Regina della pace DA DONNA A DONNA Silvia Falcione Baradello

REGINA DELLA PACE

Cara Maria,
le litanie sono una antica preghiera troppo lunga e passata di moda, ma alcune sono molto belle. Questa è la litania che preferisco Da quando ero bambina perché la pace è donna. Da quando è morto mio marito molte persone mi ripetono che devo fare pace. Il primo me lo ha detto un’ora dopo che lo avevo sepolto nel camposanto. Mi sono ribellata. Lasciami in pace ti ho detto. Cosa vuoi da me? Ho appena sepolto mio marito. Non lo vedrò più. Sarò sola davanti alla vita. E poi fare pace perché? fare pace con chi? Con Dio? no. Non ho mai pensato che fosse colpa di Dio. Con i medici che hanno tentato tutto fino all’ultimo per salvarlo? Neppure. Con lui perché era morto e ci aveva lasciati soli? Si forse si. Con lui si, ma in fondo che ci poteva fare. Mica poteva fermare la morte che lo aveva scelto.

Allora fare pace con chi? Con la morte che ci raggiungerà tutti prima o poi anche se non sappiamo quando? È il suo mestiere. Con la vita che non lo aveva tenuto stretto fra le sue braccia senza lasciarlo andare? Forse…. Con me stessa che non avevo fatto abbastanza per aiutarlo nell’affrontare la difficile malattia? Si forse anche.

Non ho ancora fatto del tutto pace con me stessa perché poi ti vengono in mente mille cose che avresti potuto fare o dire e non ti sono venute in mente e non mi sono venute perché ero terrorizzata anche io come lui. Perché la paura paralizza. La paura di non sai cosa. Non lo sai perché non puoi controllarlo. È fuori dalla tua portata. Quale pace dovevo fare? Non lo so. Di fatto non sono in guerra con nessuno e lo sono con tutto. Con ogni momento atto ricordo luogo odore immagine che mi ricorda lui che mi ricorda noi insieme qui nel mondo dei vivi. Ma si può fare pace coi ricordi? Che senso ha? Un senso ce lo ha? Non credo che sia questo il punto.

La rabbia che spesso mi assale è quella che mi fa alzare la mattina. Che mi fa andare avanti. Che mi permettere di vivere. Essere in pace adesso sarebbe bello ma sarebbe come aver cancellato tutto e averlo chiuso dietro un vetro opaco. Non voglio. Voglio vivere tutto. Con sincerità e anche disperazione se occorre voglio vivere ogni emozione e ogni sentimento. Regina della Pace, Maria. Questa è la litania che ho sempre preferito. Perché noi donne sappiamo cosa è la pace anche dentro il conflitto anche dentro il dolore anche dentro lo strazio anche dentro la guerra il supplizio la tortura noi sappiamo che la pace non è vendetta contro nessuno mai.

Ma sappiamo che la pace non è passiva. Non è immobile non è inattiva. La pace è vivere appieno anche la rabbia e il dolore e poi sciogliergli nelle lacrime. Consolarli con le carezze. Riaprire le ferite per pulirle e non farle imputridire aspettando che guariscono da sole. Fare la pace è non fare del male mai…a nessuno…vivo o morto…neppure a noi stessi. è guardare oltre…oltre la violenza per spiazzarla e stupirla col perdono e con ‘innocenza di chi ha l’anima pura come Lucia davanti all’innominato.

Come Rosa Park seduta sul sedile del bus dei bianchi. Come Vandana Shiva abbracciata a un albero da salvare. Come le suffragiste con i loro striscioni e le donne in nero e le madri di Plaza de Mano. Perché la pace non è solo un sostantivo femminile. La pace è donna, come il titolo del libro di Vandana. La pace è come Chiara in ginocchio davanti a Francesco appena spirato. Come te con in braccio tuo figlio morto crocifisso e torturato.

Perché non accada mai più. Mai più che l’uomo alzi la mano contro un altro uomo che qualcuno si inventi un nemico perché la pace non concepisce nemici. Li cancella dalla vita e dalla morte. Per sempre. La pace è pace, ma non dei sensi. È attività, perciò Gesù dice Beati gli operatori di pace. Operatori. Attivi. Nella vita e nella morte. Madre del perdono. Regina della pace prega per noi.

