Le catacombe di Vigna Chiaraviglio, don Pasquale Iacobone
Mons. Pasquale Iacobone, Segretario Pontificia Commissione Archeologia Sacra, è ospite della puntata di Bel tempo si spera del 10 giugno 2021
Mons. Pasquale Iacobone, Segretario Pontificia Commissione Archeologia Sacra, è ospite della puntata di Bel tempo si spera del 10 giugno 2021
“Signore, se tu sei dappertutto perché io sono altrove?” se lo chiedeva Madaleine Delbrel 81904 – 1964 nel massimo della sua crisi spirituale. Atea, lucida e determinata, appena diciassettenne scrive nella sua indagine su Dio che ogni religione è un assurdo; tutto quanto è relativo nella vita. Anche l’amore per il quale non vale la pena impegnarsi.
Ma 18 anni si innamora di Jean, un ragazzo splendido. Un amore vero e sublime. Un giorno Jean decide di lasciarla per entrare in un convento di Domenicani. Per Madaleine furono giornate buie, tormentate dal pensiero di questo Dio che le aveva rubato Jean.
“Se Jean mi ha lasciata per appartenere a Dio chi è mai questo Dio?”
Provò a pregare. Rimase “abbagliata” da quel Dio che aveva dichiarato “morto” per sempre. Dio era lì, da tanto tempo; il suo cuore, quello si, era “altrove”. Non entrò in convento, la strada sarà il suo monastero, tra i più poveri e soli.
Può accadere a tutti di attraversare tempi di dubbi, eventi oscuri che gettano ombre sulle nostre sicurezze religiose. E la tentazione dell’abbandono può sfociare, quanto meno, in un vago senso di Dio, che non parla la vita nel veloce susseguirsi dei giorni. Ci sono talvolta confusi ricordi del catechismo della fanciullezza, ma l’esistenza, sovente, si discosta: altro e lui, altra e la vita. È dappertutto Dio, ma così lontano…
Eppure il canone sacro dei salmi afferma:
“Come andare lontano da te? Se salgo in cielo, Tu sei là; se prendo il volo verso l’aurora e mi poso all’estremità del mare: anche la mi afferra la tua mano.
Dico alle tenebre: “Fatemi sparire”, alla luce intorno a me: “Diventa notte!” ma nemmeno le tenebre per te sono oscure e la notte è chiara come il giorno… sei Tu che mi hai plasmato il cuore e mi hai tessuto nel grembo di mia madre…” (Salmo 138).
Noi siamo altrove fin quando il cuore non lo scoprirà come amore che crea, sostiene, guida, insegna, perdona, abbraccia e apre a quella speranza che va oltre l’affanno delle nostre giornate.
Sant’Agostino trentenne brillante, ricco, socialmente affermato, incontra Dio solo sulle strade del suo amore. Scrive: “Tardi ti ho amato, bellezza così antica e sempre nuova, tardi ti ho amato. Sì perché tu eri dentro di me e io ne ero fuori…” (Conf. X,27 ss).
Dio è dappertutto: basta lasciarsi guidare dallo stupore per scorgerlo nel mistero dell’alba, nell’incanto di un tramonto, nel fiore che sboccia, nel frutto che matura, negli occhi di un bambino, nella dolcezza di una mamma in attesa, nelle rughe di un anziano, nella pioggia che nutre e disseta, nella foresta che cresce, nell’uomo che si commuove, nel respiro del morente, nelle nascoste pieghe dei nostri sogni.
Quel Dio lontano, è così vicino da lasciarsi consumare nel mistero eucaristico, che si svela pienamente al cuore che accetta di essere amato da lui. “Ci hai fatti per te Signore, esclama ancora Agostino, e il nostro cuore non ha pace fin quando non riposa in Te” (Conf. l,1).
Simone è il maggiore di 8 fratelli, la mamma è maestra e in questi lunghi periodi di didattica a distanza ha sempre seguito le lezioni sul suo cellulare per lasciare a mamma e fratelli più piccoli i dispositivi più comodi. Spesso segue le lezioni facendo da baby sitter al fratellino più piccolo che ancora non cammina. Si vede dal video, allora gli dico, bravo fratello spegni. Una volta si è intravisto mentre dava la pappa al bimbo sul seggiolone, per un secondo. Ma Simone ha bei voti, non ha mai perso una lezione, non ha mai smesso di studiare, mai. Crescerà bene quel bambino con il suo fratellone e la dad.
