Carissimo Willy – Giovanni Bergamelli

Carissimo Willy,

Sono Giovanni Bergamelli di Nembro (Bergamo), ex allievo di Penango. Per anni sono venuto a Gressoney con la mia famiglia, ma sono anni che manco dalla colonia anche se ogni tanto sono presente a Chieri o a Penango in occasione degli incontri.

Approfitto per salutare e ringraziare per l’impegno che dimostrate nel portare avanti l’associazione.

Ti invio la foto di un quadro che rappresenta ricordi e momenti della vita del Collegio di Penango ricostruito in fiammiferi, perlopiù usati, raccolti soprattutto dai miei alunni di scuola nel decennio 1970-1980.

Sapendo che io ne avevo un grande bisogno, essi sottraevano alle loro mamme intere scatole di fiammiferi, li accendevano ad uno ad uno per spegnerli immediatamente e potermeli così consegnare a scuola ancora quasi nuovi.

Il lavoro era stato progettato nell’intento di portarlo a termine nel 1988, anno del Centenario della morte di don Bosco. Purtroppo per motivi vari avevo dovuto sospendere l’iniziativa.

Ripresi in mano i fiammiferi nei primi anni di questo secolo pensando di completare il lavoro per il 2015, anno del Bicentenario della nascita di don Bosco. Non fu così.

Solo da alcuni anni ho recuperato i disegni preparatori ed i fiammiferi rimasti, ma mi misi al lavoro decisamente solo dal novembre 2018, quando mi son detto: o adesso o mai più. Tanto più che don Ferdinando Bergamelli, nel vedere il pannello incompiuto, mi aveva incoraggiato dicendo: “Finiscilo alla svelta!”

E così, lasciando perdere un po’ le mie ricerche storiche e lavorando ore e ore ogni giorno, ho potuto portarlo a termine il 31 gennaio 2019: “Laus Deo Mariaeque”.

Allego anche un foglio per spiegare ciò che è possibile vedere e riconoscere nella foto e in alcuni particolari.

Nembro, 14 ottobre 2021

Giovanni Bergamelli

Nella foto l’osservatore paziente potrà notare:

  • una collezione di “storie” che si riferiscono all’edificio, al paesaggio proprio del paese e alla vita del collegio
  • l’edificio centrale nella sua parte alta con il campanile della chiesa dell’Istituto
  • i tre portici tra loro diversi
  • il grande cedro
  • la balaustra del terrazzo esterno al cortile
  • alcuni tigli che circondavano il cortile
  • la chiesa parrocchiale che emerge dal gruppo di case che le stanno quasi davanti
  • il sole che tramonta dietro i colli, benché in un punto dove poteva arrivare solo prolungando il suo corso
  • l’immagine ingrandita di Maria Ausiliatrice 
  • i ragazzi in perfetto ordine ed allineati sotto il portico dello studio intenti a cantare una lode e ad osservare il cielo rosso del tramonto del sole dietro le Alpi ed i colli del Monferrato
  • l’altare principale della chiesa con l’immagine dell’Addolorata (ma è quella del santuario mariano dello Zuccarello di Nembro) ed un ragazzo in preghiera durante la visita quotidiana al Santissimo
  • il busto di don Bosco posto accanto alla porta d’ingresso dell’ufficio del Direttore 
  • i simboli dei giochi prediletti: il calcio, la pallavolo, la pallacanestro 
  • due ragazzi che ci sanno fare con gesti atletici: uno calcia un pallone, l’altro sta per fare canestro a due mani
  • alcuni ragazzi fanno crocchio attorno ad un superiore in certi momenti della giornata: chi cammina avanzando e chi all’indietro
  •  nello studio il Consigliere legge i voti mensili: i ragazzi ascoltano trepidanti, ma uno, chiamato per nome, si è alzato e, assai compunto, si sente dire che ha meritato 10 meno nel comportamento
  • il grande orologio segna il tempo dei compiti e dello studio
  • la campanella, appesa sotto un balcone, scandisce l’intera giornata
  • in refettorio i ragazzi mangiano in silenzio perché un loro compagno, grandicello, legge una bella storia a puntate
  • in teatro la banda del collegio suona durante l’intervallo dello spettacolo che ha per titolo BRITANNICUS, un lavoro quasi tutto in versi, che ha fatto sudare alcuni di noi per impararlo per bene
  • alcuni ragazzi sono occupati a fare le quotidiane pulizie con strumenti adatti 
  • i ragazzi in passeggiata sono invitati dall’assistente a non fermarsi troppo a chiacchierare ma a proseguire anche se la strada è polverosa o infangata, a seconda della stagione

C’è qualcosa che manca nell’insieme, forse la più attesa della giornata: la notte, quando la lunga giornata, iniziata alle 6 e portata a termine alle 21 e 30, si concludeva con il “TU AUTEM DOMINE MISERERE NOSTRI”.  

