghe dei nostri sogni.

Quel Dio lontano, è così vicino da lasciarsi consumare nel mistero eucaristico, che si svela pienamente al cuore che accetta di essere amato da lui. “Ci hai fatti per te Signore, esclama ancora Agostino, e il nostro cuore non ha pace fin quando non riposa in Te” (Conf. l,1).