Amen.

Storie di donne – Luisa Vigna

Storie di donne – Luisa Vigna

Nei primi secoli del cristianesimo le donne, eremite, pellegrine, popolane e regine trovarono una propria modalità di espressione della fede in quanto riconosciute come soggetti attivi, in grado di esprimere attraverso la parola la gioia e il dolore nel rapporto con Dio.

Sul Colle Aventino a Roma troviamo la basilica di S. Sabina, eretta nel 425 sulla casa della ricca matrona del II secolo, contenente le sue reliquie assieme a quelle di altri martiri a lei contemporanei. Della santa si racconta che era una nobile romana data in sposa al senatore Valentino e che fu convertita dalla sua ancella Serapia ; quando questa fu catturata e torturata a morte intorno all’anno 120, in uno dei raduni nelle catacombe in cui i cristiani , per sottrarsi alle persecuzioni, si ritrovavano per pregare, Sabina uscì allo scoperto.

Portata davanti al prefetto Elpidio, che tentò di farla abiurare, la donna rifiutò, ribadendo la propria salda fede in Cristo. Venne quindi condannata a morte per decapitazione. Nella basilica Santa Sabina è raffigurata con libro, palma e corona, secondo l’iconografia più antica. Nella cappella laterale sinistra di Santa Sabina sono affrescate le gesta di S. Caterina, un’altra figura femminile significativa per la vita dello spirito.

Caterina, senese di nascita, venne al mondo in una famiglia numerosa il 25 marzo 1347 e a soli sedici anni entrò a far parte dell’ordine delle terziarie Domenicane o Mantellate, chiamate così per il mantello nero della penitenza e per il saio bianco, simbolo della purezza.

Stando a quanto lei stessa racconta, non frequentò la scuola eppure, da autodidatta, fu in grado di leggere le Scritture e imparò a scrivere dedicandosi inoltre ad un’intensa attività caritatevole verso gli ultimi, in un’Europa dilaniata da pestilenze, guerre e carestie. Senza porsi in conflitto con la gerarchia ecclesiastica e l’istituzione monastica, riuscì a diffondere i suoi insegnamenti teologici e le sue idee politiche.

La sua mediazione fu fondamentale nella risoluzione di situazioni critiche come il ritorno da Avignone a Roma della sede papale e la riappacificazione tra Firenze e lo Stato Pontificio. È straordinario che una donna di origini plebee riuscisse nel lontano XIV secolo farsi ascoltare su temi riguardanti la riforma della Chiesa, sollecitando principi e sovrani europei, con i quali intrattenne una corrispondenza epistolare e ai quali si rivolgeva con un tono di fermo comando, a perseguire la strada della pace.

Morta a Roma all’età di trentatré anni, è patrona d’Italia e compatrona d’Europa.

Un ricordo di Maurizio – Giovanna Colonna

Un ricordo di Maurizio, amico, cristiano, cooperatore. Giovanna Colonna

 

Con commozione e nostalgia scrivo queste poche e povere righe a ricordo del nostro amico che nessuno dimentica perché ciò che ha seminato nel tempo in ciascuno di noi con generosa abbondanza non ha ancora dato tutti i frutti.
Maurizio ha seminato il credo in Dio, in Maria e in don Bosco: l’esempio di vita di fede di Maurizio, le sue scelte, i suoi gesti ci rendono più agevole pensare e decidere come buoni cristiani e onesti cittadini.

Maurizio ha seminato valori che si chiamano cooperazione, dialogo, ascolto e ha fatto di questi valori il suo lavoro: anche noi possiamo abbattere muri, costruire ponti, inventare nuovi linguaggi.
Maurizio ha seminato impegno, coerenza, costanza e dedizione e la sua scelta per il bene comune era fondata su questi pilastri, che hanno fatto di lui un politico capace, preparato e rispettato: noi possiamo dire che crediamo nella politica perché abbiamo conosciuto un “giusto” che si è dedicato onestamente e concretamente per il nostro paese.

Maurizio ha amato la compagnia, le serate in allegria ma soprattutto ha avuto una predilezione particolare per la montagna e quando guardo una cima penso che lui è in vetta e ci aspetta per camminare ancora insieme, con gioia.
Alla sua bella famiglia, a tutti gli amici e a me stessa dico di coltivare tutto il bene che Maurizio ci ha donato per raccogliere frutti sani e maturi da regalare a coloro che incontriamo tutti i giorni.

