Tempo di Pasqua, una stagione di colori

Qualche giorno fa mi sono recata a piedi con mia figlia in un vivaio ad acquistare una begonia bianca per rischiarare il nostro balcone, pieno di piante verdi. Ho avuto così occasione di riflettere sull’importanza di circondarci di fiori e piante che sono portatori di colori, profumi e gioia, ma custodiscono anche significati profondi legati alla storia e all’iconografia religiosa.

Nella cultura ebraica era il narciso il fiore associato alla S.Pasqua, perché simbolo di nascita e di risurrezione: infatti sboccia in questo periodo dell’anno ed è denominato in alcune regioni del Nord Europa “il fiore della Quaresima”. L’olivo rimanda alla vigilia pasquale e richiama il valore universale della pace; nell’antica Grecia era la pianta sacra ad Apollo, utilizzata per cingere gli atleti vincitori delle gare olimpiche, mentre presso i romani era l’emblema della conoscenza.

Nel mondo dell’arte i fiori del limone, dal profumo dolce e delicato, alludono alla salvezza e alla fedeltà nell’amore. La tradizione narra che il fiore della passiflora, detto per questo ”fiore della passione”, raccolse il sangue di Gesù morto sulla croce; è intriso di significato sacro, visto che il suo aspetto richiama i chiodi della croce, la spugna e il martello usati durante il martirio e la corona di spine che ha cinto il capo del Figlio di Dio. Il garofano rosso invece deriverebbe il suo colore dalle lacrime versate da Maria addolorata, è perciò un inno all’amore materno, così come l’azalea.

La storia narra che il materiale scelto dai romani per realizzare la croce di Gesù fu il legno di pioppo; l’albero alzò superbo i suoi rami, ma il Signore lo maledì, condannandolo a tremare ad ogni alito di vento.

Tornando ai giorni nostri, l’ideale per decorare il salotto con un elegante tocco primaverile sono i fiori di ciliegio, che annunciano il ritorno della primavera. I rami di ciliegio o di pesco possono essere usati per l’albero di Pasqua, molto divertente da preparare insieme ai bambini. Decorato con fiocchetti, biglietti di auguri, uova variopinte, uccellini e fiori di stoffa è detto anche “albero della Vita” perché rappresenta la Risurrezione di Gesù e la redenzione dell’uomo. L’origine di questa usanza tedesca arrivata anche in Italia viene ricondotta a Genesi 2,9: “Il Signore Iddio fece germogliare…l’albero della vita in mezzo al giardino”.

Luisa Vigna

Afferrati da Cristo Risorto

La Pasqua è il cuore dell’anno liturgico e di tutta l’esperienza di fede cristiana.
Ogni anno la Resurrezione di Cristo è invito e appello a rinnovarsi profondamente e a rinascere con lui, facendo memoria del nostro Battesimo. Per riflettere sul significato che la Pasqua ha per noi, soprattutto in questo periodo così difficile e anche drammatico, vi propongo di contemplare una straordinaria e suggestiva immagine di Resurrezione: si tratta di un affresco della chiesa di San Salvatore in Chora, ad Istambul (Turchia), risalente al XIV secolo, e che riporta al centro, come di solito nelle immagini bizantine, il titolo della rappresentazione: “E ANASTASIS” (la Resurrezione).
Il Cristo Risorto, vestito di bianco e inserito nella mandorla luminosa, segno della sua divinità, è raffigurato in maniera fortemente dinamica, mentre fa irruzione negli Inferi e squarcia l’oscurità con la sua luce folgorante.

Egli afferra poderosamente con la destra la mano di Adamo e con la sinistra quella di Eva, traendoli fuori dai loro sepolcri. Ai suoi piedi si vedono le porte degli inferi scardinate e mandate in frantumi e il demonio ormai sconfitto. Dietro i Progenitori sono raffigurati tutti i beati e i personaggi dell’Antico Testamento, cominciando da Giovanni Battista, che vengono richiamati alla vita.

Nel Credo degli Apostoli noi ripetiamo: “Fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte…”. La scena evidenzia proprio l’azione di Cristo Risorto che scende agli inferi per liberare i prigionieri dalla morte e chiamarli alla vita nuova che Egli ha inaugurato. Particolarmente significativo e toccante è il gesto che compie, un gesto che tante volte aveva ripetuto nella sua vita terrena: afferrare la mano di chi è sofferente, ammalato, impaurito, fragile, vittima dell’ingiustizia e della violenza, per riportarlo alla vita piena, per ridargli fiducia e speranza, per infondere l’energia nuova che permette di ricominciare.