Ilaria c’era e non c’era. Poca connessione, sembrava. Qualche volta un letto disfatto alle sue spalle, un letto sanitario, quello della nonna anziana? Ilaria a volte era in ritardo con la consegna dei compiti. Mi scusi prof mi scusi. A Ilaria non mancava mai il sorriso, mancava la connessione, non i voti dignitosi. Un mese fa è morto il papà di Ilaria. Era malato di cancro da tre anni. Non lo abbiamo mai saputo. I quattro figli lo curavano dolcemente, hanno letto messaggi alle sue esequie. Era un papà buono di figli coraggiosi. Dopo tre giorni Ilaria è tornata a scuola, nella settimana di presenza. Ilaria sei qui, di già? I miei messaggi su wapp si sciolgono in un abbraccio, alla faccia del virus. Si prof ho pensato che era meglio. Ilaria la connessione non l’aveva mai perduta.
Francesca si è svegliata una mattina e non ci vedeva più. Francesca aveva paura ma non ci poteva credere. Come faccio a seguire le lezioni in video? Dentro e fuori dall’ospedale la vista poco per volta è tornata, ma non ti devi affaticare. Ascolta e non guardare. Guarda solo matematica che la prof usa la lim. Metti le cuffie e spegni il video. I compiti non li fare, almeno per ora, ma no prof li detto a mia mamma. Francesca ha perso poche lezioni, quelle delle visite in ospedale. Ora ci vede di nuovo, bene come prima. Siamo tornati a scuola, lei è sempre presente. Leggo io prof? Francesca è resiliente, non molla mai, sa che ce la può fare.
La resilienza è pensiero positivo, questo è il vero contagio che ci portano a scuola i nostri studenti.
“La vita è felicità, meritala”. Cosi diceva Madre Teresa. Federica Marenco
Ogni essere umano insegue la felicità, tanto che il concetto di felicità attraversa tutto il pensiero filosofico occidentale dai greci e romani fino ai giorni nostri. Anche gli economisti parlano della felicità assimilandola al benessere personale e collettivo. A livello politico gli Stati Uniti d’America hanno incluso la felicità nella dichiarazione d’indipendenza americana e più recentemente, l’Assemblea Generale dell’ONU ha istituito la giornata internazionale della felicità, che viene celebrata il 20 marzo.
Ma se, nel corso della propria esistenza, ogni essere umano cerca di essere felice, l’interpretazione della felicità è totalmente soggettiva e ogni singola persona ha la propria definizione di felicità. E poi Gesù è venuto a scuotere l’interpretazione della felicità, con le “Beatitudini”. Testo meraviglioso e complesso da comprendere, che non sta a me commentare.
Riflettendo sul concetto di felicità e su quanto ha affermato Madre Teresa, mi è venuto da pensare che la felicità, come la vita, è un dono semplice e prezioso, da proteggere, da custodire.
La felicità è il sorriso di un figlio, è l’abbraccio di una persona cara.
La felicità è scoprire che nonostante tutto, la vita vince su malattie e paure.
La felicità è osservare e prendersi cura della natura in tutta la sua meravigliosa e vulnerabile bellezza.
La felicità è fare attenzione a chi ci sta accanto, perché a volte basta una parola, uno sguardo, una piccola attenzione per rendere felice ed essere felici a nostra volta. Perché la felicità è contagiosa.
La felicità è aprire il nostro cuore e la nostra vita agli altri, alla famiglia, agli amici, ma anche a chi non conosciamo, a chi è diverso da noi, per scoprire che alla fine, siamo tutti uguali e condividiamo tutti la stessa voglia di vivere e di essere felici.
La felicità è anche ritornare a Gressoney, camminare nel grande prato e ritrovare gli amici di sempre e quelli nuovi. E allora forse la felicità è anche e soprattutto un dono da condividere. Perché camminare nel prato di Gressoney se siamo da soli non ha lo stesso valore di quando camminiamo insieme.