Maria e Dante – Dante e Maria Adriana Perillo

Maria e Dante – Dante e Maria Adriana Perillo

Il mese di maggio è il tempo per eccellenza dedicato a Maria, madre di Gesù e madre dell’umanità. Da sempre è stata celebrata e venerata, anche papa Giovanni Paolo II era a lei dedicato. In quest’anno in cui celebriamo i settecento anni della morte di Dante voglio ricordare il suo canto alla Madonna, scritto nella cantica del Paradiso, recitato da san Bernardo: somma poesia, piena di commozione e ardente amore per la creatura che ha nobilitato la natura umana dopo il peccato
originale con l’incarnazione di Gesù.
Tutti conoscono questa bellissima ed altissima preghiera, per questo ricordo solo alcuni versi:

Vergine madre, figlia del tuo Figlio,
umile ed alta più che creatura,
termine fisso d’eterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo Fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore
per lo cui caldo nell’eterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra i mortali,
se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali
che qual vuol grazia ed a te non ricorre,
sua disianza vuol volar sanz’ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi dimanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenzia, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontade.

Dante, infine, gode della sfolgorante e soprannaturale ed inesprimibile visione di Dio. Noi chiediamo a Maria, umilmente, che la sua misericordia e la sua benevolenza ci accompagnino nel nostro cammino di vita.

Ogni santuario è un luogo d’infinito – Emanuele Cenghiaro

Ogni santuario è un luogo d’infinito

“I santuari sono case di preghiera, luoghi fuori dal tempo ma che proprio per questo hanno la capacità di metterci, più di ogni altro, in comunicazione diretta con l’infinito, con Dio”. È una riflessione che ho sentito spesso quando mi sono trovato, anche per lavoro, a incontrare i rettori di questi speciali luoghi di culto. Nella mia diocesi, Padova, che tocca ben cinque province venete, ve ne sono tantissimi e molti con una devozione ancora viva, dai giovani agli anziani. Non a caso da noi ne abbiamo ben quattro dedicati a Sant’Antonio, forse il santo più venerato al mondo.

In questo tempo di pandemia mi ritorna alla mente il fatto che, almeno in terra veneta, la maggior parte dei santuari ha tratto origine in tempi difficili, spesso di pestilenza. Secolo dopo secolo, è ancora a questi luoghi che la gente si reca nei “propri” momenti bui per chiedere una grazia, trovare un conforto speciale, riconciliarsi con Dio e con la propria vita. Al santuario, però, si va anche nei momenti di gioia, per ringraziare, non solo per chiedere o lamentarsi!

Ma non si va in un luogo a caso: ognuno ha il proprio santuario del cuore, magari piccolo e noto solo a chi vive in quella zona. Non ci si va tutte le domeniche, come in parrocchia: è un posto speciale, una coccola privilegiata, una carezza di una mano che ricarica e incoraggia.

L’altra cosa che ho notato è che sono quasi sempre dedicati a Maria. È lei, madre premurosa, che chiama come suoi messaggeri le persone più disparate: il cavaliere ferito in guerra, il ragazzino, la giovane sordomuta… da noi, persino un ubriacone! Ma è intervenuta anche per dirimere liti o liberare dalla pestilenza. È per questo che, se a Gesù sono dedicate tutte le chiese del mondo, è nei santuari che, come alle nozze di Cana, si va da Maria e si bisbiglia, sottovoce, che è finito il vino?

Forse dovremmo rivalutare questi luoghi, non in cerca di miracoli ma per ritrovare noi stessi e la nostra fede, per rinnovare un dialogo spirituale evitando che rischi di diventare sterile abitudine. Riscopriamo i santuari: se non ci fossero, bisognerebbe inventarli!

Le catacombe di Pretestato – Roma

Le catacombe di Pretestato – Roma

Di seguito il video YouTube di Tv2000 con Mons. Pasquale Iacobone ospite della puntata di Bel tempo si spera.

Magnificat DA DONNA A DONNA Silvia Falcione Baradello

Magnificat

Allora Maria disse:

«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».