In questa Pasqua lasciamoci afferrare anche noi da Cristo Risorto per poter ritrovare la speranza, la serenità e la gioia di vivere in comunione con chi ci sta accanto, con tutti i nostri fratelli e sorelle.

Don Lello Iacobone

Le catacombe di Commodilla: tra bellezza, fede e memoria

Le catacombe di Commodilla: tra bellezza, fede e memoria

Con il rinnovo dell’accordo tra Pontificia Commissione di archeologia sacra e Heydar Aliyev Foundation, le catacombe romane di Commodilla potranno tornare agli antichi splendori con l’avvio dei restauri. Il segretario della Commissione, mons. Pasquale Iacobone, ne illustra la bellezza e l’importanza, non soltanto per riscoprire le nostre radici cristiane, ma anche per l’intera comunità e il territorio. Di seguito l’articolo pubblicato dall’Agenzia d’informazione Sir il 10 marzo scorso a cura di Giovanna Pasqualin Traversa e il video YouTube di Tv2000 con Mons. Pasquale Iacobone ospite della puntata di Bel tempo si spera del 23 marzo 2021.

Catacombe di Commodilla. Tra bellezza, fede e memoria. Mons. Iacobone: “A breve l’avvio dei restauri”

Grazie al rinnovo dell’accordo tra Pontificia Commissione di archeologia sacra e Heydar Aliyev Foundation, le catacombe romane di Commodilla potranno tornare agli antichi splendori. In un paio d’anni potrebbero essere aperte al pubblico, spiega al Sir il segretario della Commissione, mons. Pasquale Iacobone, illustrandone la bellezza e sottolineando l’importanza, per una comunità e un territorio, di riscoprire le proprie radici cristiane, artistiche e culturali

In principio furono le catacombe dei Ss. Marcellino e Pietro; successivamente quelle di San Sebastiano, ma è tre il numero perfetto; così lo scorso 4 marzo è stato rinnovato l’accordo tra la Pontificia Commissione di archeologia sacra e la Heydar Aliyev Foundation dell’Azerbaijan per la valorizzazione e il restauro delle catacombe di Commodilla, rilevante complesso cimiteriale nel quartiere romano della Garbatella. A siglare l’intesa, all’indomani della visita alle catacombe, il card. Gianfranco Ravasi, presidente della Pontificia Commissione di archeologia sacra, e Anar Alakbarov, direttore della Fondazione azera presieduta dalla First Lady dell’Azerbaijan, Mehriban Aliyeva. Mons. Pasquale Iacobone, segretario della Pontificia Commissione, ci spiega il valore dell’intesa e ci accompagna alla scoperta di questo inedito tesoro.

Che cosa prevede l’accordo?

Da anni la Fondazione Aliyev sponsorizza i nostri interventi di restauro. Il primo ha riguardato gli affreschi delle catacombe dei Ss. Marcellino e Pietro sulla via Casilina; il secondo la collezione di sarcofagi e pezzi marmorei conservata presso il complesso monumentale di San Sebastiano fuori le mura, completato un paio di anni fa. Ora abbiamo proposto di intervenire sulle catacombe di Commodilla, situate non lontano dalla basilica di san Paolo, perché vi era una situazione di emergenza. Il cubicolo di Leone, preziosissimo per i suoi affreschi, presentava gravi problemi strutturali. Grazie ad un primo finanziamento abbiamo provveduto alla messa in sicurezza e al rinforzo strutturale della volta con l’utilizzo di materiale fibro-rinforzato in carbonio; ora bisogna intervenire sugli affreschi, non solo del cubicolo ma di tutto il complesso. Dopo un sopralluogo del direttore esecutivo della Fondazione, il nostro progetto è stato approvato e finanziato.
In un paio d’anni dovremmo riuscire a realizzarlo e ad aprire le catacombe al pubblico.

Una Fondazione di un paese a maggioranza musulmana sponsorizza per la terza volta il restauro di un monumento cristiano. Qual è il significato simbolico di questo gesto?

La collaborazione con la Fondazione Aliyev è nata quasi un decennio fa. Un’istituzione che mostra grande attenzione non solo per i monumenti cristiani di Roma, ma anche per quelli della Roma pagana e, in generale contribuisce a diversi progetti di recupero e restauro di beni culturali dell’Occidente. La delegazione della Fondazione è stata accompagnata nella visita alle catacombe e nella firma dell’accordo da una delegazione interreligiosa costituita da rappresentanti della Chiesa cattolica e ortodossa, da ebrei e musulmani, a testimoniare l’apertura dell’Azerbaijan e della Fondazione a tutte le espressioni religiose e culturali, al dialogo e alla collaborazione, indipendentemente e nel rispetto delle diversità culturali e religiose.