Quando ripercorriamo la storia vissuta dall’uomo dalla sua comparsa sulla terra ci accorgiamo che la vita ha subìto tanti cambiamenti sviluppandosi e migliorando per l’evolversi delle scoperte e delle invenzioni sempre più efficienti e geniali che ci hanno consentito di organizzare la nostra vita lavorativa e sociale al meglio possibile.
Allora le giornate erano scandite secondo i ritmi della natura, dalle stagioni o da eventi straordinari.
In tempi successivi la vita è stata sempre più movimentata, più intensa e ai nostri giorni addirittura più stressante perchè il progresso ha comportato vantaggi ma anche danni.
Quando ero bambina pensavo che un anno fosse troppo lento a trascorrere, Volevo crescere in fretta per vivere da adulta, sognavo di realizzare tante cose che nella mente erano ancora vaghe fantasie.
Oggi tutto scorre velocemente e un giorno dura poco, spesso ti sembra di non averlo vissuto.
L’anno è stato frazionato in giorni speciali e ricorrenze nei quali si ricordano avvenimenti, persone, cose.
Sono talmente tanti che in alcuni giorni si sovrappongono più eventi da ricordare, di carattere religioso, o legati a tradizioni: c’è sempre qualcosa di importante.
L’Onu, la Fao, l’Unicef, il governo, il Vaticano hanno istituito giornate commemorative internazionali, mondiali ecc. Ce ne sono per tutti i gusti e preferenze: eventi storici, sociali, politici, per le diversità, per i malati, per la scienza e l’ambiente, per la pace, genocidi, il lavoro, la memoria. Non c’è nessun mese libero.
Alcune hanno destato la mia curiosità: la giornata del sorriso, degli angeli custodi, e dei nonni, della castagna, degli insegnanti e della cioccolata: tutti nel mese di ottobre, molto affollato.!
Ma non manca la giornata del gatto, della poesia, della coppia, delle casalinghe, della lentezza, della gentilezza, della felicità, delle biciclette.
Qualcuno sa che si celebrano fratelli e sorelle, il sonno, l’Africa, gli Oceani, la segretaria, i baci, la luna, gli zii, gli automobilisti, la meteorologia?
La più simpatica giornata è quella del 6 febbraio: si celebra il caffè! Questa mi piace molto. Alla tazzina di caffè non si rinuncia mai per cominciare bene la giornata sia da soli che in compagnia perchè un caffè ”più lo mandi giù più ti tira su”, come diceva una nota pubblicità.
Credo che in un anno così intensamente vissuto arriveremo al 31 dicembre con la voglia di non ricordare neanche il proprio onomastico e compleanno.
Continua il viaggio nelle catacombe di Domitilla a Roma.
Non credo che esistano formule magiche per essere dei simpatici ottimisti. All’ottimismo ci si educa. Intendiamo quello vero, cristiano, che affonda le radici su valori sicuri, su esperienze credibili, su motivazioni ragionevoli, su atteggiamenti evangelici.
La tua vita è unica e irripetibile. Vali perché vivi non per quello che hai. Il Signore “ha coronato l’uomo di gloria e splendore”
La tua vita è nelle mani di Dio che è padre. Lui “ti conduce ad acque tranquille e ti fa riposare in pascoli verdi”. Ti puoi fidare.
Hai tra le mani un grande dono: il giorno che stai vivendo. Il passato non torna, Il futuro non lo conosci. Contempla e riempi di bene la giornata che possiedi. Leggiamo nel Vangelo: “Non ti preoccupare del domani. Guardi i gigli del campo… Il padre si curerà di te”.
Affronta con dignità le fatiche le sofferenze. Esse non hanno l’ultima parola, ma ti aiutano a conoscerti meglio. Il Qoelet ricorda che “insegna più la sofferenza che l’allegria”.
Non dimenticare che i successi e le illusioni vanno sovente insieme. Guardati dal cadere nel delirio di onnipotenza. Nel Cantico del Magnificat si legge che Dio “disperde i superbi e innalza gli umili”.