Ecco qua: il Magnificat. Allora proprio il silenzio fatto persona tu non sei stata Maria.
Questa potente preghiera la pronunci all’inizio della tua storia, davanti a Elisabetta tua cugina e a tutti quelli che erano lì con lei a Betania. Senza la minima esitazione.
Questa preghiera è un collage di versetti del libro dei salmi, che tutti gli ebrei conoscevano a memoria, per pregare Dio, tutti i giorni.
Sono versetti scelti, versetti scelti da te. Non si direbbe proprio a caso.
Il primo lo hai preso da un Cantico di Isaia che recitiamo nella liturgia del salterio, nelle lodi, Isaia 61,10 i primi due versetti e Isaia è il profeta per eccellenza, colui che annuncia la venuta del Messia, tuo figlio che portavi già in grembo.

E’ come un manifesto, il manifesto di una giovane donna ebrea. Ecco cosa mi sembra il Magnificat. Ce lo presentano come il tuo cantico, un cantico di gioia e certamente lo è, ma non basta. C’è molto di più in questa preghiera di lode che è un collage di versetti di salmi biblici. Infatti ogni tanto se preghi con il salterio ne riconosci uno. Dicevo che è molto di più.

Dopo l’iniziale urlo di gioia, i primi sei versetti dove comunque dici che il Signore tuo Dio “ha guardato all’umiltà della sua serva, ovvero ha scelto una ragazza del popolo di Israele e l’ha resa madre prima del matrimonio, cosa decisamente fuori dalle regole sociali, dopo i primi versetti dicevo, tu attacchi con: “Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la Potenza del suo braccio ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore……”.

Citando questi versetti tu Dici che la Potenza del braccio di Dio non sorregge i superbi e confonde i loro pensieri e i loro sentimenti. Maria stai dicendo che chi cerca il plauso del mondo inseguendo un personale narcisismo è un bisogno perverso di potere non avrà il sostegno del Signore. Maria oggi nel mio tempo questo è un messaggio divergente. Oggi nella società dell’apparire e all’apparenza la superbia e il narcisismo sono praticati all’estremo, ma forse anche nella tua società vi erano categorie di persone che praticavano alla grande questi atteggiamenti. Anche tuo figlio li stigmatizzerà. Scribi farisei re ricchi epuloni sono le persone contro cui la sua parola suonerà più forte e chiara.

Ovviamente il Magnificat è stato scritto dopo la sua morte quindi non può che essere in linea con la Parola di Cristo nei Vangeli, ma queste parole sono poste all’inizio dei testi sacri della buona novella e le pronunci, tu sua madre e perciò assumono un significato quasi eversivo perché sei donna e le donne vivevano una condizione subordinata di sottomissione al genere maschile e lo hanno fatto per millenni nel Mediterraneo e in molte altre culture, perché sei sua madre per scelta e questo ti dà un ruolo attivo nella storia della salvezza. (…)

E poi tu fragile e forte ragazza ebrea del popolo continui a parlare potentemente scegliendo tra i versetti dei salmi più forti e più rivoluzionari.
“Ha Rovesciato i potenti dai troni. Ha Innalzato gli umili…” come te, povera ragazza di Nazareth da cui “non arriva nulla di buono” si diceva.
Cos’è Maria ti sei messa in politica? Stai per fare un comizio? Tu, che ti hanno fatto passare come la donna del silenzio? Una vita trascorsa nel nascondimento?
All’apertura della tua storia, della nostra storia, della storia della salvezza, non ti nascondi proprio e non taci. Non taci affatto. Piccola giovane fanciulla di Nazareth, (ma cosa mai potrà venire di buono da Nazareth) ma come ti permetti? Dici che il tuo Signore sta dalla parte dei poveri, di quei poveri che non contano nulla: i pastori i nomadi le donne sottomesse dal patriarcato le ragazze madri come te chiamate adultere i barboni i bambini anche quelli abusati gli schiavi di ogni tempo i mendicanti i lebbrosi, i migranti e non continuo perché l’elenco potrebbe essere troppo lungo. Ma continui tu.