Forse a qualcuno interesserà capire anche le parole del pannello:

La cornice

  • in alto: PADRE E MAESTRO DELLA GIOVENTÙ S. GIOV. BOSCO SII NOSTRA GUIDA
  • in basso: ISTITUTO MISSIONARIO SALESIANO “S. PIO V” – PENANGO MONFERRATO – AT
  • a sinistra: SANCTA PARENS 
  • a destra ADESTO FILIIS ossia:  S.P.A.F. , che era il motto della società, segreta, voluta da don Santo Mognoni per la nostra classe
  • a destra della chiesa del paese alcune parole, benché senza punteggiatura, cercano di dare senso a tutto l’insieme: 
    • PER LE STRADE DELLA VITA SEI STATO
    • NELLA MENTE E NEGLI OCCHI O COLLEGIO
    • VIA DA VOI AMICI MAI SONO ANDATO
  • sul sipario alzato del teatro: BRITANNICUS (di cui fu interprete principale Luce Settimio)
  • sopra le arcate del portico dello studio: 1955 – 1960 (la mia permanenza nell’Istituto)
  • tra le finestre dell’edificio, anche se fuori luogo, ma come richiamo a Gressoney: DON BOSCO
  • in basso a destra: GIOVANNI BERGAMELLI .

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Le catacombe di San Lorenzo al Verano, don Pasquale Iacobone

Mons. Pasquale Iacobone, Pontificia Commissione di Archeologia sacra, è ospite nella puntata di Di buon mattino del 17 novembre 2021.

Mons. Pasquale Iacobone, Pontificia Commissione di Archeologia sacra, è ospite nella puntata di Di buon mattino del 17 novembre 2021.

IL TEMPO DELL’ANIMA – don Emilio Zeni

I tempi dell’anima sono diversi da quelli, talvolta sconnessi e scombinati, del nostro fisico solitamente agitato.

Si racconta di una equipe di giovani esploratori impegnati in una missione scientifica nell’America Centrale. Avevano studiato un programma dettagliato, calcolati i tempi, assunto un gruppo di “portatori”, indios robusti e abituati alla fatica. 

Iniziata la marcia, tutto faceva prevedere un’ottima riuscita. Ma al quinto giorno i giovani indios si sedettero rifiutandosi di continuare. Muti, nessuna spiegazione. Non valsero suppliche, promesse di più alti compensi, persino qualche minaccia. Silenzio, accoccolati sulla pietraia, in cerchio. Dopo due giorni, gli indios si alzarono, ripresero il loro carico e insieme si rimisero in viaggio. Spediti e decisi più di prima. Nessuna spiegazione. Per i giovani esploratori un’esperienza nuova e inspiegabile. Solo a missione compiuta uno parlò, a nome di tutti: “Correvamo troppo e non eravamo accorti che le nostre anime erano rimaste indietro; abbiamo dovuto aspettare che ci raggiungessero”.

L’anima, con i suoi tempi, non dovrebbe subire forzature, nella corsa a ostacoli, ogni giorno più faticosa. Ma quando succede l’armonia interiore rimane frantumata, la mirabile unità della persona compromessa.

Di qui l’incapacità a cogliere i valori spirituali che danno senso alla vita, di qui l’insorgere di tanta insoddisfazione nel trascorrere dei giorni, lo scoraggiamento, il non senso, e la devastante idolatria delle cose da fare, per le quali il tempo è sempre poco e la corsa è d’obbligo. E l’anima rimane indietro, con i suoi ritmi non rispettati, sola e dimenticata.

Per dare senso all’esistenza è importante rispettare i tempi dell’anima che assicurano il giusto respiro, profondo e rigeneratore.