Coltiva grandi ideali, capaci di liberare l’anima e dare senso alla vita, come la pace, la fratellanza, la vittoria sulle povertà, la santità. Domenico Savio, a 13 anni, confida a Don Bosco “Voglio farmi Santo, presto santo”. E lo fu.
Riempi l’anima e il cuore di parola di Parola di Dio, prima che si riempiano di banalità. Essa ti sollecita a uscire dalle paludi della mediocrità. Se non sarà piena di Dio, la tua anima si impasterà era di cose. scrive ancora il Qoelet: “Ho fatto un bilancio delle mie ricchezze ho concluso: tutto è vanità ciò che Dio ha fatto dura in eterno”.
Disintossicarsi dalla quotidiana porzione di pessimismo e di banalità che ti somministrano notiziari, pubblicità illusorie e quant’altro la vanità televisiva raccoglie. Non si tratta di chiudere gli occhi sul male ma di aprirli sul bene che c’è. Contempla la foresta che cresce, più che l’albero che cade e al suo posto, se puoi, piantane un altro.
Recupera la tua dimensione spirituale. Rivolgetevi sovente a Dio che “veglia su quelli che lo amano fa brillare di gioia ai loro occhi”. Nella debolezza del peccato riconciliati con Lui. Ti sarà più facile riconciliarsi con te stesso e con gli altri. Ogni domenica sii fedele all’appuntamento della Santa Messa con la comunità dei credenti. Quando preghi sei al massimo della tua dignità, sei con Dio.
Ma ciò che renderà un ottimista irriducibile è la certezza che Cristo è risorto. È lui la nostra speranza. Il calvario non è solo il colle della croce, ma anche il luogo della resurrezione della Vita Nuova. Un giovane sacerdote, lucidissimo di fronte all’avanzare inarrestabile della leucemia che lo distruggeva passo dopo passo, scriveva a un amico: “se nonostante tutto sono ottimista è perché Cristo è risorto.
Siamo ottimisti!
Carissima Myriam,
ti sto chiamando con il tuo nome ebraico, Maria di Nazareth, perché spesso ci dimentichiamo che tu sei una donna israelita, ebrea, per giunta palestinese. Non è molto facile essere oggi palestinesi, come non lo è stato in passato essere ebrei e forse non lo è neanche adesso.
La tua terra, il tuo popolo, oggi è diviso fra due religioni e due appartenenze etniche che non riescono a convivere, non hanno finito di soffrire. Molti di noi non capiscono perché. Le radici di questo odio sembrano altrettanto profonde quanto insensate. Entrambi credono nello stesso Dio, pur attraverso la testimonianza e la rivelazione di diversi profeti, perché Dio è solo uno.
Entrambi vivono nello stesso luogo sulla terra; potrebbero fare della collaborazione e della condivisione delle intelligenze e dei saperi, uno strumento per renderla un vero paradiso, invece non perdono l’occasione per distruggerla e per erigere muri e combattere guerre che coinvolgono anche i loro vicini confinanti. Strana e terribile può essere la natura umana, soprattutto quando si sente troppo potente, anche nei confronti di Dio.
“Perché taci mentre l’empio ingoia il giusto?” si chiede il profeta Abacuc.
Questa domanda mi ha tormentato tutta l’estate.
Il giorno dell’Assunta, ho partecipato casualmente alla processione mariana di Notre Dame de Paris, con tutta la famiglia.
Mi ha richiamato alla memoria la processione di Maria Ausiliatrice a Torino e i pensieri che quella sera mi passavano per la mente.
Sia a Torino che a Parigi la folla che camminava dietro la tua immagine era la stessa, una folle enorme, incredibilmente eterogenea e colorata anche nel senso della pelle, una persona su cinque era di colore, di vari colori e tutti erano in preghiera.
Si pregava l’Ave Maria in tante lingue contemporaneamente, alla presenza di gente proveniente da almeno quattro dei continenti del pianeta. Ho pensato che solo noi cristiani abbiamo il coraggio di camminare dietro l’immagine di una semplice donna che stringe in braccio il suo bambino, di camminare e di compiere quell’atto spirituale e pacifico per eccellenza che è la preghiera.