“Ha ricolmato di beni gli affamati. Ha rimandato i ricchi a mani vuote”.
Questo fa il Signore Tuo Dio, nostro Dio. Ricolma di beni gli affamati e lascia i ricchi a mani vuote, come nella parabola di Lazzaro, che tuo figlio ha raccontato a una folla di gente e spiegato chiaramente a chi non capiva o faceva finta di non capire.

Nel nostro mondo, come nel tuo, gli affamati sono la maggioranza dell’umanità e i ricchi hanno paura di loro perché sono molti , molti di più e allora i ricchi, che siamo noi, respingono i barconi, respingono i profughi, negano diritto d’asilo e di cittadinanza perché hanno paura di perdere i loro privilegi e i loro beni, spesso, troppo spesso costruiti sul sangue dell’imperialismo e del colonialismo accompagnati dallo schiavismo condannato da secoli dalla Chiesa, ma sempre esistente sotto diverse forme, coperto dall’ipocrisia di molti sepolcri imbiancati di ieri e di oggi.

Maria, sapevi cosa stavi dicendo? Io credo di sì. Altrimenti non avresti detto quel Si!
Il tuo SI, al tuo Dio della giustizia che sta sempre, sempre, dalla parte degli umili e degli affamati. Grazie, grazie della tua preghiera, del tuo coraggio, della tua testimonianza. In questo ti sento amica, di quella particolare amicizia che si stabilisce tra noi donne.

“Nell’angolo della stanza.
Sul cielo d’oriente
È fiorita la luce dell’universo,
è un giorno lieto.
Sono destinati a conoscersi
Tutti coloro che cammineranno
Per strade simili.”  Tagore

Devozione alla madre di Dio – don Emilio Zeni

Devozione alla madre di Dio – don Emilio Zeni

“Cosa può dire una mamma a un figlio che parte per una lontana destinazione?
A chi affidare il bene più prezioso?
Siamo nel 1835, Giovanni Bosco dovrebbe entrare in seminario a Chieri ma, come si usava allora, per entrare in seminario bisognava indossare l’abito clericale, cosa che Giovanni fece subito, esattamente il 30 ottobre 1835.
Riportiamo quanto egli scrisse nelle sue Memorie.
Vestito l’abito clericale, il 30 ottobre 1835 dovevo entrare in seminario.
Mia madre mi chiamò in disparte e mi confidò: ”Giovanni, tu hai vestito l’abito clericale: io provo tanta consolazione. Ricordati però che non è l’abito che fa onore, ma la virtù. Se un giorno avrai dei dubbi sulla tua vocazione, per carità, non disonorare quest’abito. Quando sei nato ti ho consacrato alla Madonna. Quando hai cominciato gli studi ti ho raccomandato di voler sempre bene a questa Madre. Ora ti raccomando di essere tutto suo, Giovanni. Ama i compagni che vogliono bene alla Madonna. E se diventerai sacerdote, diffondi attorno a te l’amore per la Madonna. Mia madre era commossa. Io piangevo. Le risposi: ”Mamma, vi ringrazio di tutto quello che avete fatto per me. Queste parole le porterò con me come un tesoro per tutta la vita” (Don Bosco)
Durante le vacanze estive la Mamma osservava il proprio figliolo “chierico” e gli lasciava quello spazio sereno, diverso dal rigodo regolamento del seminario. Alla sera gli chiedeva soltanto: “Adesso diciamo il rosario, e poi non dimenticarti le preghiere della sera”.
Il messaggio che piò rimanere per tutti noi è la raccomandazione di mamma Margherita: “ti raccomando di essere tutto alla Madonna perché a Lei ti ho consacrato” e sappiamo quanto fu devoto a Maria Ausiliatrice, che lo aiutò in tutte le sue opere.

Tempo di Pasqua, una stagione di colori

Qualche giorno fa mi sono recata a piedi con mia figlia in un vivaio ad acquistare una begonia bianca per rischiarare il nostro balcone, pieno di piante verdi. Ho avuto così occasione di riflettere sull’importanza di circondarci di fiori e piante che sono portatori di colori, profumi e gioia, ma custodiscono anche significati profondi legati alla storia e all’iconografia religiosa.