Sono i tempi del silenzio e del riposo dove potersi sintonizzare sulle frequenze dello spirito.

Ci sono tempi creati da Dio per recuperare l’incontro con noi stessi. La notte, per esempio, nel silenzio delle cose, al riparo dalle distrazioni. “La notte è il luogo in cui si rifà l’essere, in cui si ritira, in cui si raccoglie e ne esce fresco… la notte è la più bella creazione di Dio”. Così si esprime lo scrittore Pequì. E San Francesco ai suoi frati inviati per le vie del mondo ricorda: ”Abbiamo un eremitaggio sempre con noi… dovunque andiamo, possiamo rientrare in quest’eremo: fratello corpo è l’eremo  e l’anima l’eremita che ci abita per pregare e contemplare…

Ma è certamente la domenica che risponde a quel bisogno di “ricongiungersi con la propria anima”, secondo l’invito di Gesù ai suoi apostoli stanchi dopo le prime esperienze per le vie della Palestina ad annunciare il Vangelo: “Venite a me, in un luogo solitario, a riposarvi un po’”. Un po’ di riposo, ma con Lui. Per poi ripartire, rigenerati.

Può succedere anche a noi, come agli Indios della spedizione, di correre troppo lasciandoci dietro l’anima. Bisogna fermarsi e, nel silenzio, attendere, per ritrovare noi stessi e riprendere il cammino con il nostro carico, verso il compimento della missione affidata da Dio a ciascuno di noi.

 

 

I MIEI INCONTRI COL VENERABILE DON QUADRIO – don Ferdinando Bergamelli

I MIEI INCONTRI COL VENERABILE DON QUADRIO – don Ferdinando Bergamelli

Si riporta di seguito un estratto della testimonianza personale di don Ferdinando Bergamelli in merito ai 7 incontri avuti con il Venerabile don Quadrio. Al fondo, la possibilità di scaricare la testimonianza completa in formato PDF.


***

In questa mia testimonianza molto personale sugli incontri che ho avuto il privilegio e la gioia di aver intessuto col Venerabile Don Quadrio nella mia vita, ne privilegio sette.

Il primo incontro: lacrime d’un bambino

La prima volta che ho conosciuto e incontrato il Venerabile Don Quadrio risale a moltissimi anni fa, quand’ero ancora ragazzino (dodici anni). Era il primo di settembre del 1947, quando partii dal paese natio (Nembro–BG) e da casa mia lasciando i miei cari ed arrivai a Penango (Monferrato), nell’aspirantato salesiano. Abituato alle pareti domestiche e al consueto ambiente familiare – non mi ero mai allontanato da casa – mi trovai letteralmente sperduto e spaesato in mezzo a tanti ragazzi (circa centoventi). I primi giorni ero molto triste e sovente, per la nostalgia di casa e della mamma, scoppiavo in un pianto dirotto. Un mattino, a colazione, stavo piangendo e le lacrime scorrevano dai miei occhi lungo le guance fino ad arrivare dentro il caffelatte che avevo davanti. Mi si avvicinò Don Quadrio, che, novello sacerdote, era venuto a Penango, come assistente dei ragazzi durante le vacanze e per un periodo di riposo. Mi colpì subito il sorriso e la tenerezza con cui si rivolse a me: “Come ti chiami? “Ferdinando” risposi con un fil di voce, e cercò di consolarmi e di tirarmi fuori a tutti i costi un sorriso. “Ferdinando – mi sussurrò sottovoce – non devi continuare a rovinare con le lacrime il buon caffelatte che ti sta davanti. Poi continuò in tono confidenziale: «Sai, anch’io, quand’ero piccolo come te, avevo tanta nostalgia di casa e della mamma, quando partii dal mio paese. Ma poi mi è passato. Vedrai che a poco a poco passerà anche a te. Qui troverai tanti amici, fatti coraggio!». Quindi estrasse dalla tasca della tonaca il suo fazzoletto bianco di bucato e mi asciugò le lacrime che mi scorrevano abbondanti dal viso. «Ora però non piangere più!». E venne fuori finalmente un bel sorriso! Queste parole ebbero il poter di frenare il mio pianto di far sbocciare l’ombra di un sorriso sul mio volto! È una piccola cosa, anzi minima, tergere le lacrime a un bambino che piange! Ma il sorriso di don Quadrio in quel giorno lontano mi è rimasto profondamente scolpito nel cuore e mi ha aiutato a superare la nostalgia della casa e della mamma, mi ha fatto sentire un amico vicino e così ho potuto superare quel momento difficile per me (1).