Pregare è un atto d’umiltà che unisce gli spiriti, che crea unità, l’unità che tuo figlio Gesù ha chiesto per l’umanità nella sua ultima preghiera al Padre prima della croce.
Ho pensato che quella folla era la rappresentazione del regno di Dio, che Gesù annuncia nel Vangelo, la dimostrazione che l’umanità può convivere e condividere la stessa strada, la stessa storia, la stessa città, lo stesso pianeta senza farsi la guerra, senza essere gelosi e invidiosi gli uni degli altri, senza essere superbi della propria presunta superiorità, etnica, culturale, tecnologica, economica o sessuale che sia.
Ho pensato che era molto bello che questo accadesse dietro l’immagine di una madre e di un bambino. Sono gli esseri umani che soffrono di più nel mondo oggi, che muoiono di più nelle guerre, più dei soldati, e se non muoiono conservano ferite profonde nel corpo e nell’anima che non sempre potranno essere rimarginate.
Sono anche le persone più marginali e discriminate, quelle che fanno più fatica a vivere, anche nelle società più moderne.
Maria, tu sei icona della femminilità, della storia femminile, di una storia fatta spesso di silenzio, di troppo silenzio.
“Perché taci mentre l’empio ingoia il giusto?”.
Questa domanda la sento come rivolta a me stessa, mentre Abacuc la rivolge a Dio. Perché taccio?
Perché le donne tacciono invece che levare la loro voce contro la guerra e contro l’ingiustizia?
Situazioni che quasi sempre non hanno voluto, non hanno cercato, ma hanno solo subìto e non hanno il potere di controllare, ma la parola questa non ci manca.
Eppure ci nascondiamo nel silenzio.
Vorrei proprio affrontare questo difficile argomento, Maria: il silenzio delle donne.
Questo silenzio che spesso lascia la nostra voce fuori dalle maggiori vicende della storia umana.
A volte nei miei pensieri emerge un vago risentimento per il silenzio cui paiono votate le donne nella storia, silenzio che tu per prima vivi nei Vangeli e che spesso viene considerata come una tua scelta.
Sono cosciente che il silenzio quasi sempre non è una scelta, ma una condizione cui le donne sono state costrette spesso con la forza e con la violenza, perché comunque la storia politica ed economica dell’umanità è una storia di potere, di scelte e di prevalenza del pensiero maschile sulla cultura umana in quasi tutte le società del mondo.
Tutto ciò risulta evidente a chiunque si impegni a studiare la storia con un minimo di onestà intellettuale. È evidente nonostante il fatto che molti uomini lo neghino ancora, soprattutto se lo studio e la cultura non sono le loro attività preferite, ma non è tanto questo che mi preoccupa.
La storia non è solo politica, non è solo economia. Mi preoccupa piuttosto il fatto che questo silenzio non sembra rompersi neppure oggi che viviamo in un’epoca in cui i Diritti Umani vengono riconosciuti e proclamati ad alta voce nel mondo non solo occidentale, dove le donne hanno acquistato pari dignità in molti campi dell’esperienza umana, a volte anche quelli nei quali non era proprio il caso, almeno a mio parere. Penso alle forze armate.
Questo silenzio dura, spezzato solo a tratti da rare nostre voci e sembra assumere davvero, oggi, i connotati di una scelta libera di molte donne.
Se il passato relega le nostre storie, individuali o collettive, tutte all’interno della sfera privata, con maggiore o minore libertà a seconda delle culture di riferimento, oggi la possibilità di una vita pubblica le donne occidentali ce l’hanno, eppure sempre più spesso noi preferiamo collocare le nostre vite ancora per la maggior parte nel privato, soprattutto le donne cristiane.
Continuano ad essere poche le donne con ruolo e potere pubblico significativo, poche anche nei Parlamenti e neppure il libero e potente popolo americano è ancora riuscito ad eleggere una presidente donna.
Poche sono le voci femminili che si levano e quasi tutte quelle significative vengono dai paesi più poveri e meno liberi del pianeta. Le più coraggiose sono oggi certamente le donne arabo-musulmane.