Collaborazione culturale, dunque, come ponte per il dialogo interreligioso?

Sì. Un’operazione che va oltre la dimensione artistico-culturale per aprire anche al dialogo interreligioso.

Cunicolo di Leone – Cristo con barba

Ritornando a queste catacombe, qual è la loro peculiarità, il loro pregio?

Anzitutto si trovano sulla via Ostiense, la via di San Paolo, ma la loro preziosità è legata in primis agli affreschi che le decorano. Il cubicolo di Leone è completamente affrescato con scene di martirio e di acclamazione a Cristo da parte dei martiri Felice e Adautto. Sulla volta, un cassettonato stellato, si trova un’immagine preziosissima: la prima – o una tra le più antiche – raffigurazione pittorica di Cristo con la barba secondo il tipo che poi verrà chiamato “bizantino” e ritroveremo nelle absidi romane e nelle icone bizantine. Una primizia iconografica unica e da preservare perché in precedenza Cristo era sempre stato raffigurato giovane, senza barba, per esprimere il Lògos eterno. La raffigurazione “adulta” e con barba è successiva e destinata ad imporsi divenendo ovunque prevalente. Nella cosiddetta basilichetta, l’ambiente cui si accede entrando nella catacomba, si trova l’affresco dei due martiri Felice e Adautto cui è dedicata. Poi c’è un altro grande affresco, più tardo, con una bellissima Madonna in trono con Bambino, i due santi, e la vedova Turtura cui era dedicato quell’ex voto, che riconosciamo grazie all’epigrafe lasciata dal figlio sotto l’immagine.

E ancora: Cristo seduto sul globo dà la legge a Pietro e Paolo. Tra i santi, la martire Merita di cui abbiamo pochissime notizie. Infine uno dei primissimi affreschi dell’evangelista Luca, raffigurato con la borsa di medico. Particolarità iconografiche che vanno dalla fine del IV fino al VII-VIII secolo. La frequentazione di questa catacomba è testimoniata anche da numerosi graffiti, alcuni dei quali in caratteri runici (scrittura utilizzata nel nord Europa a partire dal II secolo d.C., ndr) che attestano la presenza a Roma e la visita alle catacombe di pellegrini dall’Europa settentrionale. Infine l’ultimo graffito, oggetto di studio, è un primo accenno di lingua volgare italiana, un misto tra latino e volgare nell’invito al sacerdote che vi celebrava la messa a recitare la “secreta”, ossia la preghiera di consacrazione, in silenzio. Certamente una delle prime apparizioni del volgare. Vi sono inoltre gallerie anticamente murate con loculi perfettamente intatti. Tutti elementi che fanno di queste catacombe qualcosa di particolare e molto prezioso.

Luogo di preghiera e tombe dei primi martiri, le catacombe esprimono il volto della vita cristiana dei primi secoli e sono per noi una scuola di fede. Che cosa ci dicono oggi?

Aldilà del valore artistico, prima che meta di visita turistico/archeologica, le catacombe sono e dovrebbero continuare ad essere anzitutto luogo di culto, preghiera e venerazione. Questo è il principale motivo per il quale desideriamo tutelarle: rilanciarne il significato religioso e spirituale, anche in previsione del giubileo 2025 in vista del quale abbiamo un rapporto di stretta collaborazione con l’Opera romana pellegrinaggi per rivalorizzarle come tappa per i pellegrini. Ci riportano alle radici della fede attraverso la testimonianza della primissima comunità cristiana che esprime il proprio credo in Cristo, nella vita eterna, nell’intercessione di Maria e dei santi.

Una parola di speranza che è importante recuperare, soprattutto in momenti difficili come quelli che stiamo vivendo.

Come è stata accolta nel quartiere la notizia dei restauri e quindi di una non lontana apertura al pubblico?

Con grande entusiasmo. La delegazione di assessori e consiglieri del Municipio Roma VIII guidata dal presidente Amedeo Ciaccheri, presente alla visita e per la prima volta scesa in una catacomba, è rimasta impressionata dalla sua bellezza e si è detta felice che il quartiere possa arricchirsi di questo gioiello.

In che modo il restauro di questo monumento può impreziosire un quartiere come la Garbatella?