*(1) Aggiungo per completezza che quel momento è stato per me veramente difficile, tanto che alcuni giorni prima avevo scritto una cartolina a casa, dicendo che tutto andava bene, che ero contento… (sapendo che così richiedeva la censura). Però… La cartolina, in bianco e nero, rappresentava il campanile della parrocchia di Penango e ritraeva le campane che, suonando, sporgevano dalla loggia campanaria in nero. Ebbene, sul nero di una campana io avevo scritto a matita – sperando che non venissero scoperte dalla censura – queste parole: «Non ne posso più, venite a prendermi!». Mia mamma, facendo le pulizie di casa, le scoprì, guardando in controluce, e le lesse. Ne fu sconvolta. Decise subito di venirmi a trovare, e partì per Penango. Ella mi fece coraggio dicendomi: «Sforzati, metticela tutta! Se proprio non ce la farai, verso Natale, papà verrà a prenderti». Ma ormai, grazie anche all’intervento tenero di Don Quadrio, avevo superato la crisi. 

Il coraggio di chi vuole bene. Silvia Falcione

Chiara aveva sempre dei bei voti. Non voti stellari. Bei voti onestamente guadagnati. Chiara era gentile, educata sempre presente. Poi siamo tornati in DAD, la scuola a distanza . Chiara a volte c’era a volte no. Ma era abbastanza normale per diversi studenti. Il digital divide in Italia lo abbiamo scoperto con la pandemia. Non tutti hanno una buona connessione. Non tutti hanno una connessione. Alcuni hanno la connessione solo sul cellulare. Poi i giga finiscono. Ogni tanto quando il video era acceso alle spalle di Chiara si vedeva un letto sfatto, ortopedico, con il triangolo appeso. Ho pensato che fosse a casa della nonna per aiutarla e non lasciarla sola. Chiara è buona.

Poi siamo tornati a scuola. Era primavera ormai. Chiara è rimasta assente, una settimana. Nessuno sapeva come mai. Poi un giorno mi scrive una compagna.

Prof. È morto il papà di Chiara. Aveva il cancro. Da due anni. Non lo aveva detto a nessuno. Mi ha scritto ora. Il funerale è domani. Noi andiamo.

osa? Si andate. Bravi ragazzi

Ho scritto a Chiara (Non potevo andare al funerale) e mi ha risposto. Al funerale ha parlato a tutti del suo papà insieme ai 4 fratelli. Così mi hanno detto. Dopo due giorni è tornata a scuola.

Ma Chiara sei già qui? Voleva abbracciarmi, ma non si poteva, per il covid. Occhi profondi e un leggero sorriso. Le ho preso le mani. Chiara coraggiosa. Non le abbiamo chiesto niente. Il coraggio si rispetta e si stima. Al coraggio si vuole bene. Il coraggio di Chiara e della sua mamma e dei fratelli ci ha stupito tutti. La nostra Chiara è ancora più nostra adesso.

 

Pellegrini sui sentieri dell’anima – don Emilio Zeni

Anche l’anima ha i suoi sentieri, ripidi, sassosi, nascosti. È importante ritrovarli, ripulirli, e dove necessario, deviarli su sentieri sicuri o, se è il caso, chiuderli.  Pellegrinare nella propria anima per conoscerla e renderla accessibile alla Grazia è un impegno di ogni uomo per un cammino sicuro, felice e sereno, nella luce della Verità.

Dice il salmista: “È il Signore che mi conduce ad acque tranquille, mi fa riposare su prati d’erba fresca, mi ridona vigore, mi guida sul giusto sentiero…

Ci sono sentieri tortuosi, tracciati su complicati compromessi e distorte giustificazioni. Essi portano ad una vita ambigua, alla ricerca di ciò che è accomodante al proprio egoismo.

Ci sono sentieri privi di segnali indicatori, sui quali è difficile orientarsi e capire dove si è, dove si va.  Essi portano ad una vita disorientata, a volte tormentata dall’angoscia o persa nella indifferenza, in una esperienza umana e cristiana senza sapore e incolore priva di senso di sé e per gli altri, consumata in quell’anonimato tiepido che, come ricorda l’Apocalisse, suscita persino nausea e rifiuto.