Dio ci perdonerà questo silenzio, Maria, quando ci presenteremo di fronte a Lui nell’ultimo giorno? Io non riesco a non sentirmi responsabile, ma non so quale sia la strada giusta per le donne oggi, nella realtà complessa che viviamo.
Sono sicura di una cosa sola.
Nessun uomo potrà indicarcela.
Solo con l’aiuto di Dio in una profonda riflessione su noi stesse, forse la troveremo.
Don Bosco, nella sua straordinaria fiducia in Maria, invocata sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani, ne aveva promosso la devozione, pensando soprattutto alle difficili circostanze in cui versava la Chiesa, assediata e attaccata dai nemici della religione cattolica. Egli stesso, oltre gli scritti, le prediche, le istruzioni per promuovere la devozione, aveva formulato una preghiera che fosse benedizione in nome della beatissima Vergine, Aiuto dei Cristiani. Ma volle, se così si può dire, che la formula della benedizione fosse ufficializzata con l’approvazione del S. Padre. Così scrisse al neo eletto Papa Leone XIII, chiedendone l’approvazione, in data 10 marzo 1878 (MB 13,489)
Beatissimo Padre,
nella tristezza dei tempi in cui viviamo pare che Dio voglia in varie meravigliose maniere glorificare l’augusta sua Genitrice invocata sotto il titolo di Maria Auxilium Christianorum. Fra i diversi argomenti avvi quello della efficacia delle benedizioni coll’invocazione di questo titolo glorioso che sogliono impartirsi in parecchi luoghi, segnatamente nel santuario a Lei dedicato a Torino. Ma affinchè tali formule siano stabilite e regolate secondo lo spirito di Santa Chiesa, il Sac. Giovanni Bosco rettore di detto Santuario e dell’Arciconfraternita ivi eretta, fa umile preghiera affinchè la formula descritta a parte sia presa in benevola considerazione, esaminata, modificata, ed ove d’uopo, corretta, perché si possa usare nell’impartire la cosiddetta Benedizione di Maria Ausiliatrice, specialmente nel Santuario a Lei dedicato in Torino. Ivi ad ogni momento affluiscono i fedeli a farne richiesta con grande incremento della pietà e spessissimo con sensibile vantaggio nelle loro miserie spirituali e corporali… Sac. Gio. Bosco.
Il 18 maggio – 120 anni fa – la formula fu approvata anche se il rescritto giunse nelle sue mani solo a metà dicembre. Ora è riportata nei libri liturgici della Chiesa ed è preghiera in uso in tutto il mondo. È il sacerdote, in quanto consacrato dal Sacramento dell’Ordine, che può benedire. Ma anche i Religiosi, le Religiose, i laici, consacrati nel Battesimo, possono usare la formula di benedizione e invocare la protezione di Dio, per intercessione di Maria Ausiliatrice, sui propri cari, sulla persone ammalate, ecc. in particolare la possono usare i genitori per benedire i loro figli ed esercitare la funzione sacerdotale nella famiglia che il Concilio ha chiamato “Chiesa domestica”.
Formula di benedizione con l’invocazione a Maria Ausiliatrice
Il nostro aiuto è nel nome del Signore. Egli ha fatto cielo e terra.
Ave Maria…
Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio:
non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova;
e liberaci sempre da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.
Maria aiuto dei cristiani. Prega per noi.
Signore, ascolta la mia preghiera. E il mio grido giunga a te.
Il Signore sia con voi. E con il tuo Spirito.
Preghiamo.
O Dio, onnipotente ed eterno,
che per opera dello Spirito Santo hai preparato il corpo e l’anima della gloriosa Vergine e Madre Maria perché diventasse una degna abitazione per tuo Figlio:
concedi a noi che ci rallegriamo del suo ricordo di essere liberati, per sua intercessione, dai mali presenti e dalla morte eterna.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
La benedizione di Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo discenda su di voi (te) e con voi(te) rimanga sempre.
Amen.