Nella cultura ebraica era il narciso il fiore associato alla S.Pasqua, perché simbolo di nascita e di risurrezione: infatti sboccia in questo periodo dell’anno ed è denominato in alcune regioni del Nord Europa “il fiore della Quaresima”. L’olivo rimanda alla vigilia pasquale e richiama il valore universale della pace; nell’antica Grecia era la pianta sacra ad Apollo, utilizzata per cingere gli atleti vincitori delle gare olimpiche, mentre presso i romani era l’emblema della conoscenza.

Nel mondo dell’arte i fiori del limone, dal profumo dolce e delicato, alludono alla salvezza e alla fedeltà nell’amore. La tradizione narra che il fiore della passiflora, detto per questo ”fiore della passione”, raccolse il sangue di Gesù morto sulla croce; è intriso di significato sacro, visto che il suo aspetto richiama i chiodi della croce, la spugna e il martello usati durante il martirio e la corona di spine che ha cinto il capo del Figlio di Dio. Il garofano rosso invece deriverebbe il suo colore dalle lacrime versate da Maria addolorata, è perciò un inno all’amore materno, così come l’azalea.

La storia narra che il materiale scelto dai romani per realizzare la croce di Gesù fu il legno di pioppo; l’albero alzò superbo i suoi rami, ma il Signore lo maledì, condannandolo a tremare ad ogni alito di vento.

Tornando ai giorni nostri, l’ideale per decorare il salotto con un elegante tocco primaverile sono i fiori di ciliegio, che annunciano il ritorno della primavera. I rami di ciliegio o di pesco possono essere usati per l’albero di Pasqua, molto divertente da preparare insieme ai bambini. Decorato con fiocchetti, biglietti di auguri, uova variopinte, uccellini e fiori di stoffa è detto anche “albero della Vita” perché rappresenta la Risurrezione di Gesù e la redenzione dell’uomo. L’origine di questa usanza tedesca arrivata anche in Italia viene ricondotta a Genesi 2,9: “Il Signore Iddio fece germogliare…l’albero della vita in mezzo al giardino”.

Luisa Vigna

Afferrati da Cristo Risorto

La Pasqua è il cuore dell’anno liturgico e di tutta l’esperienza di fede cristiana.
Ogni anno la Resurrezione di Cristo è invito e appello a rinnovarsi profondamente e a rinascere con lui, facendo memoria del nostro Battesimo. Per riflettere sul significato che la Pasqua ha per noi, soprattutto in questo periodo così difficile e anche drammatico, vi propongo di contemplare una straordinaria e suggestiva immagine di Resurrezione: si tratta di un affresco della chiesa di San Salvatore in Chora, ad Istambul (Turchia), risalente al XIV secolo, e che riporta al centro, come di solito nelle immagini bizantine, il titolo della rappresentazione: “E ANASTASIS” (la Resurrezione).
Il Cristo Risorto, vestito di bianco e inserito nella mandorla luminosa, segno della sua divinità, è raffigurato in maniera fortemente dinamica, mentre fa irruzione negli Inferi e squarcia l’oscurità con la sua luce folgorante.

Egli afferra poderosamente con la destra la mano di Adamo e con la sinistra quella di Eva, traendoli fuori dai loro sepolcri. Ai suoi piedi si vedono le porte degli inferi scardinate e mandate in frantumi e il demonio ormai sconfitto. Dietro i Progenitori sono raffigurati tutti i beati e i personaggi dell’Antico Testamento, cominciando da Giovanni Battista, che vengono richiamati alla vita.

Nel Credo degli Apostoli noi ripetiamo: “Fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte…”. La scena evidenzia proprio l’azione di Cristo Risorto che scende agli inferi per liberare i prigionieri dalla morte e chiamarli alla vita nuova che Egli ha inaugurato. Particolarmente significativo e toccante è il gesto che compie, un gesto che tante volte aveva ripetuto nella sua vita terrena: afferrare la mano di chi è sofferente, ammalato, impaurito, fragile, vittima dell’ingiustizia e della violenza, per riportarlo alla vita piena, per ridargli fiducia e speranza, per infondere l’energia nuova che permette di ricominciare.

In questa Pasqua lasciamoci afferrare anche noi da Cristo Risorto per poter ritrovare la speranza, la serenità e la gioia di vivere in comunione con chi ci sta accanto, con tutti i nostri fratelli e sorelle.

Don Lello Iacobone