Si tratta di un quartiere molto dinamico che l’anno scorso ha festeggiato 100 anni. La frequentazione e l’apertura – magari parziale, non tutti i giorni – delle catacombe con un flusso di pellegrini e di turisti costituisce certamente un plusvalore per il territorio. Vorremmo sollecitare i suoi abitanti – a partire da scuole e associazioni che sono molto vivaci -, a conoscere ed apprezzare il loro “sottoterra”, cosa finora purtroppo impossibile.

Riappropriarsi delle proprie radici culturali e spirituali che valore educativo ha per una comunità?

Ritrovare l’identità di un territorio attraverso le proprie radici cristiane, artistiche e culturali può costituire un elemento di grande coesione sociale. Credo possa essere anche un’iniezione di sano orgoglio, in grado di suscitare il desiderio di emulare quella profondità, spiritualità e bellezza.

Se ci credessimo davvero…

Ogni tempo, anche la Quaresima che stiamo vivendo nuovamente in un periodo di pandemia che non accenna a finire, trova il suo senso più profondo in Lui, Cristo Risorto!

“Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede…”
(San Paolo)

Se ci credessimo davvero che Cristo è risorto, il senso stesso dell’esistenza e dell’operare assumerebbe ben altre prospettive.

Cristo è risorto! L’abbiamo imparato al catechismo, lo celebriamo a Pasqua, lo scriviamo sulle “memorie” dei nostri morti, lo proclamiamo coralmente nella Messa.

Ma “credere” non è solo “conoscere”: è “vivere”. E questo non è scontato, purtroppo.

Gli stessi apostoli faticarono a “credere davvero”, pur essendo stati ampiamente “catechizzati” da Gesù.

A Tommaso, che pretende di toccare con mano i segni delle ferite, il Signore affidò l’ultima beatitudine evangelica: “Tu hai creduto perché hai visto, Tommaso! Beati coloro che pur non vedendo, crederanno”.
Una beatitudine per noi, uomini del terzo millennio, dispersi tra le rovine dell’ateismo, erranti sui sentieri anonimi dell’indifferenza, affondati nelle paludi di un’arroganza intellettuale che presume di riscrivere le leggi della vita e della felicità, disorientati dal cumulo di illusioni che ne scaturiscono, incapaci e pigri a percorrere le strade di una speranza fondata sulla “novità” perenne di Cristo Risorto: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Cristo è risorto, non è qui”.

Se credessimo davvero, quanta più “beatitudine” nella nostra esistenza, liberi dal fascino dell’effimero che ci intrappola tra le maglie di un’avvilente schiavitù, quanto più vero sarebbe l’amore, più generosa la tolleranza, più serena la pazienza, più fecondo il reciproco perdono, quanto più vivo e atteso l’incontro con il Signore, quanto più possibile la pace.

Se ci credessimo davvero non esiteremmo a confidare a tutti, e nei modi più diversi, la ragione della nostra speranza, delle nostre certezze.

entre camminiamo, sovente a piedi nudi, sulle macerie della violenza, o tra le dune aride del deserto nel buio della solitudine, o anche sui prati fioriti della primavera, sappiamo dove stiamo andando e con Chi saremo, secondo la promessa del Risorto: “Vado a prepararvi un posto”.

È Pasqua! Ritorna con rinnovata urgenza l’invito a gridare, con umile commozione, come l’incredulo Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”.

Beati noi se, pur non vedendo, crederemo! Un po’ della nostra beatitudine ricadrà anche su questo mondo tanto lacerato…

È il sincero augurio che insieme vogliamo scambiarci nella gioia di Cristo Risorto.

don Emilio Zeni

SALUTO DEL PRESIDENTE DEGLI EXALLIEVI DI PENANGO

Carissimi Exallievi e amici,
in quest’anno particolare dove un piccolo virus ha stravolto le nostre vite, il nostro modo di vivere tra la paura e l’incertezza, mi vengono in mente alcune riflessioni che Don Franco Del Piano, exallievo di Penango, trasmetteva ai suoi giovani e collaboratori:

Se, nonostante tutto, siamo ottimisti è perché Cristo è risorto!

Se spero in un mondo migliore è perché Cristo è Risorto!

La pasqua del Signore si avvicina: proviamo nelle nostre famiglie, proviamo nelle nostre comunità, proviamo ciascuno di noi a completare
ogni nostro gesto
ogni nostra parola
ogni nostra carezza
ogni nostro dolore
con la gioia di dire e sperare ……………………………….. è perché Cristo è Risorto!
Con questi sentimenti di salesiano ottimismo auguro a tutti voi buona Pasqua… è perché Cristo è Risorto.

Willy