Cara Maria,
le litanie sono una antica preghiera troppo lunga e passata di moda, ma alcune sono molto belle. Questa è la litania che preferisco Da quando ero bambina perché la pace è donna. Da quando è morto mio marito molte persone mi ripetono che devo fare pace. Il primo me lo ha detto un’ora dopo che lo avevo sepolto nel camposanto. Mi sono ribellata. Lasciami in pace ti ho detto. Cosa vuoi da me? Ho appena sepolto mio marito. Non lo vedrò più. Sarò sola davanti alla vita. E poi fare pace perché? fare pace con chi? Con Dio? no. Non ho mai pensato che fosse colpa di Dio. Con i medici che hanno tentato tutto fino all’ultimo per salvarlo? Neppure. Con lui perché era morto e ci aveva lasciati soli? Si forse si. Con lui si, ma in fondo che ci poteva fare. Mica poteva fermare la morte che lo aveva scelto.
Allora fare pace con chi? Con la morte che ci raggiungerà tutti prima o poi anche se non sappiamo quando? È il suo mestiere. Con la vita che non lo aveva tenuto stretto fra le sue braccia senza lasciarlo andare? Forse…. Con me stessa che non avevo fatto abbastanza per aiutarlo nell’affrontare la difficile malattia? Si forse anche.
Non ho ancora fatto del tutto pace con me stessa perché poi ti vengono in mente mille cose che avresti potuto fare o dire e non ti sono venute in mente e non mi sono venute perché ero terrorizzata anche io come lui. Perché la paura paralizza. La paura di non sai cosa. Non lo sai perché non puoi controllarlo. È fuori dalla tua portata. Quale pace dovevo fare? Non lo so. Di fatto non sono in guerra con nessuno e lo sono con tutto. Con ogni momento atto ricordo luogo odore immagine che mi ricorda lui che mi ricorda noi insieme qui nel mondo dei vivi. Ma si può fare pace coi ricordi? Che senso ha? Un senso ce lo ha? Non credo che sia questo il punto.
La rabbia che spesso mi assale è quella che mi fa alzare la mattina. Che mi fa andare avanti. Che mi permettere di vivere. Essere in pace adesso sarebbe bello ma sarebbe come aver cancellato tutto e averlo chiuso dietro un vetro opaco. Non voglio. Voglio vivere tutto. Con sincerità e anche disperazione se occorre voglio vivere ogni emozione e ogni sentimento. Regina della Pace, Maria. Questa è la litania che ho sempre preferito. Perché noi donne sappiamo cosa è la pace anche dentro il conflitto anche dentro il dolore anche dentro lo strazio anche dentro la guerra il supplizio la tortura noi sappiamo che la pace non è vendetta contro nessuno mai.
Ma sappiamo che la pace non è passiva. Non è immobile non è inattiva. La pace è vivere appieno anche la rabbia e il dolore e poi sciogliergli nelle lacrime. Consolarli con le carezze. Riaprire le ferite per pulirle e non farle imputridire aspettando che guariscono da sole. Fare la pace è non fare del male mai…a nessuno…vivo o morto…neppure a noi stessi. è guardare oltre…oltre la violenza per spiazzarla e stupirla col perdono e con ‘innocenza di chi ha l’anima pura come Lucia davanti all’innominato.
Come Rosa Park seduta sul sedile del bus dei bianchi. Come Vandana Shiva abbracciata a un albero da salvare. Come le suffragiste con i loro striscioni e le donne in nero e le madri di Plaza de Mano. Perché la pace non è solo un sostantivo femminile. La pace è donna, come il titolo del libro di Vandana. La pace è come Chiara in ginocchio davanti a Francesco appena spirato. Come te con in braccio tuo figlio morto crocifisso e torturato.
Perché non accada mai più. Mai più che l’uomo alzi la mano contro un altro uomo che qualcuno si inventi un nemico perché la pace non concepisce nemici. Li cancella dalla vita e dalla morte. Per sempre. La pace è pace, ma non dei sensi. È attività, perciò Gesù dice Beati gli operatori di pace. Operatori. Attivi. Nella vita e nella morte. Madre del perdono. Regina della pace prega per noi.
Amen.