Altri sentieri, comodi e invitanti, portano verso una luce che da lontano incanta: la luce accecante del deserto dove, però, imperversano le tempeste di sabbia o ingannano miraggi di inesistenti realtà.  Delusione e sconforto ne sono l’amaro epilogo.  Leggiamo nel Siracide: “Solo chi è costante nell’amare il Signore non resta deluso…  Ma ognuno troverà ciò che si è costruito“.

Altri sentieri scendono rapidi verso piccoli specchi d’acqua: ma sono solo paludi e umidi canneti.  Non sono queste le limpide sorgenti a cui si riferisce il salmo: “Come la cerva anela alle sorgenti d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio“.

Ma c’è un sentiero tracciato da Dio stesso nella nostra anima reso percorribile fin dal giorno del nostro Battesimo: è l’unico che porta alla Santa Montagna di Dio. Vi salirà: “Chi ha mani innocenti e cuore puro“.  Ha il suo fascino e il suo mistero.  Chi lo percorre conoscerà la fatica ma assaporerà anche l’ebbrezza delle altitudini. Via via uscirà dall’inquinamento delle basse quote e sarà trasportato, come ” su ali d’aquila” verso il sole, su pascoli verdeggianti, alle sorgenti limpide.  Lì incontrerà il Signore, l’eterna Verità, l’Amore senza confini.  La Vita. “I progetti di Dio, afferma ancora il Siracide, per chi crede sono strade diritte…“. È la strada diritta della fede

Se la nostra anima non verrà debitamente preparata e il labirinto spirituale ne occuperà gli spazi invano la grazia tenterà di scendere nelle sue profondità per illuminarla e fecondarla: si perderà sui sentieri sbagliati e rimarrà sterile o sprecata.

È necessario avviare questa operazione di ” bonifica”.  Si tratta, fuori metafora, di riconoscere quanto nella nostra vita è contrario all’annuncio del Vangelo ciò che si chiama peccato, non come lo giudichiamo noi, con le sue vedute corte e miopi, ma come ce lo descrive la Parola di Dio: la massima disgrazia​ e il periodo più pauroso nel quale si può trovare l’uomo: esso distrugge l’Amore di Dio, rende impossibile l’amore al prossimo, vanifica il senso della vita presente e compromette quella futura. Il primo pellegrinaggio da compiere è, dunque, dentro la nostra anima. Forse il più faticoso, ma indispensabile. L’anima, debitamente predisposta all’azione della Grazia, potrà spalancarsi a Cristo e alla sua Chiesa, facendo propria la preghiera del salmista a Dio, Padre di tutti: “Scrutami, Signore, e conosci il mio cuore; vedi se seguo la via del male e guidami sulla tua via di sempre, poiché la lampada ai miei passi è la tua parola luce sul mio cammino“.

Don Pasquale Iacobone

Quest’anno torna in presenza la consueta manifestazione organizzata dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, giunta alla 4ª edizione alla scoperta di luoghi inaspettati e densi di ricchezza spirituale e artistica: La Giornata delle Catacombe. https://bit.ly/3mIN0zd

QuartaGiornataCatacombe_pieghevole_web don Pasquale Iacobone

Di seguito il pieghevole PDF dedicato alla 4° giornata delle catacombe a Roma per il 16 ottobre 2021.

PENSIERI NEL RICORDO DI UN AMICO – Enrico Lugas

Una delle forme con cui il Mistero si fa presente all’uomo e lo raggiunge in modo indissolubile a sé è attraverso la testimonianza di coloro che vivono intimamente legati a Lui come il tralcio alla vite (Gv 15,5), in cui ogni gesto e ogni parola sono mossi e alimentati dalla linfa del Suo amore e ne rappresentano il segno della Sua presenza. È infatti attraverso i testimoni, stando alla loro sequela, per il fascino della loro vita, degna di essere vissuta, perché aperta ultimamente alla Speranza che va oltre la morte e l’annichilimento del corpo, che la fede si perpetua con la sua credibilità. A chi il Mistero ha dato la grazia (un termine questo che è andato in disuso nel lessico usuale contemporaneo, sostituito dal termine “fortuna” che non ne traduce pienamente il senso) di incontrare e conoscere un amico come Palmerio, di condividere con lui momenti di vita, gli ha voluto ultimamente offrire il dono della Sua presenza, attraverso il fascino di una vita vissuta nella semplicità radicata, paradossalmente, nella profonda conoscenza del suo fine ultimo a cui si era conformato: conoscere, amare e servire Dio in questa vita per goderlo eternamente nella vita futura dopo la morte. Egli è stato tra coloro che si pongono nel rapporto con la realtà non unicamente sul piano fisico-materiale ma su un piano che va oltre il contingente, lo interpreta come creatura chiamata alla vita da un disegno provvidenziale di amore e lo trascende: tutto in lui era riverbero di questa verità che spingeva e richiamava gli altri ad assaporare il gusto delle cose semplici che per lui erano essenziali. Sapeva in questo modo rapportarsi con tutti, con ogni categoria di persone, con gli intellettuali e con i meno colti, con i ricchi e i meno abbienti, avendo una predilezione particolare per i poveri e i bisognosi. Conosceva bene l’arte del farsi stimare da tutti: da buon allievo di Don Bosco era riuscito a cogliere e a tradurre praticamente il suo invito ad entrare in empatia col prossimo.
Palmerio Sanna, questa era la sua identità anagrafica, era nato il 2 marzo 1927 a Ghilarza, un paese dell’alto oristanese, dove è vissuto da bambino nel contesto di una società a economia agropastorale. È stato allievo di Don Bosco a Penango negli anni 1943-1946, anni difficili per i pericoli e le difficoltà derivate dalla guerra in atto, per la quale gli allievi, dopo l’armistizio, furono trasferiti a Gaeta. Rientrato a Ghilarza con i segni postumi lasciati inevitabilmente dagli avvenimenti drammatici in un animo particolarmente sensibile, passò del tempo a riprendersi nella condizione di normalità e ad avviarsi verso la vocazione per cui sentiva di essere chiamato: l’insegnamento. Laureatosi in pedagogia, successivamente ha ricoperto per 25 anni l’incarico di Direttore didattico nella provincia di Oristano. Andato in pensione, si è dedicato agli studi in teologia laureandosi col massimo dei voti e, nel tempo libero, ha avviato con la moglie Ofelia delle opere di assistenza volontaria verso i bisognosi: attività che ha dovuto interrompere per cause di salute, sopraggiunte qualche anno prima di salire in Cielo, il 16 maggio 2021. La sua vita la sentiva legata provvidenzialmente a Don Bosco, che considerava il più grande pedagogo del XIX secolo e per il quale nutriva una stima riconoscente per i tanti benefici ricevuti da lui. Il suo rammarico era la lontananza che lo divideva dai rapporti diretti e prossimi col mondo salesiano. Quando poteva, però, non mancava mai agli incontri regionali degli exallievi, con una partecipazione attiva e carica di proposte costruttive in uno spirito di fraternità. Si era reso atteso anche alle vacanze di Gressoney dove, in quelle volte che era venuto, aveva saputo irradiare il fascino di una personalità unica per humour e simpatia. Mi piace ricordare, in ultimo, ciò che diceva quando veniva a Gressoney, entrando nella casa e dirigendosi verso la cappellina del Santissimo: “Innanzitutto salutiamo il Padrone di casa”, che per me rappresentava la sintesi di un trattato socio-pedagogico-morale. Terrò sempre vivi nel cuore, come un tesoro, questi ricordi del mio amico Palmerio. Grazie!

Rondini

Rondini pazzerellone e tanto caciarone,
sempre vi rivedo volentieri
mentre nel cielo cittadino
intrecciate perenni voli, rincorrendovi
a rapide schiere incrociate.
Rassomigliate a bimbi vivaci
che mai si danno pace
fino a tarda sera
in un gioco senza fine.
Lo stridulo vocio non passa inosservato
a chi sa guardare in alto
ad osservare i tetti sfiorati
a slalom tra antenne e camini.
Mentre rapita vi ammiro,
un po’ di nostalgia mi assale
e riaffiorano i ricordi di estati
di altri tempi e di altri luoghi,
di ore felici vissute sotto un cielo di montagna,
nel mio caro paese natio.

Adriana Perillo